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4. Concetti e nozioni fondamentali della meccanica

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by Emma T.

Che cos’è una forza?

Il concetto di forza viene assunto, in meccanica classica, come concetto primitivo.

In fisica di solito una forza è un qualunque ente fisico che è in grado di modificare lo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme di un punto materiale, rispetto ad un dato osservatore.

Dal punto di vista matematico invece noi rappresentiamo una forza come un vettore applicato. Quando abbiamo iniziato a parlare di vettori, abbiamo fatto la differenza tra vettori liberi e vettori applicati, una forza è un vettore applicato. Quindi se io scrivo questo F da solo, quindi solo il vettore, questo non è una forza, mentre quando considero un punto d'applicazione e il vettore, in questo caso il vettore F applicato a questo punto P, ecco allora che questo è una forza. Quindi P è il punto d'applicazione della forza, F è il vettore della forza, ma non è una forza.

Si parla di forza quando si ha a che fare con qualcosa che produce accelerazione. Dal punto di vista operativo, per misurare il vettore della forza, si usa un dinamometro, che è uno strumento che possiamo pensare costituito da una molla che sia opportunamente tarata, che sia sottile, leggera, con delle caratteristiche particolari; possiamo rappresentarla come un segmento che abbia due ganci all'estremità e attraverso questo dinamometro è possibile misurare intensità, direzione e verso della forza.

Diciamo che su un punto P agisce una forza, se e soltanto se la sua accelerazione, cioè l'accelerazione del punto P, misurata da un certo osservatore, perché abbiamo visto che sono gli osservatori che misurano queste grandezze, se questa accelerazione è non nulla. Dal punto di vista quantitativo, la forza corrisponde all'allungamento di un dinamometro che va in tensione, in modo tale da compensare la forza in gioco.

Fino ad adesso abbiamo parlato di forza applicata, quindi come vettore applicato, applicata ad un punto P, quindi con un vettore che agisce su un punto.

Che cos’è una forza risultante?

In realtà può essere che su un punto agiscano più vettori e quindi che il concetto di forza sia espresso attraverso l'applicazione di più vettori ad uno stesso punto.

Supponiamo di avere un sistema di forze con lo stesso punto di applicazione, quindi pensiamo ad un sistema di forze con stesso punto di applicazione, che indichiamo ad esempio con P, e quindi supponiamo di avere la forza (P, F₁), la forza P di vettore F₂, supponiamo di queste forze di averne N, quindi l'ultima forza è P, FN.

Si definisce forza risultante, agente sul punto P, la forza che ha come punto di applicazione lo stesso punto P, come vettore della forza, il vettore F che è la sommatoria per S che va da 1 ad N dei vettori delle singole forze. Quindi in questo caso, dato questo sistema di forze, si compongono con la regola del parallelogramma i vettori che abbiamo visto qui, che hanno tutti lo stesso punto d'applicazione, si fanno le varie composizioni e quello che si ottiene è un'unica forza, che è sempre applicata nel punto P.

È possibile definire la forza risultante, agente sul punto P, quando si compongono tra loro forze che hanno lo stesso punto d’applicazione e questa è la definizione.

Tutte le volte che si ha una forza, una forza è qualcosa che produce accelerazione. Quindi prendiamo la forza P, F₁ e consideriamo a₁(P) l'accelerazione prodotta dalla forza P, F₁. Poi consideriamo a₂ rispetto sempre ad un dato osservatore, l’accelerazione prodotta dalla forza P, F₂ e indicheremo con aN(P) l'accelerazione prodotta dalla n-esima forza. Con un'unica notazione possiamo dire che indichiamo con as(P) l'accelerazione prodotta dalla singola forza Fs e questo per S che va da 1 ad N. Questi due fatti sono equivalenti, cioè quello che scritto a sinistra e quello scritto a destra.

Che cosa dice il postulato legato all’accelerazione e le forza?

Stiamo introducendo i concetti e le nozioni fondamentali della meccanica e quindi per far questo abbiamo bisogno di enunciare i postulati, cioè i principi primi su cui si basa la meccanica.

Postulato

L’accelerazione del punto P, quando al punto P sono applicate N forze, è uguale all'accelerazione che ha il punto P, quando ad esso è applicata la sola forza risultante P, F.

Questa formula che abbiamo scritto qui è come dire che gli effetti meccanici prodotti da più forze aventi lo stesso punto di applicazione si possono sommare.

In generale, le forze non si possono sommare, cioè questo è un caso particolare in cui tutte le forze hanno lo stesso punto di applicazione. In questo caso, in qualche modo siamo riusciti a definire la forza risultante, quindi ha senso parlare di somma di forze, perché il punto di applicazione è lo stesso e anche gli effetti meccanici dovuti all'applicazione di più forze allo stesso punto, sono esattamente uguali all'effetto che produce la forza. Quindi gli effetti meccanici prodotti da più forze aventi allo stesso punto di applicazione si sommano, ma in generale le forze non si possono sommare. Vedremo quando ha senso parlare di somma di forze e per esempio, il caso in cui le forze hanno lo stesso punto d'applicazione è uno dei casi in cui le forze si possono sommare, ci saranno altri casi e daremo altre condizioni necessarie e sufficienti, affinché si possa fare questa operazione, ma in generale, le forze se hanno diversi punti d'applicazione non si possono sommare.

Diamo alcuni postulati che riguardano la natura dei vettori delle forze, e quindi diamo i postulati sulle forze.

Che cosa dice la prima legge della meccanica o Pirncipio d’Inerzia?

Questa è la prima Legge o principio di inerzia, e dice che esiste almeno un osservatore; l'osservatore è un sistema di riferimento. Quindi esiste almeno un osservatore, che chiameremo osservatore inerziale o assoluto o Galileiano, rispetto al quale ogni punto materiale isolato o è in quiete, o si muove di moto rettilineo uniforme.

Per isolato si intende che un punto materiale è posto ad una distanza talmente grande da tutti gli altri punti o corpi dello spazio, da poter ritenere nulle o trascurabili le forze esercitate da questi altri punti o corpi dello spazio sul punto in questione. Isolato è distante da tutto, in modo tale che possiamo ritenere, quantomeno trascurabile o nulle, le forze che gli altri punti esercitano sul nostro punto in questione.

Questo osservatore inerziale permette di definire la forza assoluta, che è quella che agisce sul punto materiale rispetto all'osservatore Galileiano o inerziale o assoluto. Questa forza, che possiamo misurare rispetto a questo osservatore, è una forza che è dovuta a corpi.

Esiste almeno un osservatore, ma quanti ce ne sono? Uno di sicuro. In realtà ne esistono infiniti, sono tutti quelli equivalenti a questo osservatore, la cui esistenza viene postulata dal principio d’inerzia. Cioè tutti i sistemi di riferimento che sono equivalenti a questo osservatore, la cui esistenza è postulata dal principio d’inerzia, sono tutti osservatori inerziali.

Quindi, per esempio, i sistemi di riferimento stellari sono osservatori inerziali, quindi quelli con origine in una stella fissa e assi orientati verso stelle fisse, sono osservatori inerziali.

Il sistema solare, in buona approssimazione, è un sistema inerziale, per i principali problemi di studio. Per alcuni fenomeni che avvengono sulla superficie terrestre è lecito ritenere inerziale anche il sistema terrestre - stellare, anche è un sistema di riferimento equivalente a quelli stellari soltanto in prima approssimazione.

Che cosa dice la terza legge della meccanica o Principio di azione e reazione?

Il principio di azione e reazione dice questa cosa. Dati due punti materiali, P e Q, indichiamo con P e F di Q freccia P la forza esercitata su P per effetto della presenza del punto Q.

E poi indichiamo con Indichiamo con Q, F di P freccia Q, la forza esercitata su Q per effetto della presenza del punto P.

Le due forze P, F di Q su P e Q, F di P su Q, sono uguali, opposte e con linea d'azione congiungente i due punti. La linea d'azione è la retta che congiunge i due punti.

Le due forze sono uguali e opposte, vuol dire che i due vettori F di P su Q è uguale a - F di Q su P. Inoltre la linea d'azione lungo la retta che congiunge i due punti, quindi il vettore F di P freccia Q è parallelo a P - Q.

Non dice che dati due punti, le forze che agiscono sui due punti sono sempre uguali, opposte con la linea d'azione lungo la congiungente P con Q. Non è vero che dati due punti, le forze che agiscono sui due punti sono sempre uguali e contrarie, perché se io prendo sul punto P la forza peso e sul punto Q una forza elastica che agisce su un'altra direzione, che congiunge Q con un altro punto O, questo non è vero.

Quello che dice il principio di azione e reazione è che dati due punti materiali, se consideriamo le forze che agiscono su P e su Q per effetto della presenza dell'altro punto, quindi che su P agisce la forza che deriva dalla presenza di Q e su Q agisce la forza che deriva dalla presenza di P, quindi delle forze di interazione, queste due forze sono uguali, opposte e con la linea d'azione lungo la congiungente i punti P e Q.

Che cos’è un vincolo?

Quali sono i diversi tipi di vincolo?

Quando un sistema meccanico si dice vincolato?

Si può dare una definizione dal punto di vista fisico e poi una definizione di tipo matematico.

Si dice vincolo in meccanica un qualunque dispositivo dovuto a corpi e come tale quindi, essendo dovuto a corpi, di tipo assoluto (cioè indipendente dall’osservatore), che limita le configurazioni e le velocità, oppure solo che limita le velocità dei punti del sistema meccanico o del sistema materiale.

Nel caso il vincolo limiti le configurazioni e le velocità dei punti del sistema meccanico, il vincolo si chiama olonomo. Quando invece limita solo le velocità, il vincolo si chiama anolonomo.

Dal punto di vista matematico, il vincolo è una relazione tra i parametri che descrivono la configurazione del sistema meccanico. Ci può essere il tempo oppure il tempo potrebbe anche non esserci. Quindi diciamo che può essere una funzione F che dipende da x₁, x₂, …, xm, t, un uguale a 0, per esempio, oppure una F che dipende invece solo. dai parametri e non dal tempo, oppure anche una funzione che dipende dai parametri x₁, x₂, …, xm, dalle derivate di questi parametri e dal tempo, oppure il tempo potrebbe anche non esserci.

Il vincolo olonomo è un vincolo che è esprimibile sempre in una forma che non contiene le derivate, quindi è in forma finita (quindi non contiene le derivate) o eventualmente in forma differenziale integrabile (può essere ricondotto alla forma finita, se contiene le derivate).

Invece il vincolo anolonomo è in forma differenziale non integrabile.

Un sistema meccanico si dice vincolato se è soggetto ad almeno un vincolo, altrimenti, in caso contrario, si dice libero.

Possiamo distinguere due situazioni, due tipi di vincolo. Un vincolo può essere di tipo interno, oppure di tipo esterno:

  • Il vincolo si dice di tipo interno se è dovuto a punti o a corpi che fanno parte del sistema materiale in esame.

  • Un vincolo si dice esterno se è dovuto a punti o a corpi che non appartengono, cioè che non fanno parte del sistema materiale in esame.

Da questa definizione che ho dato fanno parte o non fanno parte del sistema materiale in esame, questa definizione di vincolo interno o esterno non è una definizione oggettiva, ma dipenderà da qual è il sistema materiale che stiamo considerando.

Per esempio, prendiamo un'asta AB su cui si muove un anello puntiforme P. Se il nostro sistema materiale è formato dall'asta AB più l'anello, allora l'asta AB per il punto P è un vincolo, perché il punto P è limitato nelle sue posizioni e anche nelle velocità, perché il punto P non potrà avere una velocità che va in questa direzione, ma dovrà avere una velocità che si muove qui sopra, quindi in questa direzione o in questa, e quindi l'asta AB per il punto P è un vincolo, ma siccome stiamo considerando il sistema nella sua globalità, cioè asta più punto, il vincolo è di tipo interno, così come P per l'asta AB è un vincolo di tipo interno.

Se invece supponiamo che il nostro sistema materiale sia il solo punto P, cioè che l'asta sia un vincolo, cioè che non fa parte del sistema meccanico in esame, allora l'asta AB rappresenta un vincolo di tipo esterno, perché il sistema materiale che stiamo considerando è il solo punto P.

Quindi in questo caso interno o esterno a seconda del sistema che stiamo considerando.

Un vincolo si dice fisso o scleronomo se è indipendente dal tempo t. Per esempio H(x₁, x₂, …, xm) = 0.

Un vincolo si dice mobile o reonomo se dipende dal tempo t. Per esempio F(x₁, x₂, …, xm, t) = 0.

Un sistema meccanico si dice scleronomo quando tutti i suoi vincoli sono fissi o scleronomi.

Il sistema meccanico si dice invece reonomo se esiste almeno un vincolo che è reonomo. Quindi basta un solo vincolo reonomo per dire che tutto il sistema meccanico è reonomo.

Invece il sistema meccanico si dice scleronomo se tutti i suoi vincoli sono scleronomi.

Esempi di vincoli: scleronomo e reonomo.

Consideriamo un punto materiale P, vincolato a muoversi su di una circonferenza di raggio R. Prendiamo un sistema di riferimento, in modo tale che l'asse x passi per il centro C di questa circonferenza e l'asse y sia perpendicolare all'asse x, in modo tale che circonferenze e punto stiano nel piano Oxy. Analizziamo due situazioni di tipo diverso, per fare l'esempio di vincolo fisso, o scleronomo, e di vincolo mobile o reonomo.

Caso I

Supponiamo che la circonferenza sia vincolata con il centro C, fissato in un punto dell'asse x che ha coordinate d, 0), dove d è una costante. Quindi la circonferenza ha il suo centro fissato, la circonferenza non si può muovere, sta ferma e il punto P si muove sulla circonferenza.

Possiamo indicare con ϑ l'angolo di rotazione che il raggio vettore P - C forma con la direzione positiva dell'asse x. Stiamo studiando il punto P, la circonferenza per il punto rappresenta un vincolo, in particolare è un vincolo di tipo esterno perché stiamo studiando il moto del punto P. Il vincolo, questa circonferenza, non si muove, è fermo e di conseguenza è fisso o scleronomo e l'equazione del vincolo sarà x = R cosϑ + d e la y del punto P = R sinϑ. Queste sono le equazioni del vincolo.

La x e la y sono funzione del parametro e vedete il tempo non compare esplicitamente. È vero che il tempo compare dentro a ϑ, ma non compare esplicitamente, quindi questo è un esempio di vincolo scleronomo, cioè la circonferenza è un vincolo di tipo scleronomo.

Caso II

Adesso prendiamo un secondo caso, in cui supponiamo che la circonferenza supponiamo trasli uniformemente con velocità v₀ lungo il versore ī e supponiamo che all'istante iniziale t = 0, che il centro C si trovi nell'origine O e che inoltre l'ascissa del punto C sull'asse x sia v₀ t. Abbiamo la circonferenza che si sta muovendo, quindi supponiamo che la circonferenza trasli, che si muova con questa velocità v₀ ī.

Il vincolo della circonferenza è un vincolo reonomo, perché questa circonferenza si muove nel tempo.

Inoltre, se scrivo le equazioni del vincolo, avremo che x vale R cos ϑ + v₀ t e la y = R sinϑ. Quindi qui abbiamo il caso in cui il vincolo dipende esplicitamente dal tempo, cioè qui compare in esplicito il tempo.

Dal punto di vista fisico è facile capire la differenza, prima la circonferenza stava ferma, vincolo scleronomo, ora la circonferenza trasla uniformemente, si muove, quindi il vincolo è reonomo.

Ma dal punto di vista analitico la differenza è che mentre qui il tempo esplicitamente non compare, nel secondo caso il tempo compare esplicitamente, quindi è una relazione il tempo, oltre a essere qui dentro, è anche esplicitamente qui. Quindi in questo caso il vincolo è reonomo.

Questo esempio si presta anche a un discorso di vincolo di tipo interno o di tipo esterno. Se noi stiamo studiando il moto del punto + circonferenza, per esempio in questo secondo caso II), punto che si muove sulla circonferenza e circonferenza che trasla, allora il vincolo circonferenza è di tipo interno al sistema, perché stiamo considerando l'intero insieme. Se invece consideriamo solo il moto del punto P, allora questo vincolo è di tipo esterno.

Quando un vincolo si dice bilaterale?

E quando si dice unilaterale?

Esempi di vincolo unilaterale e di vincolo bilaterale.

Il vincolo si può dire bilaterale quando si esprime matematicamente attraverso un’equazione che può contenere o non contenere il tempo.

Il vincolo invece si dice unilaterale quando si esprime attraverso una disequazione. Attraverso una disequazione, con il tempo o senza il tempo, non importa.

Consideriamo una sfera con raggio R, supponiamo di considerare un sistema di riferimento con origine nel centro della sfera Oxyz.

Caso I

Consideriamo un primo caso in cui prendiamo un punto P di coordinate x, y, z che si muove vincolato a rimanere all'interno della sfera. Pensiamo a una superficie sferica, come un pallone di quelli da mare, gonfi e il sonaglio dentro che si muove. Il punto P è vincolato a non uscire dalla superficie sferica.

Il vincolo in questo caso sarà dato da x² + y² + z² ≤ R², questa è la disequazione e allora il vincolo è unilaterale.

Caso II

Adesso vediamo invece un altro caso, in cui supponiamo di avere un punto materiale P, che è vincolato a muoversi sulla superficie sferica. Non può essere dentro, non può staccarsi dalla superficie sferica, ma è vincolato a rimanere sulla superficie sferica. Il punto P è sempre di coordinate x, y, z. In virtù di questa relazione, che è espressa attraverso una uguaglianza, questo è un vincolo bilaterale.

Il vincolo è scritto in forma finita, oppure in forma differenziale integrabile, quindi è finito quando non contiene le derivate dei parametri, un vincolo si dice anolonomo se è esprimibile solo in forma differenziale non integrabile. Questo vincolo bilaterale è anche un vincolo bilaterale finito, è olonomo ed è anche scleronomo. Anche questo vincolo unilaterale è un vincolo scleronomo, non contiene le derivate, quindi sarà olonomo, però lavoreremo principalmente sui vincoli finiti o in forma differenziale integrabile, e quindi tutte le nostre osservazioni le faremo su questi vincoli finiti e bilaterali.

Che cosa sono i gradi di libertà?

E i parametri lagrangiani?

Che cosa sono le velocità generalizzate?

Supponiamo di avere un sistema materiale di punti Ps, ms, con s che va da 1 ad N, supponiamo che x₁, x₂,…, xm siano gli m parametri che definiscono la configurazione del sistema, quindi per esempio il punto Ps può essere noto in funzione degli m parametri x₁, x₂,…, xm e questo per s che va da 1 ad N.

Supponiamo inoltre che questo sistema materiale sia vincolato e supponiamo che esistano r vincoli finiti e bilaterali. Sappiamo che ciascun vincolo bilaterale finito, comporta quindi un’equazione, cioè una relazione di uguaglianza tra i parametri, tra 2 o più parametri x₁, x₂,…, xm.

Se sul sistema materiale si hanno e vincoli finiti e bilaterali, del tipo r equazioni Fk(x₁, x₂,…, xm) = 0 per k che va da 1 ad r. Il fatto che siano finiti lo vediamo dal fatto che non compaiono le derivate e il fatto invece che siano bilaterali, vediamo che sono r equazioni.

Questo comporta che da queste r equazioni, possiamo ricavare r parametri, cioè significa che gli m parametri che inizialmente ci danno la configurazione del sistema, non sono tutti indipendenti. Di conseguenza avremo che, per avere i parametri indipendenti, non sono m i parametri indipendenti, ma saranno in realtà m - r.

n è il numero di gradi di libertà del sistema e indica che i nuovi parametri che possiamo definire, q₁, …, qn,  tanti quanto il numero di gradi di libertà del sistema, questi vengono detti parametri lagrangiani e quando diciamo parametri lagrangiani, intendiamo che questi parametri sono tutti tra loro indipendenti.

Quindi questi sono il numero minimo di parametri, sono quelli che occorrono e bastano per definire la configurazione del sistema meccanico.

Si parte da un sistema materiale in cui abbiamo m parametri che sicuramente definiscono la configurazione del sistema. Però, nel momento in cui esistono r vincoli finiti bilaterali, significa che questi m parametri non sono tutti tra loro indipendenti, infatti da queste relazioni che sono in tutto r, sono r equazioni, è possibile ricavare r degli m parametri che non sono indipendenti.

Definiamo come numero di gradi di libertà la differenza tra m, numero dei parametri che definivano la posizione del sistema, meno il numero dei vincoli finiti bilaterali che sussistono tra gli m parametri e questo ci permette di definire il numero di gradi di libertà.

Non è detto che i parametri lagrangiani siano esattamente m - r, scelti tra quelli iniziali, perché non è detto che sia possibile esprimere esattamente r di questi parametri, in funzione dei rimanenti parametri. Quello che è importante è che o è possibile esprimere questi r parametri, in funzione dei rimanenti e allora in quel caso si può prendere un sottoinsieme di questi n parametri, ma se non è possibile, è sempre possibile trovare un numero n di parametri lagrangiani, che sono tra loro indipendenti e quindi la conoscenza di questi parametri permette di sapere istante per istante qual è la configurazione del sistema.

Chiameremo invece le derivate temporali di questi n parametri lagrangiani, chiameremo velocità generalizzate del sistema meccanico in esame.

Per esempio, se consideriamo un punto materiale libero, quanti gradi di libertà può avere? Basta conoscere le tre coordinate del punto nello spazio. Se però a questo punto pensiamo di vincolarlo e aggiungiamo un vincolo finito bilaterale, allora dalle tre coordinate che abbiamo nello spazio, quando il punto materiale è libero, ci aggiungiamo un vincolo, quindi un'equazione che vincola la posizione e le velocità del punto, quindi un vincolo finito e bilaterale, allora da 3, che è il numero dei parametri che abbiamo in assenza di vincolo, - 1, che è il vincolo, otteniamo 2 che è il numero di gradi di libertà, per esempio di un punto materiale vincolato con un unico vincolo.

I vincoli finiti bilaterali sono gli unici che diminuiscono il numero di gradi di libertà del sistema, rispetto al caso in cui questi vincoli non ci sono, cioè ogni vincolo bilaterale che io aggiungo ad un sistema materiale, che inizialmente è libero, poi comincio a metterci un vincolo, poi ne aggiungo un altro, quindi ogni vincolo finito bilaterale che aggiungo, rispetto al caso in cui il vincolo non c’è, devo diminuire di uno i gradi di libertà del sistema.

Esempio (Puro rotolamento).

Il puro rotolamento l'abbiamo già incontrato nel caso del moto rigido piano; abbiamo visto quando la base e la rulletta rotolano senza strisciare l'una sull’altra.

Adesso lo vediamo in maniera analitica, consideriamo una ruota che rotola senza strisciare su di una rotaia rettilinea che noi assumiamo come asse x.

Poi prendiamo un asse, che indichiamo come asse y, in modo tale che la ruota, che questo disco, stia nel piano Oxy. Il piano in cui avviene il moto è proprio il piano Oxy. Indichiamo con ϑ l'angolo di rotazione di questa ruota. Per fare questo, prendiamo un sistema di riferimento con origine nel centro di questo disco, O₁ è l'origine del sistema di riferimento solidale al disco, e prendiamo gli assi del sistema di riferimento solidale, li indichiamo con x₁, y₁ e z₁ sarà un asse perpendicolare al piano del disco, quindi diretto verso di noi.

L'angolo di rotazione di questo disco, ϑ, è l’angolo che è il raggio x₁, solidale al disco, forma con un raggio che passa per O₁ e parallelo all'asse delle y e lo prendiamo positivo, in verso antiorario per convenzione.

Ci poniamo il problema di quanti sono e quali sono i parametri lagrangiani che determinano la posizione di questo disco. Indichiamo con M il punto di contatto della ruota con la rotaia, e indichiamo con x la coordinata del punto M di contatto della ruota con la rotaia sull'asse delle x.

Due parametri, quindi x₁ = x e x₂ = ϑ, sono gli m = 2 parametri che mi permettono di dire dove si trova, istante per istante, la rotaia nel piano xy. Cioè se la coordinata x del punto m vale 10, quindi su quest'asse sono 10 unità e l'angolo ϑ è uguale pa π/2, so che questo asse x₁ sarebbe messo in questa posizione, quindi x₁ e y₁ sarebbe parallelo ad y e la coordinata, il punto di contatto, sarebbe a distanza 10 dall'origine, quindi diciamo che so dove si trova il disco e quindi il punto del contatto e anche com'è ruotato. Quindi due parametri sicuramente mi permettono di dire dove si trova il disco.

La condizione di puro rotolamento, è che la velocità di trascinamento del punto di contatto della ruota con la rotaia è 0. Questo rappresenta un vincolo, che agisce sulle velocità. È una relazione di uguaglianza, che agisce sulle velocità. Essendo la v𝛕(M) la velocità di trascinamento, scriveremo dO₁ in dt + ω vettor (M - O₁), perché la velocità di trascinamento è la velocità che il punto M avrebbe, se fosse pensato rigidamente connesso al sistema di riferimento mobile.

dO₁ in dt è la velocità del centro del disco, quindi varrà x punto, ī + ω, cioè la velocità angolare del sistema di riferimento mobile, che vale + ϑ punto k, con il + perché abbiamo preso il ϑ positivo in verso antiorario, vettor m - O₁, cioè il vettore -R lungo j.

Se noi scriviamo che O₁ - O è il vettore x ī + R j, quando facciamo la derivata di O₁ - O, fatta rispetto al tempo, siccome ī non dipende dal tempo, R non dipende dal tempo e j non dipende dal tempo, ma solo x dipende dal tempo. Siccome O è un punto fisso, è uguale a dO₁ in dt.

La velocità di trascinamento di M deve essere uguale a zero, in virtù dell’ipotesi di puro rotolamento.

La velocità di trascinamento del punto M è x punto + R ϑ punto, versore ī e questo deve essere uguale al versore nullo e questo sappiamo che implica che x punto + R ϑ punto sia uguale a zero, il che può essere scritto anche come x punto, uguale a - R ϑ punto.

Abbiamo trovato una relazione, in particolare un’equazione tra la derivata di x e la derivata di ϑ. Questo sarebbe un caso di vincolo bilaterale ma non finito, non è finito perché è in forma differenziale, ma siccome questa forma differenziale è integrabile, perché io posso integrare membro a membro.

Ho trovato un vincolo in forma finita, questo è un vincolo finito e bilaterale, ho trovato r = 1.

Da m = 2 parametri, esiste un r = 1 vincolo finito e bilaterale, allora il numero di gradi di libertà del sistema è n = m - r, cioè 2 - 1 = 1. 1 è il numero di gradi di libertà, quindi questo problema ha un grado di libertà. E come parametro lagrangiano, c'è la x in funzione di ϑ e possiamo scegliere o x o ϑ, perché tanto il legame è automatico.

Come parametro lagrangiano, possiamo scegliere l'angolo ϑ di rotazione del disco e in questo modo abbiamo determinato il nostro parametro Lagrangiano, ma in realtà possiamo scegliere anche x, che tanto non cambia nulla, perché la relazione è quella che qui sopra.

Il moto di puro rotolamento ha 1 grado di libertà, perché il disco rotola senza strisciare. Se invece il disco rotola e striscia, allora il numero di gradi di libertà è 2, perché se rotola e striscia, i due parametri x e ϑ sono tra loro indipendenti. Quindi se il moto è di puro rotolamento, ossia rotolamento senza strisciamento, il numero di gradi di libertà è 1. Se invece il disco rotola e striscia, allora il numero di gradi di libertà è 2 e i parametri lagrangiani sono x e ϑ.

Quanti gradi di libertà ha un sistema costituito da due particelle, collegate da un’asta rigida?

Supponiamo di avere due punti materiali P₁ e P₂, che sono collegati tra loro da un'asta rigida di lunghezza 𝓁. Abbiamo due punti materiali, il punto P₁, il punto P₂ che sono collegati tra loro da un'asta rigida omogenea che ha lunghezza 𝓁. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale, quindi Oxyz e vogliamo stabilire qual è il numero di gradi di libertà di questo problema, cioè quanto vale n.

Il punto P₁, se fosse libero, avrebbe x₁, y₁ e z₁, 3 gradi di libertà. E il punto P₂, se fosse libero, avrebbe 3 gradi di libertà, x₂, y₂ e z₂. In realtà, però, questi due punti sono vincolati. C'è un'asta di lunghezza 𝓁 che li collega rigidamente. Allora, esiste un vincolo, che è uguale a 𝓁². Se i punti fossero liberi, avremmo 3 + 3 gradi di libertà, quindi 6 gradi di libertà. Però esiste questo che è un vincolo, sicuramente finito, non contiene le derivate dei parametri. È sicuramente un vincolo bilaterale, perché è espresso attraverso un’equazione, è un vincolo fisso, perché non è un'asta telescopica che si allunga e si accorcia, quindi è un vincolo scleronomo, è sicuramente, in quanto finito, un vincolo olonomo, ma quello che è importante è che è finito e bilaterale, è un vincolo, quindi n = 6 - 1, quindi 5 gradi di libertà. Quindi l'asta ha 5 gradi di libertà.

Sia in questo caso, sia in quello precedente, i parametri lagrangiani che si possono scegliere quali sono? Allora, se torniamo all'esempio 1), una buona scelta può essere una coppia di coordinate superficiali su questa superficie. Quindi non è detto che si vada a prendere x e y per esempio, perché z si trova in esplicito, ricavandola da questa equazione, perché non è detto che sia possibile esplicitare z in funzione di x ed y. Per esempio, si potrebbe avere un sistema di coordinate superficiali ξ e η su questo lenzuolo e questi sono i parametri lagrangiani.

In questo caso, 2), il punto P₁ e P₂ sono collegati ad un manubrio, da un’asta rigida e omogenea. I parametri lagrangiani che si possono scegliere sono ad esempio le tre coordinate del punto medio di questa asta e poi servono due angoli, che ci permettono di stabilire quali sono le rotazioni, cioè come è ruotato P₁ P₂, questo manubrio, rispetto a due assi che possiamo prendere, in direzione perpendicolare a P₁ e P₂, due rotazioni che ci permettono di stabilire qual è la posizione del manubrio, una volta che abbiamo fissato le tre coordinate per esempio del baricentro.

Quanti gradi di libertà ha il pattino?

Il pattino lo esemplifichiamo con 2 punti materiali, per esempio P₁ e P₂, collegati tra loro da un'asta di lunghezza 𝓁, questo l'abbiamo già visto anche nel caso 2), e vincolati a muoversi in un piano con la velocità del punto medio dell’asta, che possiamo chiamare M, che è parallela alla congiungente P₁ - P₂.

Facciamo una rappresentazione, abbiamo detto che P₁ e P₂ sono collegati da un'asta rigida di lunghezza 𝓁, sono vincolati a muoversi in un piano, che individuiamo con Oxy, quindi prendiamo l'asse z perpendicolare al piano del moto, e inoltre diciamo che il punto medio M deve avere, istante per istante, il vettore velocità parallelo a P₁ - P₂.

Supponiamo che nello spazio P₁ avrà coordinate x₁, y₁ e z₁ e P₂ avrà coordinate x₂, y₂ e z₂. Il primo vincolo che mettiamo è quello che i due punti siano collegati da un'asta di lunghezza 𝓁. Quindi mettiamo il vincolo che abbiamo visto precedentemente e così abbiamo sistemato il primo vincolo.

Poi questi due punti, collegati dall'asta di lunghezza 𝓁 sono vincolati a muoversi in un piano. Noi abbiamo scelto come piano il piano Oxy, quindi si impone che z₁ sia 0 e z₂ sia 0. Ora ci manca da imporre la condizione che il vettore velocità del punto medio dell'asta M sia parallelo a P₁ - P₂.

Il punto M avrà coordinate (x₁ + x₂)/2, (y₁ + y₂)/2 e 0. La velocità del punto M sarà x₁ punto + x₂ punto/2, lungo il versore ī e stessa cosa lungo il versore j. Il vettore a cui deve essere parallelo questo vettore velocità, è P₁ - P₂. Dovendo essere la velocità di M parallela a P₁ - P₂, avremo che le coordinate omologhe devono stare in rapporto costante.

Semplifichiamo il 2. Questi sono tutti i vincoli con cui abbiamo a che fare. Siamo partiti da una situazione in cui abbiamo i due punti liberi, 6 gradi di libertà. Questi vincoli li chiamiamo a, b e c, sono tutti vincoli finiti e bilaterali. Questo vincolo invece è un vincolo in forma differenziale e oltretutto è possibile dimostrare che questo vincolo in forma differenziale non integrabile, non sono soddisfatte le condizioni per

E quindi, come tale, è un vincolo anolonomo.

6 è il numero di gradi di libertà se i due punti fossero liberi. Dobbiamo contare solo i vincoli finiti e bilaterali, e i vincoli finiti e bilaterali sono 3, per cui 6 - 3 = 3, n = 3 è il numero di gradi di libertà del pattino, perché il vincolo in forma differenziale non integrabile limita solo le velocità del punto medio, ma non le configurazioni in questo piano. Cioè il pattino può raggiungere una qualunque configurazione, perché questo vincolo limita solo le velocità e quindi il vincolo è un vincolo di tipo anolonomo, mentre questi sono vincoli olonomi.

La presenza di un vincolo anolonomo fa sì che il sistema meccanico sia detto anolonomo, cioè un sistema meccanico è olonomo se tutti i suoi vincoli sono olonomi, si dice invece anolonomo se esiste anche un solo vincolo anolonomo.

Che cosa sono e in cosa si dividono gli spostamenti infinitesimi?

Ci riferiamo allo spostamento infinitesimo di un punto P. Pensiamo al punto materiale P, la cui posizione dipende dal tempo e vogliamo vedere dove si trova il punto all'istante P(t) + dt, dove dt è un tempo infinitesimo. Lo spostamento infinitesimo di cui ci stiamo occupando, non è esattamente la differenza P(t) + dt - P(t), ma ne costituisce la parte principale di questo spostamento.

Prima di dare la definizione di spostamenti infinitesimi e soprattutto vedere quali tipi di spostamenti infinitesimi possiamo incontrare in meccanica, partiamo supponendo di avere un punto materiale P, che fa parte di un sistema meccanico di parametri lagrangiani ad n gradi di libertà, con parametri lagrangiani q₁, …, qn, consideriamo un istante t = t₀ e pensiamo che il punto P sia parte di un sistema in cui C₀ rappresenta la configurazione all'istante t₀.

Poi ci sarà la ennupla delle velocità generalizzate q₁⁰, q₂⁰, …, qn⁰ punto, dove le qi⁰ punto rappresentano i valori rappresentano i valori delle qi⁰ punto all'istante t₀.

Se vogliamo sapere qual è la velocità del punto P all'istante t₀, basterà fare la derivata di P fatta rispetto al tempo, dove il tempo è contenuto dentro ai parametri lagrangiani. Stiamo facendo il caso in cui il sistema meccanico in esame, sia un sistema scleronomo e quindi P dipenda dal tempo solo attraverso i parametri lagrangiani e non esplicitamente.

Gli spostamenti infinitesimi possono essere di due tipi, possiamo avere gli spostamenti infinitesimi reali e gli spostamenti infinitesimi virtuali.

Che cos’è uno spostamento infinitesimo virtuale?

Com’è la differenza tra spostamento infinitesimo reale e virtuale nel caso di un sistema meccanico scleronomo?

E se il sistema meccanico è reonomo?

Definiamo spostamento infinitesimo virtuale del punto P e lo indichiamo con ∂P il prodotto del vettore v' del punto P per dt, dove v' è una qualunque velocità del punto P all'istante t₀, compatibile con i vincoli, vincoli supposti fissi all'istante t₀ considerato. Li congeliamo, ed ecco che lo spostamento infinitesimo virtuale del punto P è v’ per dt. Nello spostamento infinitesimo virtuale, v' è una velocità possibile del punto P, cioè è una qualunque velocità del punto P all'istante t₀, compatibile con i vincoli, vincoli che devono essere supposti fissi proprio in quell'istante considerato. Se P è un punto di un sistema materiale e in particolare di parametri Lagrangiani q₁, …, qn, possiamo scrivere la v' come la sommatoria per k che va da 1 ad n della derivata parziale di P fatta rispetto a qk calcolata nella configurazione C₀ per qk punto, dove mentre prima per lo spostamento infinitesimo reale, queste sono qk punto, calcolate all'istante t₀, queste sono delle qk punto, generiche, purché siano compatibili con i vincoli, supposti fissi all'istante considerato.

Abbiamo fatto all'inizio un’ipotesi, che è l'ipotesi che il punto faccia parte di un sistema meccanico scleronomo. E in effetti la differenza tra lo spostamento infinitesimo reale e lo spostamento infinitesimo virtuale, nel caso del sistema meccanico scleronomo è meno evidente. Si mette in evidenza in modo particolare quando si parla del sistema meccanico reonomo.

Vediamo la distinzione di come sono fatti gli spostamenti infinitesimi reali e virtuali nel caso di un sistema scleronomo e nel caso del sistema reonomo.

Supponiamo di avere il sistema meccanico scleronomo, supponiamo di avere i punti Ps, ms con s che va da 1 ad N. Supponiamo di avere un punto P che sia funzione di q₁, …, qn, e il tempo non c'è in maniera esplicita, compare solo implicitamente qui, però esplicitamente non c'è, compare solo all'interno dei parametri lagrangiani.

Lo spostamento infinitesimo reale dP, cioè v₀ dt e questo lo scriviamo come la sommatoria per k che va da 1 ad n, di dP in dqk e calcolato in C₀ per qk⁰ punto in dt.

Invece nello spostamento infinitesimo virtuale ∂P, avremo il v’ in dt, dobbiamo congelare i vincoli, cioè v' è una qualunque velocità del punto P, compatibile con i vincoli, supposti fissi all'istante considerato, e quindi avremo che è la sommatoria per k che va da 1 ad n, delle derivate parziali di P, fatte rispetto a qk e calcolate in C₀, e poi ci va per le qk generiche in dt. Questo nel caso il sistema sia scleronomo.

Vediamo cosa succede se invece il sistema è reonomo. Un sistema meccanico è scleronomo se tutti i suoi vincoli sono e scleronomi. Se ne esiste anche uno solo dipendente dal tempo, cioè reonomo, allora il sistema si dice reonomo. Lo spostamento infinitesimo reale in questo caso si scriverà; adesso c'è la dipendenza da q₁, …, qn e poi c'è anche il tempo, per cui qui si avrà che la sommatoria per k che va da 1 ad n della derivata parziale di P fatta rispetto a qk, calcolata in C₂ per la qk⁰ punto per dt, + la derivata parziale di P fatta rispetto al tempo, calcolata in C₀ per dt. Questo è il dP, è lo spostamento infinitesimo reale, si vede la differenza tra questo, caso reonomo e questo, caso scleronomo, è la presenza di questo termine che qui non c'era e qui invece c'è, ed è dovuto al fatto che nel sistema meccanico reonomo c'è anche una dipendenza esplicita dal tempo.

Infine abbiamo invece lo spostamento infinitesimo virtuale, che siccome i vincoli devono essere supposti fissi all'istante considerato, avremo che ∂P è la sommatoria per k che va da 1 ad n della derivata parziale di P fatta rispetto a qk e calcolata in C₀ per qk punto in dt. In questo caso, queste due scritture sono esattamente uguali, dal punto di vista formale. Così come nel caso del sistema scleronomo, il ∂P è sempre uno dei possibile ∂P, è il caso in cui le qk punto nel ∂P sono uguali a qk⁰ punto e questo lo possiamo sempre scegliere.

Quindi se il sistema è scleronomo, lo spostamento infinitesimo reale è sempre uno dei possibili spostamenti infinitesimi virtuali. Invece nel caso in cui il sistema meccanico sia reonomo, lo spostamento infinitesimo virtuale e quello reale sono due cose distinte.

Esempi tra spostamenti infinitesimi reali e virtuali nel caso di sistemi scleronomi e reonomi.

Consideriamo un'asse, su cui si muove un punto P e supponiamo che questa sia la sua velocità, questo è il punto P e la freccia nera è il vettore v₀. Siamo nel caso in cui il sistema meccanico è scleronomo, quindi il vincolo è indipendente dal tempo, cioè questa retta su cui si muove il punto P è una retta che non varia nel tempo, quindi è un vincolo fisso.

dP sarà v₀ per dt, di conseguenza il dP sarà questa freccia, perché è il prodotto di v₀, il vettore velocità per dP. Adesso vediamo chi è invece il ∂P, cioè lo spostamento infinitesimo virtuale del punto P. Dobbiamo considerare le velocità possibili del punto P, compatibili con il vincolo.

Saranno una velocità che va in questa direzione e una velocità che va in questa. Il ∂P, cioè lo spostamento infinitesimo reale, è uno dei possibili spostamenti virtuali, in questo caso è esattamente uguale a questo.

Vediamo un altro esempio, supponiamo sempre di avere un sistema meccanico scleronomo. Allora supponiamo di avere un punto materiale P che si muove sugli un piano. Supponiamo che il suo vettore velocità stia nel piano, ed è questo vettore nero v₀. Vediamo come è fatto il dP, cioè lo spostamento infinitesimo reale. Lo spostamento infinitesimo reale è questo, è concorde con v₀ ed è esattamente determinato dal prodotto tra v₀ e il dt, cioè la variazione infinitesima del tempo dt.

Vediamo invece chi è il ∂P, sempre in questo caso scleronomo. Prendiamo tutte le velocità possibili e allora una qualunque freccia che sta in questo piano, che parte dal punto P e sta nel piano, è uno spostamento virtuale del ∂P, tra cui anche questo. Ancora una volta, anche in questo caso, il dP coincide con questo ∂P, cioè il dP, cioè lo spostamento reale infinitesimo, è uno dei possibili spostamenti infinitesimi virtuali, che sono compatibili con i vincoli, supposti fissi all’istante considerato, ma in questo caso il vincolo è un piano fisso, quindi prendiamo tutte le frecce che partono da questo punto e stanno nel piano e sono tutte delle velocità possibilità possibili, le moltiplichiamo per le t e abbiamo lo spostamento virtuale.

Nel caso del sistema meccanico scleronomo, la differenza tra spostamento infinitesimo reale e spostamento virtuale è meno evidente, ma se invece ci mettiamo nella condizione di considerare un sistema meccanico reonomo, le cose cambiano. Possiamo pensare a una specie di staffa, di asta che fa da ascensore, quindi si muove in questo modo. Supponiamo che ci sia il punto P, che è vincolato a muoversi su questa asta mobile, supponiamo che l'asta mobile si stia muovendo all'istante considerato in questa direzione, cioè stia salendo questa sorta di ascensore e, inoltre supponiamo che invece su questa retta, il punto P si stia muovendo in questa direzione.

La velocità vera v₀ del punto P rispetto all'osservatore assoluto, quindi la velocità sarà la somma di questa velocità del vincolo che è mobile, + la velocità che ha P su questo, che è il vincolo. Quindi possiamo dire, facendo la regola di composizione, che questo è il vettore velocità v₀ che ha il punto P nel dato istante.

Che questo sia un vincolo di tipo mobile è evidente anche dalla costruzione, cioè è un'asta che scorre in su e in giù e il punto si muove su quest'asta. Il dP sarà un vettore fatto così.

Adesso vediamo invece chi è il ∂P. Per calcolare il ∂P dobbiamo prendere tutte le velocità possibili per il punto P compatibili con i vincoli, supposti fissi all'istante considerato. Quindi congeliamo questo vincolo, diciamo che si elimina questa velocità di scorrimento dell'asta su cui si muove il punto, e quindi gli spostamenti virtuali sono quelli compatibili con i vincoli, supposti fissi in questo istante, e quindi uno di questi, questo è ∂P, e l'altro è l'altro ∂P. Non è più vero che dP è uno dei possibili spostamenti infinitesimi virtuali, sono due cose diverse.

Supponiamo di avere un punto che si muove su di una circonferenza, circonferenza che supponiamo abbia il raggio variabile nel tempo, r(t) che varia nel tempo. In particolare, supponiamo che questo raggio, per esempio, possa crescere. Istante per istante, supponiamo che il raggio aumenti.

Dopo un certo intervallo infinitesimo dt, il punto P si troverebbe con un raggio r (t) + t. Se supponiamo che il punto P mentre si sta muovendo sulla circonferenza all'istante t, supponiamo che abbia la velocità v₀ e supponiamo che il raggio cresca da questo r(t) in questa direzione. La velocità con cui P si muove sulla circonferenza è questa, ma poi c'è anche da tenere conto della velocità con cui il raggio della circonferenza aumenta.

Possiamo dire che il dP avrà la direzione della velocità v₀, sarà questo, e invece gli spostamenti infinitesimi virtuali saranno questo e questo. Bisogna pensare che la circonferenza abbia il raggio congelato, perché i vincoli, nel momento in cui si calcola lo spostamento infinitesimo virtuale, devono essere supposti fissi, oppure c'è quest'altro in quest'altra direzione. Il dP, spostamento infinitesimo reale, non è più vero che è uno degli spostamenti infinitesimi virtuali. Quindi questa è la differenza tra il caso reonomo e il caso scleronomo.

Il fatto che il dP non sia uno dei ∂P, lo vediamo proprio nel caso analitico, dal fatto che questo termine influisce sul fatto che qui non c'è e sul fatto che dP non può essere uno dei possibili ∂P, mentre non succedeva nel caso del sistema meccanico scleromo.

Quando uno spostamento virtuale si dice invertibile?

Quando si dice non invertibile?

Esempi di spostamenti invertibili e non invertibili.

Uno spostamento virtuale ∂P si dice invertibile se lo spostamento - ∂P è anch'esso uno spostamento virtuale. In caso contrario, lo spostamento virtuale ∂P si dice non invertibile.

Quindi vediamo subito, quindi uno spostamento virtuale delta P lo diciamo invertibile, se quando consideriamo l'opposto di ∂P, questo è ancora uno spostamento virtuale. Se non succede, allora lo spostamento virtuale si dirà non invertibile.

Supponiamo di avere qua una parete e supponiamo di avere un punto P che si sta muovendo su di un'asta fissa, fissata a questa parete. Consideriamo uno spostamento virtuale, quindi prendiamo questo ∂P e vediamo se è invertibile. Consideriamo il - ∂P, che è ancora uno spostamento virtuale, perché l'abbiamo visto in questo esempio, i due spostamenti virtuali sono questo e questo, quindi quando prendo l’opposto di questo, è ancora uno spostamento virtuale. E quindi questo spostamento virtuale che abbiamo considerato qui è il caso in cui ∂P è invertibile.

Adesso supponiamo di avere il caso in cui il punto P si trova qui. Mi chiedo se questo spostamento virtuale ∂P sia invertibile. Quando prendo - ∂P, questo - ∂P non è più uno spostamento virtuale, perché non è compatibile con i vincoli. Quindi ∂P è uno spostamento virtuale, ma se faccio - ∂P, cioè l’opposto, questo non è compatibile con i vincoli e quindi questo è il caso di spostamento virtuale non invertibile.

Questi concetti ci permettono di capire che ci sono degli spostamenti che sono consentiti dai vincoli, degli spostamenti che sono non consentiti dai vincoli e adesso diamo un'ulteriore definizione. Tra gli spostamenti non consentiti dai vincoli, vogliamo distinguere gli spostamenti totalmente proibiti da quelli parzialmente proibiti.

Che cos’è uno spostamento non consentito dai vincoli?

Consideriamo uno spostamento non consentito dai vincoli, lo indichiamo con un ∂*P, dato da P - Q, quindi individuato da un vettore, si dice totalmente proibito se non esiste alcuno spostamento virtuale ∂P, che avvicini il punto P al punto Q.

Diremo invece lo spostamento non consentito è parzialmente proibito se esiste uno spostamento virtuale ∂P, che porti P ad avvicinarsi a Q.

Supponiamo di avere un pavimento e avere un punto P che è vincolato ad appartenere al pavimento. Consideriamo, per fare un esempio, due spostamenti non consentiti dai vincoli.

Quindi lo spostamento non consentito Q - P, poi consideriamo un altro spostamento, Q’ - P. Adesso vediamo quale dei due è totalmente proibito e quale è parzialmente proibito. Se adesso considero lo spostamento Q- P, prendo gli spostamenti virtuali, quindi prendo per esempio questo ∂P, oppure quest'altro, un altro spostamento virtuale d∂P, nessuno di questi spostamenti virtuali, sono due in questo caso, portano P ad avvicinarsi a Q, questo punto sarebbe più lontano di quanto era P quando stava qui da Q, quest'altro spostamento porterebbe P in questa posizione, che è più lontana da Q di quando P si trovava qui.

Questo è uno spostamento totalmente proibito, perché non esiste alcun ∂P, spostamento virtuale, che avvicini P a Q.

Un discorso diverso invece è per questo vettore, infatti se io prendo lo spostamento virtuale ∂P, P si sposta qui e questo punto è più vicino a Q’, di quando P si trovava qui. Quindi tutti gli spostamenti non perpendicolari al vincolo, quindi qualunque freccia si tracci degli spostamenti non consentiti dai vincoli, questi sono tutti parzialmente proibiti.

Gli spostamenti totalmente proibiti sono quelli che avvengono in direzione sempre normale al vincolo.

Che cos’è una configurazione interna?

E una configurazione di confine?

Dobbiamo avere un sistema meccanico e dobbiamo definire che cosa si intente per spostamento virtuale a partire da una configurazione e non da una posizione, come abbiamo visto prima.

Supponiamo di avere un sistema meccanico Ps, ms, formato da N punti materiali che sia ad n gradi di libertà, con parametri lagrangiani q₁, …, qn. Consideriamo la configurazione C₀, che è quella che prende i parametri lagrangiani e li calcola all’istante t₀, in un certo istante considerato con i che va da 1 a n, numero di gradi di libertà, allora ci chiediamo che cosa sia lo spostamento virtuale ∂C a partire da questa configurazione.

Noi sappiamo fare gli spostamenti virtuali dei singoli punti, quindi noi siamo in grado di considerare il singolo spostamento ∂Ps, mettiamoci nel caso del sistema meccanico scleronomo, sarà la sommatoria per k che va da 1 ad n della derivata parziale di Ps fatta rispetto a qk, questa calcolata in C₀ per ∂qk, dove questi ∂qk sono generici, compatibili con i vincoli, supposti fissi all'istante considerato. Quindi per ognuno dei ∂Ps, abbiamo associato la ennupla n di ∂q₁, …, ∂qn. s va da 1 ad n.

Lo spostamento virtuale ∂C è individuato dagli n spostamenti virtuali N, ∂P₁, ∂P₂, …, ∂Pn. Ciascuno di questi ∂Ps dipende dai ∂q₁, …, ∂qn, ecco allora che lo spostamento infinitesimo ∂C, a partire dalla configurazione C₀ sarà individuato da questa ennupla, che è ∂q₁, …, ∂qn.

C₀ si dice configurazione interna per il sistema meccanico, se ogni spostamento virtuale ∂C, a partire da C₀, è invertibile.

C₀ si dice configurazione di confine se esiste almeno uno spostamento virtuale ∂C a partire da C₀ che sia non invertibile.

Se C₀ è questa configurazione che abbiamo scritto, se è di tipo interno, significa che i qi⁰ per i che va da 1 ad n, sono tutti interni al proprio intervallo di variabilità, dove questi apici 1 e 2, rappresentano l'apice che indica l'estremo di sinistra dell'intervallo di variabilità dell’i-esima componente e 2 l'estremo di destra.

Quindi se tutti i qi⁰ sono interni al loro intervallo di variabilità, la configurazione è di tipo interno.

Se invece siamo nel caso in cui q₁⁰ è uguale ad esempio a qi¹, ne basta uno solo di questi. Allora la configurazione che ha uno degli elementi, per esempio il primo, che coincide con uno dei due estremi dell'intervallo di variabilità, allora è una configurazione di confine. Quindi per avere una configurazione di confine, bisogna che almeno uno dei parametri lagrangiani occupi una delle due posizioni estremali dell'intervallo di variabilità.

Cominciamo a parlare di forze in termini generali e vediamo che le forze, che sono le cause che determinano il moto, possono essere in meccanica di due tipi. Distingueremo le forze attive, dalle reazioni vincolari.

Che cosa sono le forze attive?

In che cosa si dividono?

Una forza è un vettore applicato, quindi punto di applicazione e vettore della forza.

Una forza si dice attiva se il vettore della forza, quindi il vettore F, è noto in funzione del punto di applicazione, della velocità del punto di applicazione e del tempo.

In particolare, se il vettore F come funzione vettoriale, è noto in funzione di x, y, z, che sono le coordinate del punto P rispetto a un certo sistema di riferimento, le derivate x punto, y punto e z punto, e in generale del tempo.

Le forze attive possono essere distinte in due grandi gruppi:

  1. Le forze dovute a corpi, che sono per esempio le forze di tipo newtoniano, le forze elastiche, quindi anche la forza peso, le forze di tipo elettrico e così via. Sono delle forze di tipo assoluto, cioè quelle che un qualunque osservatore misura allo stesso modo.

  • Interno. Le indicheremo con Ps, Fis, con s che va da 1 ad N, le forze di tipo interno, dove il pedice s sta ad indicare che questa forza di tipo interno agisce sull’s-esimo punto e il pedice i, indica che sono forze di tipo interno. Si dicono forze di tipo interno le forze dovute a corpi che sono dovute a corpi o a punti che fanno parte del sistema meccanico in esame, cioè dovute a corpi di tipo interno.

  • Esterno. Le Indicheremo con Ps, Fes, con s che va da 1 ad N, dove abbiamo supposto in generale di avere un sistema materiale di punti Ps, ms. Sono invece forze di tipo esterno quelle che sono dovute a corpi o a punti che non fanno parte del sistema meccanico in esame. E allora, a livello di notazione, avremo questo pedice e, che indica che le forze sono di tipo esterno e questo s, che sta ad indicare che la forza è quella s-esima che agisce sul generico punto Ps.

  1. Invece ci sono le forze attive che sono quelle dovute al sistema di riferimento. Esse non sono, come dice il termine stesso, indipendenti dall'osservatore, così come invece lo sono le forze dovute a corpi. Le forze dovute al sistema di riferimento saranno le forze di trascinamento e le forze di Coriolis, che sono legate all'accelerazione di trascinamento e all'accelerazione di Coriolis.

Esempi di vincoli lisci.

Vediamo l'esempio di un punto che è vincolato ad un piano liscio. Disegniamo questo piano, prendiamo il punto P, che è vincolato ad appartenere a questo piano.

Vediamo come è fatta la sua reazione vincolare; il vincolo è liscio; deve essere ortogonale al vincolo, deve avere stessa direzione e verso opposto di uno spostamento totalmente proibito. Gli spostamenti totalmente proibiti sono tutti quelli ortogonali al piano, e sono o di ingresso nel piano, o di distacco dal piano. Però siccome ce n'è sia uno di distacco, sia uno d’ingresso, il fatto di avere verso opposto di uno di questi spostamenti, genera ambiguità nel verso, mentre lascia definita la direzione.

Indichiamo con n il versore ortogonale al piano a cui è vincolato il punto e diretto verso l'alto, il vettore della reazione vincolare sarà un vettore φ, che è uno scalare, per n dove φ non sappiamo dire se sia positivo o negativo. Quindi il vettore della reazione vincolare potrebbe essere questo, nel caso in cui lo scalare φ sia positivo, oppure può essere anche invece questo qui sotto, nel caso in cui lo scalare φ sia negativo, in modo tale che questo vettore è discorde rispetto al versore n.

Iil valore di questo scalare φ, sarà determinato dal sistema di forze attive che è applicato sul punto P.

Vediamo un altro esempio. Supponiamo di avere invece questa volta un punto che è appoggiato ad un piano liscio. In questo caso, di spostamenti totalmente proibiti ce n'è uno solo, ed è soltanto quello di ingresso nel piano. Lo spostamento totalmente proibito è quello che porta P in direzione ortogonale ad entrare nel piano, di conseguenza se n è il versore ortogonale al piano e diretto verso l'alto, allora questa volta il vettore φ della reazione vincolare sarà dato da φ versore n e lo scalare φ è di necessità maggiore o uguale di 0.

In questo caso, siccome lo spostamento totalmente proibito è soltanto quello di ingresso, non può essere quello di distacco, perché altrimenti il punto non sarebbe più appoggiato e di conseguenza, quando φ è maggiore di 0, il vincolo di appoggio è rispettato, l'istante in cui φ diventa uguale a 0 è l'istante di distacco del punto dal piano, dopodiché φ risulterebbe negativo e vuol dire che il punto si è staccato dal piano.

Un altro esempio, supponiamo un punto vincolato ad una curva liscia γ. Quando il vincolo è liscio, la reazione vincolare si esplica in direzione normale al vincolo, cioè in un piano perpendicolare alla curva γ, nel punto P. Quindi una volta che abbiamo la curva γ, possiamo mettere un sistema di ascisse curvilinee e quindi anche la terna intrinseca, versore tangente, versore normale e versore della binormale.

Il versore tangente è perpendicolare al piano che abbiamo disegnato e tangente alla curva γ nel punto P.

Il versore normale e della binormale sono quelli che stanno in questo piano perpendicolare alla curva γ.

In virtù del fatto che il vincolo è di tipo liscio, questa volta il vettore della reazione vincolare φ sarà dato da un φn, versore normale + φb lungo la binormale. Per rappresentare un vincolo liscio, la reazione vincolare deve appartenere a questo piano, che è ortogonale alla curva γ e perpendicolare alla curva γ nel punto P.

Quindi non ci potrà essere la componente tangente al vincolo, in quanto t è perpendicolare a questo piano, il vincolo è liscio.

Che cos’è il vettore risultante?

Che cos’è il momento risultante?

Un qualunque sistema di forze è caratterizzato da due vettori, che vengono detti vettori caratteristici del sistema di forze. Definiamo il primo vettore caratteristico, che è il vettore risultante.

Si definisce vettore risultante del sistema di forze, la sommatoria per s che va da 1 ad N dei vettori delle forze. Non ho detto la somma delle forze, ho detto la somma dei vettori delle forze. Abbiamo sommato i vettori delle forze, non abbiamo sommato le forze, perché queste forze hanno tutti i punti di applicazioni diverse quindi in generale le forze non si possono sommare.

È un vettore libero ed è la somma dei vettori delle forze.

Secondo vettore caratteristico è quello che si chiama momento risultante risultante del sistema di forze con polo nel punto O. E

Ω (O) di O è la sommatoria per S che va da 1 ad N di Fs, cioè i vettori delle forze, vettor O - Ps, che sono i punti di applicazione.

Dato un generico sistema di forze, è possibile sempre definire questi due vettori ,che sono due vettori liberi. Il vettore risultante è la somma dei vettori delle forze e il momento risultante del sistema di forze con polo in O è la somma di questi prodotti vettoriali.

Vediamo il singolo prodotto vettoriale Fs, vettor Fs, che cos'è. Facciamo un disegno e vediamo, supponiamo di avere qui il punto Ps e questo è il vettore Fs della forza, la forza agisce lungo questa direzione. Se io prendo un punto O, che è il polo che uso per calcolare il momento, allora devo fare il prodotto vettoriale tra il vettore Fs  e il vettore O - Ps. È un vettore che ha la direzione perpendicolare al piano, in questo caso al piano dello schermo, che contiene Ps, Fs e O - Ps. Il verso è diretto verso di noi e il modulo di questo vettore è dato dal modulo del vettore Fs per il modulo di O - Ps per il seno dell'angolo αs, ottengo la distanza di O dalla linea d'azione del vettore della forza, questo segmento si chiama di solito braccio della forza Ps, Fs e il modulo di questo prodotto vettoriale è dato dalla lunghezza del vettore della forza per il braccio della forza.

Una volta fatti questi prodotti vettoriali, vengono tutti sommati. Questi sono detti vettori caratteristici e sia R, sia Ω(O) sono dei vettori liberi, non sono delle forze.

Quali sono le proprietà dei vettori caratteristici?

Come si dimostra il teorema che descrive la seconda proprietà?

La prima di queste proprietà è quella che lega il momento risultante del sistema di forza, che dipende da un polo O, perché abbiamo usato il polo O e a seconda dell'utilizzo di quale polo O si sceglie, questo momento cambia. Questa prima proprietà ci dice che il momento risultante del sistema di forze con polo in O, com’è legato al momento risultante del sistema di forza, se cambio polo, cioè per esempio se prendo il polo in O₁. La formula dice che il momento Ω(O₁) è uguale ad Ω(O) + R vettore risultante vettore O₁ - Q. Questa è la formula che ci dice come il momento risultante di un sistema di forze varia al variare del polo.

Dimostriamo che questo è vero. Allora, Ω(O₁) per definizione, è questa formula con al posto di O, O₁. Quindi Ω(O₁) sarà sommatoria per s che va da 1 ad N di Fs vettor (O₁ - Ps). Siccome dobbiamo trovare il legame che c'è con il polo O, possiamo aggiungere e togliere il punto O e così non cambia nulla. Possiamo mettere in evidenza la presenza del polo O. Possiamo avere le due sommatorie, quindi sommatoria per s che va da 1 ad N di Fs vettor (O₁ - Ps) + la sommatoria per s che va da 1 ad N di Fs vettor (O - Ps).

Guardiamo il primo addendo con la sommatoria, siccome O₁ - O non dipende dall'indice s di sommatoria, posso raccogliere a fattor comune questo termine, e quindi qui metto una parentesi. La sommatoria in s degli Fs è il vettore risultante, e quindi avrò che questo termine è R e quindi scrivo R vettor O₁ - O.

Adesso vado a vedere invece chi è questo termine, la seconda sommatoria. Se andiamo a vedere in questo riquadro la sommatoria in s di Fs vettor (O - Ps) è Ω(O) e quindi abbiamo, in ordine invertito, il secondo membro di questa formula che avevo messo nel riquadro. Quindi guardando la prima e l'ultima di queste catene di uguaglianze, abbiamo dimostrato la formula che ci serviva.

La seconda proprietà la enunciamo attraverso un teorema.

Teorema

Condizione necessaria e sufficiente affinché il momento risultante di un sistema di forze sia indipendente dal polo, è che il vettore risultante R sia il vettore nullo.

Vediamo di dimostrare questo teorema, quindi di dimostrare la condizione necessaria e la condizione sufficiente.

Condizione necessaria

Dimostriamo per prima la condizione necessaria. L’ipotesi della condizione necessaria è che Ω(O₁) = Ω(O), qualunque sia la scelta del polo O₁ e del polo O. Nella tesi vogliamo dimostrare che il vettore risultante è il vettore nullo.

Scriviamo la formula, Ω(O₁) = Ω(O) + R vettor O₁ - O, ma per ipotesi, Ω(O₁) e Ω(O), qualunque sia O₁ e qualunque sia O, sono uguali, quindi Ω(O₁) e Ω(O) si possono semplificare e allora avrò che R vettor O₁ - O è uguale a 0 qualunque sia O₁ e qualunque sia O, che è come dire che ho un primo vettore, che moltiplicato vettorialmente per un O₁ - O qualunque, per un vettore b qualunque, perché se ho O₁ e O sono qualunque, questo secondo vettore del prodotto vettoriale è un vettore qualunque, dà sempre 0. Cioè a vettor b, uguale a 0, per ogni b.

Allora, necessariamente, questo implica, per un teorema che abbiamo visto nel calcolo vettoriale, che R sia il vettore nullo e questo dimostra la condizione necessaria.

Condizione sufficiente

Adesso dimostriamo la condizione sufficiente. L'ipotesi è che il vettore risultante sia nullo, la tesi è che il momento Ω(O₁) = Ω(O) per ogni scelta del polo O e del polo O₁.

Anche in questo caso, riscriviamo la formula che lega i momenti rispetto a poli distinti. Se questo R per ipotesi è il vettore nullo, questo termine non c’è, e la tesi Ω(O₁) = Ω(O) per ogni scelta di O₁ e O. E quindi abbiamo dimostrato anche in questo caso il teorema.

La terza proprietà dei vettori caratteristici è legata ad una grandezza che adesso prima di tutto definiamo.

Come si dimostra il teorema di equivalenza sui sistemi di forze, nel caso in cui l’invariante sia diverso da 0?

b₁) Ora vediamo il caso in cui l'invariante è diverso da zero.

L’invariante può essere diverso da 0, perché il vettore risultante è non nullo, il momento risultante è non nullo e i due vettori R e Ω(O) sono tra loro paralleli. Se siamo in questa condizione, andiamo a vedere a quale caso ci possiamo ricondurre, cioè qual è il sistema elementare di forze che ha R non nullo, Ω non nullo e invariante diverso da zero, con R parallelo al momento del sistema di forze.

Siamo nel caso in cui R è diverso da zero, Ω è diverso da zero, e, inoltre, è parallelo ad R, con I diverso da zero. Quindi è il caso 4) di una forza + una coppia, però dobbiamo dire quale forza e quale coppia.

Il sistema di forze è equivalente ad una forza che indichiamo con il suo punto d'applicazione A e il vettore della forza R + una coppia. La coppia è individuata da un aumento, quindi una qualunque coppia di momento Ω(O), che è quello parallelo ad R. Quindi è una qualunque coppia, sappiamo che sono infinite, che ha momento Ω(O), che è diverso da 0 ed è parallelo ad R.

Si tratta di definire chi è A. A è un punto qualunque dell'asse centrale, individuato dalla retta che passa per O e ha la direzione di R, ed è il luogo geometrico dei punti dello spazio che hanno un momento parallelo ad R. La definizione di asse centrale, che nei casi precedenti di invariante nullo, l’asse centrale era il luogo geometrico dei punti dello spazio rispetto ai quali il momento è nullo, la stessa cosa l'abbiamo vista qui, a₄) l'asse centrale è il luogo geometrico dei punti dello spazio, rispetto ai quali il momento è nullo, quando il sistema di forze è equivalente a una forza più una coppia, c'è ancora l'asse centrale, ma questa volta l'asse centrale è il luogo geometrico dei punti dello spazio, rispetto ai quali il momento è parallelo ad R.

b₂) Adesso rimane il caso R non nullo, Ω(O) sempre non nullo e R che è non è né parallelo, né perpendicolare ad Ω(O), quindi in questo caso è incidente. Non è né parallelo, perché l'abbiamo già visto nel caso precedente e non può essere nemmeno perpendicolare, perché l'invariante è diverso dal zero.

Il vettore Ω(O) lo vogliamo rappresentare come somma di due vettori. Questo è sempre possibile, come la somma di un vettore che ha la direzione perpendicolare ad R e un vettore che ha la direzione parallela ad R.

Abbiamo visto un teorema, nel calcolo vettoriale, che ci permette di dire che un qualunque vettore Ω(O) che può essere scomposto nella somma di due vettori, un vettore Ω parallelo ad R e un altro vettore, Ω, perpendicolare ad R.

Abbiamo, per costruzione, fatto la scomposizione del vettore Ω(O) nella somma di questi due vettori. Adesso prendiamo in considerazione questo vettore Ω, quello azzurro, l'Ω perpendicolare, che per costruzione è perpendicolare ad R, e proprio il vettore R. Dati questi due vettori, R ed Ω perpendicolare di O, che sono per costruzione tra loro perpendicolari. Per la regola della divisione vettoriale, esiste un punto O₁, in realtà ne esistono infiniti, tali che l’Ω(O) perpendicolare ad R si può scrivere come R vettor O - O₁.

Andiamo a vedere che cosa succede se calcolo il momento del sistema di forze rispetto ad uno di questi punti O₁. Ω(O) lo posso scrivere come l’Ω(O) parallelo + Ω(O) perpendicolare + R vettor (O₁ - O).

Proseguiamo nel calcolo, rimane Ω(O) parallelo, l’Ω(O) perpendicolare, si può scrivere come R × (O - O₁) e poi ci rimane questo termine + R × (O₁ - O), che si semplifica con il vettore precedente perché sono uguali e opposti, quindi quello che rimane è soltanto l'Ω(O) parallelo.

Quindi se io uso come polo uno dei punti O₁ che realizza questa equazione, allora il momento di questo sistema di forze è parallelo ad R.

Sono nella condizione in cui ho un R diverso da 0. Poi ho trovato un punto O₁ rispetto al quale il momento risulta parallelo ad R. Posso concludere che ho trovato un sistema di forze che è equivalente ad una forza + una coppia, la forza A, R, dove A è un punto qualunque appartenente all'asse centrale, che è la retta individuata da O₁ e da R. Quindi l'asse centrale è il luogo geometrico dei punti dello spazio, rispetto ai quali il momento risulta parallelo al vettore risultante. Poi c'è una coppia, una qualunque coppia di momento Ω(O), che è il momento Ω(O) parallelo, dove O₁ è quel punto tale che la componente di Ω(O) perpendicolare è proprio uguale ad R vettor O - O₁.

Abbiamo dimostrato che anche in questo caso il sistema di forze è equivalente ad una forza + una coppia. Quindi il sistema di forze, quando l'invariante è diverso da zero, il sistema di forze è sempre equivalente a una forza + una coppia.

Riassumendo quello che si è visto in in questo teorema, quando l'invariante è diverso da zero, il sistema di forze è equivalente a una forza + una coppia.

Che cosa dicono i 3 corollari sul teorema di equivalenza sui sistemi di forze?

Corollario 1

Possiamo dire che condizione necessaria e sufficiente affinché un sistema di forze sia equivalente ad una forza + una coppia, è che l'invariante sia diverso da zero.

Corollario 2

Se vogliamo la condizione necessaria e sufficiente affinché un sistema di forze sia equivalente ad una coppia, era R = 0 e Ω(O) diverso da 0, quindi la condizione necessaria è sufficiente affinché il sistema di forza sia equivalente ad una coppia, è che il vettore risultante sia il vettore nullo e il momento Ω, che è indipendente dal polo, sia diverso dal vettore nullo.

Corollario 3

Se invece adesso vogliamo la condizione necessaria e sufficiente affinché un sistema di forze sia equivalente ad una sola forza, quindi ad una singola forza. Equivalente alla forza l'abbiamo nel caso a₃, con R diverso da 0 e Ω(O) uguale a zero. Ma abbiamo anche l'equivalenza a una singola forza, quando i due vettori caratteristici sono non nulli e sono tra loro perpendicolari.

Quindi la condizione che accomuna il caso a₃ con il caso a₄ è avere vettore risultante diverso dal vettore nullo e in variante 0. Quindi la condizione necessaria e sufficiente affinché il sistema di forze sia equivalente a una sola forza è che l'invariante sia nullo e il vettore risultante sia diverso dal vettore nullo.

Questo caso, è il caso in cui ha senso parlare della somma di forze, perché le forze si possono sommare e danno luogo ad una sola forza, quindi da N forze se ne ricava una sola e il sistema di forze è equivalente alla sola forza.

Il caso che avevamo visto all’inizio, quando abbiamo preso le forze che avevano tutte lo stesso punto d'applicazione, quello è un caso particolare che rientra in invariante 0 e vettore risultante diverso da 0.

Se non siamo in questo caso, in tutti gli altri casi non esiste una somma di forza e quindi non ha senso parlare della forza risultante, mentre in questo caso si può parlare della forza risultante, che è quell'unica forza a cui è equivalente il sistema di forze.

Che osservazioni si possono fare sul teorema di equivalenza sui sistemi di forze?

Una condizione necessaria e sufficiente affinché un sistema di forze sia equivalente al sistema nullo è che abbia nulli il vettore risultante e il momento risultante. Il più semplice sistema di forze equivalente al sistema nullo è una coppia di forze di braccio nullo.

Ad esempio A, F e B, - F è una coppia di forze di braccio nullo, non è una coppia di forze, perché F è parallelo a B - A. Questo è il più semplice sistema equivalente al sistema nullo. Sistemi di forze equivalenti hanno gli stessi effetti meccanici, soltanto se applicati ai punti di un corpo rigido, altrimenti gli effetti meccanici sono diversi, come nel caso a₁).

Altra osservazione riguarda l'asse centrale. L'asse centrale è definito quando il sistema di forze è equivalente ad una sola forza, come nei casi a₃) e a₄), oppure quando il sistema di forze è equivalente a una forza + una coppia, ma la definizione che abbiamo dato è leggermente diversa, perché mentre nel caso del sistema di forze equivalente alla singola forza, abbiamo detto che l'asse centrale è il luogo geometrico dei punti dello spazio, rispetto ai quali il momento risultante è nullo, nel caso invece di equivalenza a forza + coppia, l'asse centrale è il luogo geometrico dei punti del spazio che hanno il momento risultante parallelo ad R.

Volendo dare una definizione che unisce queste due definizioni, possiamo dire che quando si parla di asse centrale, l'asse centrale è il luogo geometrico dei punti dello spazio, rispetto ai quali il momento risultante ha modulo minimo.

Nel caso di equivalenza ad una forza e ad una coppia, il momento rispetto a un punto dell'asse centrale, quindi il momento rispetto a un punto A, dove A appartiene all'asse centrale, lo si trova in questo modo. Si prende il momento Ω(O), deve essere la componente di Ω(O), che è parallela ad R, di conseguenza basta prendere Ω(O), proiettarlo lungo la direzione di R, moltiplicarlo per il versore che ha la direzione di R, di conseguenza, Ω(O) scalare R è l'invariante, il prodotto dei due moduli di R, vale R al quadrato e poi resta R. Per trovare il momento, nel caso in cui il sistema di forza è equivalente ad una forza e una coppia, il momento rispetto a un punto dell'asse centrale, vale I diviso R², lungo il versore R.

Se abbiamo un sistema di forze complanari, il sistema di forze complanari che appartengono tutte allo stesso piano, hanno questa caratteristica, che l'invariante è sempre nullo. Quindi un sistema di forze complanari non potrà mai essere equivalente ad una forza + una coppia, perché l'invariante è sempre il vettore nullo.

Quali sono le operazioni elementari che si possono eseguire sulle forze?

Abbiamo visto il teorema di equivalenza sui sistemi di forze, abbiamo visto che dato un qualunque sistema di forze, questo è sempre equivalente ad uno dei quattro sistemi elementari.

Con le forze si possono compiere delle operazioni, che sono le operazioni elementari, che trasformano il sistema dato in un sistema di forze equivalenti a quello di partenza.

Vediamo quali sono queste operazioni elementari che si possono fare sulle forze:

  1. La prima operazione è l'operazione di composizione di due o più forze, aventi lo stesso punto di applicazione. Si parte da un sistema di forze Ps, Fs con s che va da 1 ad N e attraverso l'operazione di composizione, si ottiene una forza che ha lo stesso punto d'applicazione e come vettore della forza ha il vettore risultante, cioè la somma dei vettori delle singole forze. Facciamo il caso con due forze, quindi supponiamo di avere la forza P, F₁ e la forza P, F₂; mediante l'operazione di composizione, con la regola del parallelogrammo, quello che si ottiene è il vettore F, che è la somma dei vettori F₁ + F₂ con l'usuale regola del parallelogramma. Quindi se facciamo l'operazione di composizione di 2 o più forze con lo stesso punto d'applicazione, questa operazione genera un sistema di forza equivalente a quello di partenza.

  2. Seconda operazione che lascia i sistemi di forze inalterati, cioè li trasforma in sistemi equivalenti, è l'operazione di scomposizione di una forza, in due o più forze, aventi lo stesso punto di applicazione e direzioni assegnate, che possiamo indicare con i versori as, con s che va da 1 ad N. Abbiamo una forza, P, F e l'operazione che facciamo è quella di scomposizione della forza in due o più forze che hanno lo stesso punto d'applicazione e i vettori singoli delle forze, per esempio qui c'è il vettore Fs che sarà dato da una componente scalare, per il versore data dal versore as, dove s viaggerà tra 1 ed N e il vettore F, quello di partenza, è la sommatoria per s che va da 1 ad N, di questi vettori Fs, as. Abbiamo la forza che ha punto d'applicazione P, questo è il vettore F e supponiamo di avere queste direzioni, per esempio questa è la direzione di versore a₁, poi ci sarà la direzione a₂. Facciamo il caso con due versori, allora applicando la regola del parallelogrammo, così come abbiamo fatto con la composizione, lo facciamo con la scomposizione, allora si ottiene che questo è il vettore F₁, che vale F₁ per il versore a₁, questo sarà il vettore F₂ che sarà lo scalare F₂ per il versore a₂. In questo modo, così abbiamo ottenuto la seconda operazione, che è quella di scomposizione.

  3. La terza operazione è quella di scorrimento di una forza lungo la sua linea d'azione. Supponiamo di avere una forza, la forza P, F, quindi punto d'applicazione P, vettore F della forza, l'operazione di scorrimento è quella che prende un punto P’, che appartiene sempre alla linea d'azione della forza e al punto P' applica il vettore F. Quindi P' appartiene alla linea d'azione della forza. Questo è sempre il vettore F, che questa volta ha come punto d'applicazione P'. Queste tre operazioni fatte in sequenza, o fatte mischiate, usando l'una o l'altra, sono tre operazioni che applicate ai sistemi di forze, portano ad avere un sistema di forze equivalente a quello di partenza.

Le operazioni elementari trasformano un sistema di forze dato in un sistema equivalente e questo è un teorema, però noi lo enunciamo soltanto ma non lo dimostriamo, invece il prossimo teorema lo dimostriamo e ne facciamo la dimostrazione grafica.

Com’è un sistema di forze attive interne?

Un sistema di forze attive interne è sempre equivalente al sistema di forze nullo.

La stessa cosa se il sistema di forze non è quello delle forze attive, ma è un sistema delle reazioni vincolari, sempre interne. Quindi un sistema di forze attive interne, oppure un sistema di reazioni vincolari interne, è sempre equivalente al sistema nullo.

Quindi dato un qualunque sistema di forze di tipo interno, siano esse forze attive o reazioni vincolari, purché siano interne, questo sistema di forze è sempre equivalente al sistema nullo.

Quindi se io ho le forze attive, Ps, Fis, con S che va da 1 ad N. Il sistema delle forze attive interne è sempre equivalente al sistema nullo e, in particolare, avrà nulli il vettore risultante e il momento risultante con polo nel punto O e questo per il principio di azione e reazione. Le forze di tipo interno, per il principio di azione e reazione, compaiono sempre a 2 a 2 come coppie di braccio nullo, quindi non sono nulli questi vettori, ma per ognuno di questi c'è il suo opposto, con la linea d'azione lungo la congiungente. E

La stessa cosa si avrà se ho il sistema di reazioni vincolari interne, avranno il vettore risultante nullo e il momento risultante nullo, sempre per lo stesso motivo. Per il principio di azione alle azione, le forze di tipo interno, compaiono sempre a 2 a 2 come coppie di braccio nullo, e pertanto avranno nulli i vettori risultanti e i momenti risultanti. Quando parleremo dei sistemi di forze interne, per noi sarà importante utilizzare questo teorema.

Che cos’è un sistema di forze parallele?

Che cosa dicono i teoremi sul sistema di forze parallele?

Supponiamo di avere un sistema di forze Ps, Fs, in cui i vettori delle forze hanno tutti la stessa direzione. Quindi c'è un versore a che è comune alle forze, questo s va da 1 ad N, c'è per esempio il punto P₁, F₁, il punto P₂, F₂. Supponendo che il versore a sia questo, quello di modulo unitario, il sistema delle forze parallele P₃, F₃, P₄, F₄, P₅, F₅, e così via. Sui punti del sistema meccanico, agisce un certo sistema di forze.

Questo è lo scalare che individua, se è positivo, il fatto che il vettore della forza è concorde con a, come per esempio nel caso che ho disegnato qui per P₁, F₁, per P₄, F₄, per P₃, F₃. Quando Fs invece sarà negativo, come in questo caso, P₂, F₂ e P₅, F₅, significa che i vettori di queste forze sono discordi con il versore a. Quindi questo non è il modulo del vettore della forza, ma è la componente del vettore della forza, lungo la direzione di a. Quindi non è un modulo, perché può essere anche negativo.

L'invariante di un sistema di forze parallele è sempre nullo. Questo è abbastanza semplice da dimostrare. Se calcoliamo il vettore risultante di questo sistema di forze, il vettore risultante sarà la sommatoria per s che va da 1 ad N dei vettori Fs per definizione. Quindi, nel nostro caso, sarà Fs per il versore a. Siccome a non dipende dall'indice s di sommatoria. Allora posso raccogliere a e mettere una parentesi. A questa quantità tra parentesi, una volta sommata, dò il valore r e allora ho trovato che il vettore risultante vale il numero r per il versore a. Adesso ci calcoliamo il momento risultante Ω(O) che per definizione sarà la sommatoria per s che va da 1 ad N di Fs, vettore O - Ps e quindi la sommatoria per s che va da 1 ad N degli scalari Fs per il versore a vettor O - Ps. Siccome di nuovo a non dipende dall'indice s di sommatoria, quindi lo posso raccogliere a fattor comune, e quindi posso scrivere che questo è uguale ad a vettor, sommatoria per s che va da 1 ad N degli Fs, che sono degli scalari per O - Ps. Adesso siamo pronti per calcolarci l'invariante. Dobbiamo fare R scalare Ω(O), quindi R lungo a, scalare a, vettor somma in s di Fs per O - Ps.

Abbiamo un prodotto misto in cui ci sono due vettori, il primo e il secondo, che sono paralleli. In un prodotto misto, se due vettori sono paralleli, il prodotto misto fa sempre 0. Abbiamo dimostrato il teorema.

In un sistema di forze parallele, se l'invariante è 0, è possibile che il sistema di forze parallele sia equivalente ad una forza ed una coppia? Assolutamente no. Un sistema di forze parallele può essere equivalente al sistema nullo, a una forza sola, oppure è una coppia, ma non potrà mai essere equivalente a una forza + una coppia.

Supponiamo di avere un sistema di forze parallele che abbia vettore risultante diverso da zero e quindi enunciamo un teorema. Ci mettiamo nell'ipotesi di avere un sistema di forze parallele Ps, Fs, i vettori Fs che sono un sistema di forze parallele, sono vettori tutti paralleli, e supponiamo inoltre di avere un'altra informazione, che il vettore risultante sia non nullo.

Esiste uno e un solo punto C, appartenente all'asse centrale, che ha la caratteristica di essere indipendente dalla direzione delle forze, e che soddisfa questa relazione C - O, dove O è un punto qualunque dello spazio, è uguale alla sommatoria per s che va da 1 ad N di Fs per Ps - O e al denominatore la sommatoria in s degli Fs. Questo punto C viene detto centro delle forze parallele.

Se abbiamo un sistema di forze parallele, in virtù del teorema precedente, sappiamo che l’invariante è zero. Se nelle ipotesi mettiamo anche che il vettore risultante è diverso da zero, abbiamo la condizione necessaria e sufficiente affinché questo sistema di forze sia equivalente ad una sola forza.

Pertanto, l'asse centrale esiste e questo teorema ci dice, dato un sistema di forze parallele con R diverso dal vettore nullo, e quindi sappiamo che il sistema di forze sarà equivalente ad una sola forza, questo teorema ci dice qualcosa in più. Esiste ed è unico, un punto dell'asse centrale, che si chiama centro delle forze parallele, che ha la caratteristica di essere indipendente dalla direzione delle forze e che soddisfa. questa equazione, C - O è uguale alla sommatoria in s degli scalari Fs, per il vettore Ps - O divisi per la sommatoria in s degli Fs, che per il fatto che R è diverso dal vettore nullo, questo è diverso da 0.

Il fatto che il centro delle forze parallele sia indipendente dalla direzione delle forze, lo leggiamo in questo modo. Se supponiamo che il nostro sistema di forze sia fatto così, P₁, F₁, P₂, F₂, P₃, F₃, P₄, F₄, il versore a è questo versore, adesso supponiamo di fare una rotazione di questo versore a a 45°. Il versore a, che prima è il versore rosso. Adesso prendiamo le forze, le ruotiamo tutte lungo la direzione del versore grigio. Se adesso noi abbiamo i nuovi vettori, le nuove forze, quelle grigie, il centro delle forze parallele si mantiene inalterato. Quindi non dipende dalla direzione delle forze, e viene individuato da questa equazione.

Che cos’è la forza peso di un punto materiale?

Si definisce peso di un punto materiale, quindi anche forza peso di un punto materiale P di massa m, la forza che occorre equilibrare, affinché il punto materiale sia in equilibrio, rispetto ad un osservatore solidale con la terra.

Questa forza viene definita rispetto ad un osservatore in moto, perché l'osservatore solidale con la terra è un osservatore mobile. La forza peso sarà, che indicheremo con il suo punto d'applicazione, che è il punto P, e con il vettore p, rappresenta la forza risultante delle forze che sono dovute principalmente all’attrazione newtoniana tra il punto e la terra; è la forza che è la risultante di due componenti, una è la componente dell’attrazione Newtoniana e l'altra è quella dovuta ai moti della Terra.

Compare nella definizione del vettore della forza peso, la forza di attrazione, punto terra, e inoltre un'altra componente che è la forza centrifuga, dovuta al moto di rotazione della terra.

Quindi il primo contributo è la forza di attrazione esercitata dalla terra sul punto, quindi G è la costante di gravitazione universale, m è la massa del punto, M grande la massa della Terra, diviso ρ², dove ρ è la distanza del punto dal centro della Terra e poi ci sarà un versore, che indichiamo con n e dobbiamo aggiungere il contributo dato dalla forza centrifuga, che indicheremo con - m ω² ρ coseno 𝜑 per il versore N e adesso in dettaglio vedremo chi sono. m è la massa sempre del punto, ω è la velocità angolare di rotazione della terra, ρ è la distanza del punto dal centro della terra e 𝜑 è la latitudine.

Rappresentiamo la terra, la assimiliamo ad una sfera, supponiamo che P sia il punto materiale. Fissiamo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale, con origine nel centro della terra, l’asse z è l'asse sud-nord, poi abbiamo l'asse x e l'asse y, in particolare questi li possiamo chiamare x₁, y₁, z₁, questo sistema di riferimento è un sistema di riferimento solidale alla Terra.

La distanza di P da O la indichiamo con ρ, la latitudine 𝜑 è questo angolo. m piccolo è la massa del punto, invece M è la massa della Terra. ρ è la distanza di P dal centro della Terra, non è detto che P stia sulla superficie terrestre, quindi ρ è la distanza di P da O, G è la costante di gravitazione universale.

n è il versore radiale, cioè è O - P, diviso per ρ. 𝜑 è la latitudine del punto P, ω è il vettore velocità angolare scalare nella terra e dobbiamo dire chi è il versore N. Se adesso prendo la proiezione di P sull’asse z₁, quindi se P₀ è la proiezione di P sull’asse sud-nord (z₁), allora il versore N è P₀ - P, diviso per la distanza tra P₀ e P, quindi è il versore ortogonale all'asse z₁ con verso che va da P a P₀.

Mentre il versore n, quello rosso, è il versore radiale diretto da P al centro della Terra O, il versore N è il versore ortogonale all'asse z₁ e diretto da P verso l’asse, quindi da P verso P₀, dove P₀ è la proiezione di P sull'asse delle z₁.

Il vettore della forza peso è la composizione di questi due contributi. Un contributo in direzione radiale + un contributo che è dato da - uno scalare per il versore N. La linea d'azione della forza peso, che è la composizione di una forza che agisce lungo P - O e di una che agisce sulla linea P₀ - P verso l'esterno, perché c'è un - N, la linea d’azione della forza peso, in generale non passa per il centro della terra, cioè se raccogliamo la massa del punto, allora otteniamo che il vettore P della forza peso è m per la costante di gravitazione universale per M su ρ² per il versore n, - ω² ρ coseno di 𝜑 per il versore N. Questa quantità tra parentesi, questo vettore lo indichiamo con g e questa è l'accelerazione di gravità, è un vettore e la direzione di questo vettore è la direzione della verticale.

La direzione verticale in generale, non passa per O, cioè non passa per il centro della terra, tranne, due situazioni:

  1. Tranne il caso in cui il punto si trova ai poli, polo sud o polo nord, e allora in questo caso abbiamo che, se il punto si trova al polo nord o al polo sud, la forza centrifuga è nulla, si riduce il peso alla sola attrazione gravitazionale, quindi la forza peso è massima ai poli e la linea d'azione della forza peso passa per il centro della terra

  2. Oppure all'equatore, anche all'equatore la linea d'azione della forza peso passa per il centro della terra, perché all'equatore, quindi quando siamo su questo circolo, succede che il versore radiale, quindi il versore n e il versore N coincidono e in questo caso all'equatore la forza peso sarà minima.

La linea d'azione della forza peso passa per il centro della terra solo ai poli, dove la forza peso è massima, perché si annulla questa componente, quindi rimane soltanto questa. Oppure passa per il centro della terra in tutti i punti dell'equatore, dove la forza peso è minima, perché all'equatore 𝜑 vale 0, il coseno di 𝜑 vale 1 e quindi è massima la quantità che viene sottratta da questa, e inoltre n ed N coincidono.

Invece ai poli la forza peso è massima, perché la forza centrifuga è nulla.

Il vettore della forza peso è il prodotto della massa per l'accelerazione di gravità g, che dipende dalla latitudine 𝜑 e dalla distanza ρ del punto dal centro della Terra. Quindi dato un punto P di massa m, a seconda di dove si trova, a seconda quindi della sua distanza ρ dal centro della Terra e della sua latitudine, avrà una forza peso che ha una intensità diversa.

Che cos’è la forza peso di un sistema materiale di punti?

Mettiamoci nel caso in cui di punti materiali ne abbiamo N e quindi vogliamo definire la forza peso di un sistema materiale di punti.

Supponiamo di avere un sistema materiale di punti Ps, ms, con s che va da 1 ad N. Per ciascun punto abbiamo definito la forza peso, quindi avremo che su ciascun Ps, agirà la forza peso di vettore ms, gs, perché su ciascun punto agirà un proprio vettore g che dipenderà da 𝜑s e da ρs. E siccome la latitudine 𝜑 e la distanza del punto Ps dal centro della terra variano, allora ciascun punto avrà la propria gs.

Se però noi consideriamo il fatto che le variazioni di 𝜑 e di ρ, al variare dei punti Ps saranno minime, in quanto la dimensione del sistema materiale di punti è minima rispetto alle dimensioni della terra, allora possiamo fare l'ipotesi che per ogni s, gs sia approssimato da un unico valore g e quindi possiamo dire che ciascun punto avrà come vettore della forza peso ms per g, cioè che la forza peso varierà soltanto, tra punto e punto, in funzione della massa, ma che questa g sarà uguale.

In virtù di questo, per s che va da 1 ad N, questo è un sistema di forze parallele, in quanto forze parallele l'invariante è diverso da zero, e non solo parallele ma anche tutte equiverse, cioè concordi, e quindi il vettore risultante è diverso da zero. Per la presenza di questo termine e di questo, ci permette di concludere che questo sistema delle forze peso, è equivalente ad una sola forza, cioè il sistema delle N forze peso è equivalente ad una forza di punto di applicazione A e il vettore risultante, che è la sommatoria in s di ms per g. E siccome questo vettore g non dipende dall'indice s di sommatoria,  posso raccogliere a fattore comune la g e quindi fare la sommatoria per s che va da 1 ad N degli ms e dire che questa vale m.

Quindi il vettore della forza peso di un sistema di punti materiali varrà massa totale del sistema per il vettore g, accelerazione di gravità che abbiamo detto, approssimare i diversi gs; sono quei famosi 9.81 metri su secondo quadro, a cui siamo abituati quando facciamo gli esercizi con la forza peso.

A è un punto qualunque dell'asse centrale. L'asse centrale, che è il luogo geometrico dei punti dello spazio rispetto ai quali il momento risultante è nullo. Siccome questo sistema di forze parallele ha vettore risultante diverso da zero, sappiamo anche che esiste uno e un solo punto C, detto centro delle forze parallele, che è indipendente dalla direzione delle forze e deve soddisfare questa equazione, C - O è uguale alla sommatoria per s che va da 1 ad N, poi ci vanno le componenti scalari dei vettori delle forze.

Se andiamo a rivedere la definizione di centro delle forze parallele, prendeva C - O uguale alla sommatoria per s che va da 1 ad N degli Fs, Ps - O e diviso per la sommatoria in s degli Fs. Al posto degli Fs ci sono questi, se osserviamo questa definizione, questa è la definizione di baricentro G, e quindi il centro delle forze parallele, quando le forze parallele sono le forze peso è proprio il baricentro.

La forza peso di un sistema di punti la possiamo pensare applicata nel baricentro e di solito si prende applicata nel baricentro, perché quello è quell'unico punto dell'asse centrale che è indipendente dalla direzione delle forze. In realtà, il punto di applicazione della forza peso può essere un punto qualunque dell'asse centrale, perché quando un sistema di forze è equivalente ad una sola forza, il punto di applicazione è un punto qualunque dell'asse centrale. Se si usa il baricentro, si usa il centro come punto d'applicazione della forza peso, si usa in realtà quell'unico punto dell'asse centrale che ha la caratteristica di essere indipendente dalla direzione delle forze.

Qual’è la definizione di lavoro finito?

Mentre nella lezione precedente abbiamo definito il lavoro infinitesimo, adesso parleremo di lavoro finito. Diamo la definizione di lavoro finito compiuto da una singola forza e poi di lavoro finito compiuto da un sistema di forze.

Si definisce lavoro finito compiuto da una forza, che indichiamo con P, punto d’applicazione e F, vettore della forza, nell’intervallo di tempo che indichiamo con t₁, t₂, e lo si indica con L, l'integrale curvilineo per andare da P₁ a P₂ del dL e lo possiamo scrivere anche come l'integrale tra P₁ e P₂ di F, vettore della forza, scalare dP, dove P₁ è la posizione di P all'istante t₁, P₂ è la posizione di P all'istante t₂. Questo è un integrale curvilineo lungo la curva γ che congiunge P₁ con P₂.

Questo è lo spazio fisico e indichiamo con O,xyz la terna di riferimento cartesiana ortogonale. Se il vettore F della forza dipende dal punto P, dalla velocità del punto d'applicazione, il vettore velocità dipende da P attraverso il tempo e poi in generale, c'è la dipendenza esplicita dal tempo. Inoltre dP, che è v in dt, lo possiamo vedere, avendo introdotto la ascissa curvilinea sulla curva γ, percorsa dal punto P, lo scriviamo come v che dipende dal tempo attraverso l'ascissa curvilinea s, allora questo L sarà l’integrale tra t₁ e t₂ di F(P(s(t)), di v che dipende anch’essa da s(t) e poi, in generale dal tempo, scalare v, che dipende sempre da s(t).

Il lavoro finito, compiuto dalla forza P, F, sarà una grandezza che in generale dipende dalla curva γ, dipende dalla legge oraria con cui il punto P descrive la curva γ e dipende esplicitamente anche dal tempo, cioè dall'intervallo t₁ e t₂ che viene utilizzato per andare da P₁ a P₂.

Che cos’è il lavoro finito, compiuto da un sistema di forze?

È possibile anche dare una definizione di lavoro finito compiuto da un sistema di forze, un sistema di forze Ps, Fs, con s che va da 1 ad N, che agisce su un certo sistema materiale, ad esempio pensiamo di avere un sistema meccanico ad n gradi di libertà. I parametri lagrangiani saranno q₁, q₂, ..., qn, e non si ha più una posizione per individuare come è disposto il sistema meccanico, ma si avrà una configurazione C che dipende dal tempo, attraverso questi parametri lagrangiani q₁(t), q₂(t), ..., qn(t). Questi sono dei punti nello spazio S, spazio delle configurazioni. Quindi si passa da una situazione in cui il lavoro finito è compiuto da una singola forza, quindi da questa situazione, e quindi il punto P si muove lungo una curva che sta nello spazio fisico, dove si muove il punto materiale, a una situazione, quando abbiamo un sistema meccanico, quindi un sistema materiale, su cui agisce un certo sistema di forze, ad n gradi di libertà, si passa dallo spazio fisico allo spazio delle configurazioni.

Si definisce lavoro finito (a volte si dice anche solo lavoro) compiuto dal sistema di forze, quel sistema di forze che abbiamo scritto qui, sul sistema meccanico, che è un sistema di punti Ps, ms, con s che va da 1 ad N, nell’intervallo di tempo t₁, t₂, un integrale curvilineo che sempre indicheremo con L, tra C₁ e C₂ del dL. Questa volta è fatto sulla curva Γ, che congiunge la configurazione C₁ alla configurazione C₂. Quindi Γ è una curva nello spazio delle configurazioni, su cui faremo questo integrale, curvilineo che è la sommatoria per s che va da 1 ad N dei vettori delle forze Fs, scalare Ps.

C₁ sarà la configurazione del sistema all’istante t₁, cioè q₁ all’istante t₁, il parametro q₂ all’istante t₁, fino al parametro n all’instante t₁ e C₂ è la configurazione del sistema all'istante t₂, che significa che è la ennupla q₁, …, qn, calcolata all'istante temporale t₂.

Γ è una curva non nello spazio fisico in cui si muovono i punti materiali, ma nello spazio delle configurazioni. Questo lavoro finito dipenderà dalla curva Γ nello spazio delle configurazioni, dalle modalità con cui Γ viene percorsa, e inoltre dipenderà dal tempo, cioè sempre dall'intervallo t₁, t₂. Il fatto che il lavoro finito dipenda dalla curva Γ è dovuto al fatto che i vettori delle forze dipendono dai parametri lagrangiani, q₁, …, qn, il fatto che questo lavoro dipenda dalle modalità con cui la curva Γ viene percorsa, lo si vede nel fatto che il vettore delle forze Fs in generale dipende dai q₁, …, qn, punto e poi c'è la dipendenza dal tempo.

In generale, il lavoro dipende esplicitamente da questi tre fattori, così come abbiamo visto nel caso della forza, dipende dalla curva γ, dalla legge oraria e dal tempo, e qui dipende dalla loro estensione nello spazio delle configurazioni.

Che cosa sono le forze posizionali?

Ci sono dei gruppi di forze, che hanno delle caratteristiche particolari, per cui il lavoro finito, compiuto da queste forze, ha una dipendenza minore, cioè dipende da meno elementi. È possibile definire un insieme di forze per le quali il lavoro dipende soltanto o dalla curva γ nello spazio fisico, se è il lavoro finito è compiuto da una forza, oppure dipende solo dalla curva Γ nello spazio delle configurazioni, se siamo nel caso di un sistema di forze. Questo gruppo particolare di forze è il gruppo delle forze posizionali.

Partiamo dal caso della singola forza e vediamo quando una forza P, F si dice posizionale. Una forza P, F si dice posizionale se il suo vettore, il vettore F, dipende solo dal punto di applicazione e non dalla velocità del punto di applicazione e nemmeno dal tempo. Quindi x, y, z sono le coordinate del punto d’applicazione nel sistema di riferimento Oxyz, le coordinate del punto P saranno misurate rispetto a questo osservatore x, y, z. Per le forze posizionali il lavoro finito, compiuto dalla forza P, F posizionale, dipende solo dalla curva γ, che La definizione che abbiamo dato prima, nel caso di lavoro finito compiuto da una forza, se la forza è posizionale, cioè ha il vettore che dipende solo dal punto di applicazione, quindi dalle sue coordinate x, y, z, allora il lavoro finito dipende solo dalla curva γ e questo sarebbe il lavoro finito, compiuto dalla forza posizionale P, F, per andare dal punto P₁ al punto P₂, nell’intervallo t₁, t₂.

Quando una forza si dice conservativa?

Adesso vediamo un altro insieme di forze per le quali, quando andiamo a calcolare il lavoro finito, c'è un'ulteriore semplificazione per quanto riguarda la dipendenza del lavoro.

Supponiamo di avere una forza singola, quindi la forza P, F si dice una forza conservativa se:

  1. È posizionale

  2. Esiste una funzione U, che dipende solo dalla posizione del punto P di applicazione e viene detta funzione potenziale, tale che il lavoro reale infinitesimo compiuto dalla forza P, F è uguale al differenziale della funzione U.

Questa condizione b) può essere sostituita dalla b’), che dice che esiste una funzione U(x, y, z), detta sempre funzione potenziale, tale che la derivata parziale di U fatta rispetto a x vale Fx, la derivata parziale di U fatta rispetto a y è Fy, la derivata parziale di U fatta rispetto a z vale Fz, dove Fx, Fy ed Fz sono le componenti del vettore della forza F, rispetto al sistema di riferimento Oxyz, in cui il punto P ha le coordinate x, y e z. Questa è una condizione che ci dice che il dL, lavoro reale infinitesimo, è il differenziale esatto della funzione, cioè se le derivate parziali prime della funzione potenziale coincidono con le componenti scalari del vettore F della forza.

Se così è, allora la principale caratteristica della forza conservativa è che il lavoro finito, compiuto dalla forza conservativa quando il punto P si sposta dalla posizione P₁ alla posizione P₂, dipende solo dalla posizione iniziale e finale del punto di applicazione della forza.

x₁, y₁, z₁ e x₂, y₂, z₂ sono le coordinate nel sistema di riferimento Oxyz del punto P₁ e del punto P₂. Il lavoro finito, compiuto dalla singola forza P, F per andare dal punto P₁ al punto P₂, è la differenza di potenziale tra il potenziale nella posizione P₂ e il potenziale nella posizione P₁.

L è l'integrale su γ per andare da P₁ a P₂ del dL e quindi, siccome il dL qui si vede che è uguale al dU, diventa l'integrale di un differenziale e quindi lo possiamo vedere come U(P₂) - U(P₁).

Che cos’è un sistema conservativo di forze?

Supponiamo di avere un sistema di forze Ps, Fs, con s che va da 1 ad N. Il sistema abbia n gradi di libertà con parametri lagrangiani q₁, …, qn.

Questo sistema meccanico di forze, applicato ai punti di questo sistema materiale, si dice un sistema conservativo di forze, quindi il soggetto è il sistema di forze, quindi il sistema si dice un sistema conservativo di forze se:

  1. Le forze sono tutte posizionali, quindi se Fs è funzione dei soli parametri lagrangiani.

  2. Esiste una funzione U, funzione dei soli parametri lagrangiani, detta funzione potenziale o semplicemente potenziale, tale che il lavoro reale infinitesimo compiuto dal sistema di forze è il differenziale esatto della funzione U.

Oppure, che è lo stesso, b’), esiste una funzione U, funzione dei soli parametri lagrangiani, sempre detta funzione potenziale o semplicemente potenziale, tale che la derivata parziale k-esima della funzione potenziale è uguale alla k-esima forza generalizzata di Lagrange e questo per i k che vanno da 1 ad n.

Quindi il sistema conservativo di forze è un sistema di forze in cui le forze sono tutte posizionali e inoltre esiste una funzione potenziale tale che il lavoro reale infinitesimo compiuto dal sistema di forze, coincide con il differenziale esatto della funzione Q, che è lo stesso di dire che esiste una funzione potenziale, le cui derivate parziali prime, coincidono con le forze generalizzate di Lagrange.

Per i sistemi conservativi di forze si verifica che il lavoro finito compiuto dal sistema conservativo di forze per andare dalla configurazione C₁ alla configurazione C₂ è esattamente uguale alla differenza di potenziale tra la configurazione finale, C₂, e la configurazione iniziale, C₁.

Infatti C₁ è la ennupla q₁ calcolata in t₁, qn calcolata all’istante t₁ e C₂ è la configurazione del sistema all'istante t₂, quindi è la ennupla dei parametri lagrangiani, calcolati la prima all'istante t₁ e la seconda all'istante t₂. E questa è la differenza di potenziale tra la configurazione finale e quella iniziale.

Perché ho parlato di sistema conservativo di forze e non sistema di forze conservative?

Un sistema conservativo di forze non è detto che sia fatto da forze tutte conservative. Cioè se tutte le forze, prese singolarmente, sono conservative, cioè realizzano queste condizioni, allora sicuramente, se le applichiamo ai punti di un sistema meccanico olonomo e scleronomo, si otterrà un sistema conservativo di forze, ma non è vero il viceversa, cioè dato un sistema conservativo di forze, quindi con queste caratteristiche,  non è detto che che singolarmente le forze siano tutte conservative.

Che cos’è un sistema meccanico a vincoli perfetti?

I vincoli lisci sono anche vincoli perfetti? Vale il viceversa?

Un sistema meccanico vincolo si dice a vincoli perfetti o anche a vincoli ideali, se il lavoro virtuale compiuto dalle reazioni vincolari ∂ρ, sommatoria per s che va da 1 ad N di φs scalare ∂Ps, risulta maggiore o uguale di zero, per ogni configurazione C₀, compatibile con i vincoli, perché il sistema è vincolato, e per ogni spostamento virtuale ∂C a partire da C₀.

∂C è definito dai singoli spostamenti virtuali ∂P₁, …, ∂PN del sistema meccanico Ps, ms, con s che va da 1 ad N e su cui agisce il sistema di forze Ps, Fs, poi è vincolato, e quindi ci sono anche le reazioni vincolari e poi questo è a n gradi di libertà, i parametri lagrangiani sono q₁, …, qn, associato a ciascuno di questi ∂P₁, …, ∂PN ci sono le variazioni ∂q₁, …, ∂qN e quindi ∂C è la ennupla n delle variazioni ∂q₁, …, ∂qN.

In questa definizione che abbiamo dato di vincoli perfetti, è importante osservare che per questa disequazione vale il segno di uguaglianza in corrispondenza ad ogni spostamento virtuale invertibile.

Mentre se lo spostamento virtuale è non invertibile, allora c’è la disuguaglianza in senso stretto. Perché vale l'uguaglianza nel caso dei ∂C invertibili? Perché se prendo un ∂C, deve verificarsi che il ∂ρ in corrispondenza del ∂C deve essere maggiore o uguale di 0. Quando prendo il -∂C, che per definizione di spostamento virtuale invertibile, è ancora uno spostamento virtuale, allora se prima valeva col maggiore o uguale, poi deve valere col minore uguale e, di conseguenza, dovendo valere per ogni spostamento virtuale la condizione, allora avremo maggiore uguale, minore uguale e quindi varrà l'uguaglianza a zero, si avrà ∂ρ uguale a zero.

I vincoli lisci sono sicuramente vincoli perfetti. Il vincolo è liscio quando si esplica in direzione normale al vincolo.

Non è vero però il viceversa, cioè non è vero che un vincolo perfetto è liscio. Si possono sempre fare esempi:

  • Il vincolo di puro rotolamento è un esempio di vincolo perfetto che non è liscio, infatti c'è attrito, affinché si abbia puro rotolamento ci deve essere attrito.

  • Altri esempi di vincoli perfetti sono i fili, che agiscono tra carrucole sono dei vincoli perfetti.

  • I vincoli di rigidità del corpo rigido sono vincoli perfetti.

Che cos’è una forza costante?

Che cos’è la forza peso di un punto?

Che cos’è la forza peso di un sistema di forze?

Il caso della forza costante è un esempio di forza conservativa. Ci riferiamo al caso in cui abbiamo un punto materiale P, il vettore F della forza, in un sistema di riferimento Oxyz e la terna fondamentale di versori è data dai soliti ī, j e k; questo vettore della forza avrà espressione a ī + b j + c k, dove a, b e c sono delle costanti, sono dei numeri, non dipendono dal tempo, e se poi pensiamo che il punto P, l'applicazione della forza, sia il punto di coordinate x, y e z nel sistema di riferimento che abbiamo considerato, allora, per verificare che la forza cosante sia conservativa, dobbiamo vedere il vettore della forza F è posizionale e questo lo vediamo facilmente, perché il vettore della forza non dipende dalle derivate x punto, y punto, z punto, non dipende esplicitamente dal tempo, ma è costante, in particolare perché a, b, c sono delle costanti, i j e k non dipendono dal tempo, per cui questa è una forza costante.

Scriviamo il dL, che è il prodotto scalare del vettore F della forza per il dP, cioè dobbiamo fare a ī + b j + c k, moltiplicato scalarmente per il dP è dx ī + dy j + dz. Ricordando che ī scalare ī, j scalare j e k scalare k, fanno 1, mentre ī scalare j, ī scalare k e j scalare ī, j scalare k, fanno tutti 0, quello che otteniamo è a dx + b dy + c dz. Questo è il differenziale di ax + by + cz + un termine U*, cioè un termine, costante rispetto a x, y e z, cioè che non dipende da x, y e z, non dipende dal tempo, è una costante. E in questo modo, dopo aver verificato il fatto che la forza fosse posizionale, siamo riusciti a trovare la funzione U, funzione del punto d'applicazione, sulla posizione del punto d'applicazione, cioè di x, y, z, in modo tale che quando faccio il differenziale della funzione U, ottengo esattamente il lavoro reale infinitesimo.

La funzione U di x, y, z è ax + by + cz + un termine U* costante. Abbiamo ottenuto l'espressione della funzione potenziale per la forza costante. La forza costante avrà questo potenziale, che è il prodotto del primo coefficiente, quello lungo ī per x, + il secondo coefficiente costante, b lungo ī per y, + c, terzo termine costante, per z.

Un caso particolare di forza costante è la forza peso di un punto. Supponiamo di avere un sistema di riferimento Oxyz in cui l'asse Oz sia l'asse verticale ascendente. La forza peso come forza costante, in questo caso, varrà - mgk, perché se l’asse z è verticale ascendente, quindi k è il versore verticale ascendente, la forza peso ha la direzione della verticale discendente, e quindi ci vorrà un segno meno. Per cercare l'analogia con il caso precedente, sarà il caso in cui a = 0, b = 0 e c è sarà - mg, dove m è la massa del punto e g è l'accelerazione scalare di gravità.

Il potenziale della forza peso è una funzione sempre di x, y, z, vale - mg per z + una costante, dove z è la coordinata z del punto P d'applicazione. Se avessimo preso l'asse x verticale ascendente, qui ci sarebbe - mgx e così. Questa era la forza peso di un punto, adesso vediamo cosa succede con il sistema delle forze peso di un sistema di punti.

Caso particolare: forza peso di un sistema di forze

In questo caso, avremo Ps, l'asse z è sempre verticale ascendente, quindi - ms g per il versore k con s che va da 1 fino ad N. In questo caso, siccome abbiamo un sistema di forze, e sono tutte forze posizionali, sono forze costanti, queste sono singolarmente delle forze conservative. E quindi applicate ad un sistema meccanico olonomo, scleronomo, a vincoli perfetti, genereranno un sistema conservativo di forze attive e in particolare, la potenziale U sarà la somma per s che va da 1 ad N delle singole funzioni potenziali, quindi - ms g per la zs + il termine costante per ciascuna funzione potenziale, quindi in questo caso la funzione potenziale sarà la somma dei potenziali delle singole forze, perché ciascuna forza peso è una forza conservativa, quindi la loro unione applicata a un sistema meccanico olonomo, scleronomo darà luogo ad un sistema conservativo di forze.

Siccome g non dipende dall'indice s di sommatoria, mentre tutto il resto dipende dall'indice s, allora - g lo possiamo raccogliere a fattore comune, e quindi rimane sommatoria per s che va da 1 a N, di ms zs + Us*. Quando applichiamo la proprietà distributiva, o in realtà questa è una associativa, quando sommiamo su s, gli Us*, otteniamo comunque una costante. La sommatoria in s degli ms zs; la coordinata z del baricentro G, la possiamo scrivere come sommatoria per s che va da 1 ad N di ms zs e poi la dividiamo per la sommatoria per s che va da 1 ad N degli ms. Volendo chiamare questa sommatoria con m, allora potremo dire che se moltiplichiamo, membro a membro, da questa parte e da questa parte per m, quello che si attiene è che m per z g è uguale alla sommatoria per s che va da 1 ad N di ms zs, ma se guardiamo questo termine, è questo numeratore che poi abbiamo trasferito qui. Andando a sostituire qui dentro, al posto della quantità che abbiamo tra parentesi, metteremo m per zG, dove G è il baricentro del sistema di punti + U*, quindi il potenziale delle forze peso è - mg per la quota z del baricentro G. g scalare è l'accelerazione scalare di gravità.

Se vogliamo calcolare il lavoro finito compiuto dalle forze peso, dal sistema delle forze peso nell'intervallo t₁ di tempo t₁, t₂, supponendo di indicare con C₁ la configurazione del sistema all'istante t₁ e il lavoro compiuto per andare nella configurazione C₂, che è la configurazione del sistema, all'istante t₂, allora il lavoro finito è la differenza di potenziale tra U nella configurazione finale e U nella configurazione iniziale.

Vedendo com’è definito il potenziale, questo significa -m g per la quota z del baricentro G₂, cioè la posizione del baricentro G nella configurazione C₂, + U*, e poi ci andrà - la funzione potenziale è valutata in C₁, ma meno per meno fa +, quindi qua ci viene un +, massa totale del sistema, accelerazione scalare di gravità per la quota z della posizione del baricentro all'istante t₁, quando tutto il sistema si trova nella configurazione C₁, meno perché cambia il segno, U*. Quindi +U* e -U* se ne vanno, raccolgo mg, rimane zG₁ - zG₂.

Se leggiamo adesso quanto vale il lavoro finito compiuto dal sistema delle forze peso, nell'intervallo di tempo t₁, t₂, cioè per andare dalla configurazione C₁ alla configurazione C₂, vale mg per la quota del baricentro G₁ - la quota del baricentro G₂.

  • Il lavoro è un lavoro positivo se la quota del baricentro G si abbassa.

  • Il lavoro invece sarà negativo, se la quota del baricentro G si alza.

Il lavoro delle forze peso è un lavoro positivo se per abbassare il baricentro si compie un lavoro positivo, invece si compie un lavoro negativo se dobbiamo alzare il baricentro. Tutto questo indipendentemente da quello che succede in tutti gli istanti di tempo intermedi tra t₁ e t₂. Quello che importa è solo la posizione finale e la differenza tra posizione iniziale e posizione finale del baricentro. Quindi il lavoro dipende dal fatto che alziamo o abbassiamo il baricentro.

Che cos’è la forza di attrazione Newtoniana?

Consideriamo un punto materiale P di massa m e la forza di attrazione newtoniana P, F che agisce sul punto P, dovuta al punto materiale che si trova in O e ha massa M.

Per descrivere come prendiamo la retta congiungente il punto O con il punto P, indichiamo con r il versore diretto come P - O, diviso per la distanza di P da O e se questa distanza la indichiamo con ρ, allora il vettore F della forza di attrazione Newtoniana che agisce su P per effetto della presenza di O, vale - G, costante di gravitazione universale, m massa del punto per M, massa del punto O ρ² per il versore r. Questo vettore è il vettore della forza di attrazione newtoniana, che agisce sul punto P, dovuta alla presenza del punto materiale O di massa M.

Se vogliamo vedere come si rappresenta il vettore P - O è ρ per il versore r. Per vedere se la forza di attrazione newtoniana, è una forza conservativa, dovremmo vedere se è una forza posizionale e questo lo vediamo, perché questo vettore dipende solo da ρ che rappresenta la posizione del punto P rispetto ad O. Non ci sono dipendenze da ρ punto e nemmeno in esplicito dal punto e possiamo dire che la forza è posizionale, a questo punto dobbiamo vedere se esiste la funzione potenziale, tale che il lavoro reale infinitesimo compiuto da questa forza è il differenziale esatto di una funzione. Quello che dovremo vedere è se riusciamo a scrivere F scalare dP, cioè il dL, come il differenziale di una funzione.

Allora F ce l'abbiamo, adesso dobbiamo scrivere dP e per calcolarci il dP, dobbiamo fare il differenziale di P - O. Il differenziale di P - O diventa dρ versore r, perché dρ varia e anche r è una funzione del tempo,+ ρ dr e siccome r è un versore, allora ha tutte le caratteristiche dei versori.

Facciamo i prodotti scalari. r scalare r, fa 1 e quindi rimane - G, m per M diviso ρ² per il dρ e poi dobbiamo fare r scalare dr, ma siccome r è un versore, il dr è sempre ortogonale al versore. Quando facciamo la derivata di un versore, in quanto il versore ha modulo unitario, quindi in particolare ha modulo costante, la sua derivata è ortogonale al versore stesso. Quindi r scalare di r fa 0 e quindi qua abbiamo terminato.

- G, m per M diviso ρ² in dρ lo si può vedere come il differenziale della funzione g m per M su ρ + una U * che è un termine costante. Quindi abbiamo trovato la funzione U, che è funzione solo di ρ, tale che il lavoro reale infinitesimo compiuto dalla forza di attrazione newtoniana è il differenziale della funzione U.

La funzione U di ρ è G, costante di gravitazione universale, m, massa del punto, per M, massa di O, diviso per la distanza di P da O + il termine costante, a meno del quale la funzione potenziale risulta sempre definita, cioè la funzione potenziale è sempre definita a meno di una costante additiva, che noi indichiamo con questo U*.

Che cos’è la forza elastica esterna?

Supponiamo di avere un punto materiale su cui agisce una forza elastica di tipo esterno. Possiamo esemplificare la forza elastica di tipo esterno con una molla di lunghezza nulla a riposo, che ha un estremo in un punto fisso O e agisce sul punto materiale P.

La forza con cui lavoriamo è la forza che ha come punto d'applicazione P, come vettore F della forza, -k² ρ versore r. r è sempre il versore che abbiamo visto prima, quello diretto come P - O. Quindi r è P - O, diviso per ρ, dove anche in questo caso, ρ è la distanza, è l’elongazione della molla, ρ è la distanza di P da O. Quindi P - O è ρ per r e dP quindi è dρ versore r + ρ dr. k² è la costante elastica della molla e r è quel versore.

Questa forza è una forza posizionale, cioè la condizione necessaria è verificata. Se la forza non è posizionale non ci dobbiamo nemmeno porre il problema se sia conservativa, cioè se la forza dipendesse anche da un ρ punto, il vettore della forza, non avrebbe più senso chiedersi se la forza è conservativa, perché non lo sarebbe.

Consideriamo il dL e vediamo se è possibile scriverlo come il differenziale esatto di una funzione che dipende soltanto da ρ. Quindi faremo - k² versore r; il - è dovuto al fatto che su P deve agire una forza che richiama P verso O, e avendo scelto r, il versore in questa direzione, - k² ρ r è il vettore della forza elastica, moltiplicato scalarmente dρ r + ρ dr.

Poiché r scalare r fa 1, avremo - k²ρ in dρ e per lo stesso motivo di prima, r scalare dr, siccome sono ortogonali, in quanto r è un versore, quindi come tale ha modulo costante, in particolare modulo 1, il suo differenziale sarà ortogonale al versore stesso. Quindi r scalare r fa 0, quindi - k²ρ in the dρ e è il differenziale di -½ k²ρ² + un termine costante. La funzione potenziale che cerchiamo -½ k²ρ² + un termine costante. Questo è il potenziale della forza elastica di tipo esterno.

La forza elastica di tipo esterno ha per potenziale -½, la costante elastica della molla, k², per l'allungamento della molla al quadrato. Se la molla fosse una molla ideale, che a riposo, anziché avere lunghezza 0, come abbiamo considerato in questo esempio iniziale, qui abbiamo considerato una molla che prevede che P possa coincidere con O, perché a riposo la molla ha lunghezza 0, se noi pensassimo ad una molla che a riposo ha lunghezza 𝓁, il vettore F della forza sarebbe - k² (ρ - 𝓁) verro r e la funzione potenziale U(ρ) sarebbe -½ k² per l’allungamento della molla al quadrato, sempre + il termine costante. Abbiamo indicato le forze elastiche con una costante elastica che ho indicato con un quadrato, è una questione di comodità, perché se invece indicassi la costante elastica con k, poi dovrei sempre mettere l'ipotesi k > 0, ma siccome ci ho messo k², c'è un quadrato, che fa capire che questa è una costante positiva e non ho bisogno di portarmi dietro ulteriori notazioni, perché si capisce già così.

Che cos’è una coppia di forze elastiche interne di braccio nullo?

Prendiamo un quarto caso e consideriamo una coppia di forze elastiche di tipo interno e che questa coppia abbia braccio nullo. Questo è un esempio di sistema conservativo di forze. Singolarmente le due forze elastiche che prenderemo in esame non sono conservative, ma quando le mettiamo insieme, generano un sistema conservativo di forze.

Abbiamo due punti materiali, quindi abbiamo il punto materiale P₁, il punto materiale P₂; su P₁ agisce una forza che tende a richiamare P₁ verso P₂ e viceversa, su P₂ agisce una forza uguale e opposta, che tende a richiamare P₂ verso P₁. Rappresentiamo queste due forze mediante una molla, ma è solo un modo per rappresentare schematicamente l'effetto. In realtà questa è una coppia di forze, che indichiamo così; la forza che agisce su P₁ ha vettore k² ρ versore r. La forza che agisce su P₂ è - k² ρ versore r. r è sempre il versore che abbiamo indicato prima. ρ è sempre la distanza tra P₁ e P₂. E questa è la coppia delle due forze.

Se quello su P₁ è il vettore F₁, quello che agisce su P₂ è - F₁. Di nuovo abbiamo che il versore r è uguale a P₂ - P₁, diviso per ρ, e quindi P₂ - P₁ vale ρ per il versore r. Le due forze, prese singolarmente, sono due forze posizionali.

Adesso mi calcolo il dL, che è F₁ scalare dP₁ e poi c'è il secondo vettore, - F₁ scalare dP₂. Quindi avrò k² ρ r, scalare dP₁ - k² ρ r scalare dP₂. Io non riesco a scrivere il dP₁, indipendentemente dal dP₂, cioè non riesco a scriverli separatamente, perché P₁ e P₂ non c'è n’è uno fisso, sono tutte due, quindi raccolgo k²ρ r a fattore comune, quindi avrò k²ρ r, scalare dP₁ - dP₂ e quindi questo lo posso scrivere come k² ρr, scalare il differenziale di P₁ - P₂.

Siccome ho P₂ - P₁, raccolgo un - k² ρ r, scalare il differenziale di P₂ - P₁, ho semplicemente cambiato il segno P₁ - P₂ in P₂ - P₁.

Quanto vale il differenziale di P₂ - P₁? - k² ρ scalare r diventa dρ versore r + ρ in dr. Siccome r scalare r fa 1, - k² ρ in dρ è il primo termine, mentre questo prodotto scalare, r scalare dr fa 0 perché sono ortogonali. E questo è il differenziale della funzione -½ k² + un termine costante U*. Questo insieme di due forze, l'insieme delle due forze, cioè della coppia di forze elastiche interne di braccio nullo, interne perché P₁ e P₂ sono il nostro sistema di punti, e questa è una forza, quella che agisce su P₁, e quella che agisce su P₂, P₁ e P₂ fanno parte del nostro sistema in esame, quindi questa è una coppia di forze di tipo interno.

Allora U(ρ) non è -½ k² ρ² + U*. Quando si ha una coppia di forze elastiche di tipo interno di braccio nullo, la funzione potenziale che esiste per questa coppia è dello stesso tipo, -½ k² ρ², che avevamo trovato nel caso della forza elastica di tipo esterno.

Quindi, singola forza elastica esterna ha questo potenziale e anche la coppia di forze elastiche interne di braccio nullo, ha la stessa funzione potenziale.

  • Quello che si può dire, dal punto di vista fisico, cioè questo risultato ci dice che ciò che immagazzina energia è la molla, la possiamo vedere come la molla nel suo complesso, per cui il bilancio dell’energia e del lavoro, deve essere valutato sul lavoro totale compiuto dalle due forze, in modo che si possa parlare di sistema conservativo.

  • Dal punto di vista matematico, non possiamo fare diversamente, perché non esiste una funzione potenziale il cui differenziale da solo sia questo e non esiste una funzione potenziale il cui differenziale sia questo. Cioè non possiamo scrivere il differenziale di P₂ - P₁ separatamente l’uno dall’altro e quindi questo è l'unico modo. Questa forma differenziale è un differenziale esatto soltanto se; questo dipende dalla distanza di P₂ - P₁, se lo mettiamo in coordinate cartesiane, questa parte dipende sia dalla coordinata x₁ del punto P₁, sia dalla coordinata x₂ del punto P₂ e quindi, quando facciamo le forme differenziali in questo modo, essendoci dipendenza in questa forma, sia dalle coordinate di P₁, sia dalle coordinate di P₂, questo è il differenziale esatto di una funzione.

Che cos’è una coppia di forze attive, applicata ad un corpo rigido?

Coppia di forze attive di momento Ω = Ω (ϑ) 𝑎, applicata ai punti di un corpo rigido 𝒞, che ha l'asse di istantanea rotazione parallelo al versore 𝑎, e l'angolo di rotazione sia ϑ

Quindi adesso voglio calcolare se la coppia di forze attive che ha momento Ω dato da Ω funzione di ϑ come scalare per il versore 𝑎, che è applicata ai punti di un corpo rigido 𝒞 che ha l'asse di istantanea rotazione parallelo ad 𝑎 e ha angolo di rotazione individuato da ϑ.

Per una coppia di forze il vettore risultante è 0 e il momento è indipendente dal polo. Il lavoro infinitesimo compiuto da un sistema di forze applicate ai punti di un corpo rigido vale R scalare dO₁ + Ω(O₁) scalare dϑ 𝑎. Quindi il dL vale R scalare dO₁ + Ω(O₁) scalare dϑ 𝑎 e siccome nel caso della coppia R è uguale a 0 e questo momento è Ω(ϑ) versore 𝑎, quello che otteniamo nel nostro caso è Ω(ϑ) versore 𝑎, scalare 𝑎 dϑ e siccome 𝑎 scalare 𝑎 fa 1, qui ci viene  Ω(ϑ) in dϑ.

La funzione potenziale che cerchiamo è una U(ϑ) che è l'integrale tra ϑ₀ e ϑ di Ω(ξ) in dξ + un termine costante. In questo modo abbiamo ottenuto che anche la coppia di forze attive, che è Ω applicato ai punti di un corpo rigido che ha asse d’istantanea rotazione che è parallelo ad 𝑎, angolo di rotazione ϑ, vale esattamente questo integrale.

In questo modo abbiamo visto i principali esempi di forze conservative e anche un esempio di sistema conservativo di forze attive, in cui le forze prese singolarmente non ammettono potenziale, ma quando le mettiamo assieme, esse ammettono il potenziale.

Tutte queste funzioni potenziali le prenderemo come funzioni note, cioè tutte le volte che incontriamo la forza peso sappiamo come scrivere il suo potenziale, quando incontriamo la forza elastica di tipo esterno, sappiamo come scrivere il suo potenziale, e così via.

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Emma T.

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