Buffl

5. Meccanica del punto

ET
by Emma T.

Come si studia il modo del punto materiale?

Dalla seconda legge fondamentale della meccanica, sappiamo che rispetto ad un osservatore inerziale, quindi rispetto ad un osservatore inerziale Oxyz per il quale va il principio di inerzia, la legge che governa il moto di un punto materiale P, di massa m è la legge di Newton, quindi rispetto a questo osservatore avremo che la massa per l'accelerazione del punto P, accelerazione che il sistema di riferimento Oxyz misura, è uguale al vettore F della forza che agisce sul punto P; il vettore F delle forze attive dipende da P, dalla velocità del punto P e dal tempo + φ e anche questa φ sarà dipendente dal punto materiale, dalla velocità del punto materiale e dal tempo. E questa somma di questi due vettori la possiamo vedere anche come un vettore risultante, la cui dipendenza rimane quella che abbiamo visto per il vettore risultante delle forze attive e delle reazioni vincolari. Quindi questa è la legge di Newton che governa il moto di un punto materiale, cioè il moto del punto materiale, istante per istante, deve soddisfare la legge di Newton, m per a è uguale ad F + φ, dove F è il vettore delle forze attive agenti sul punto, φ il vettore delle reazioni vincolari.

Si possono presentare diverse situazioni, cioè il punto materiale può essere materiale può essere soggetto ad un certo sistema di forze attive, ma essere un punto materiale libero oppure, viceversa, può succedere invece che il punto materiale soggetto a un certo sistema di forze attive sia invece un punto materiale vincolato.

Come si studia il moto di un punto materiale libero?

Come si ricavano le equazioni differenziali del moto?

Supponiamo di avere un punto che indichiamo con P, di massa m, che sia libero di muoversi nello spazio. Rispetto ad un osservatore inerziale Oxyz, soggetto alla forza attiva risultante di vettore F.

Quando scriviamo la legge di Newton, il punto durante il moto, istante per istante, deve soddisfare la legge m per a, uguale, a questo punto c'è soltanto il vettore F, perché φ, siccome il punto materiale è libero, sarà 0, quindi F che dipende dal punto d'applicazione P, dalla velocità del punto d'applicazione e dal tempo. Questa equazione del moto contempla l'accelerazione, che è una derivata seconda. Quindi questa è un'equazione differenziale e sarà del secondo ordine, avremo bisogno anche di conoscere la posizione del punto all'istante iniziale, posizione che indicheremo con P₀, e inoltre, essendo del secondo ordine, ci serve anche conoscere qual è il vettore velocità all'istante iniziale.

Questo è un problema di Cauchy e, dall'analisi matematica, sappiamo che se la funzione che sta qui a secondo membro di questa equazione differenziale, quindi nel nostro caso F, funzione di pP v(P) e del tempo, è una funzione sufficientemente regolare dei suoi argomenti, in particolare se il vettore F, come funzione vettoriale, è una funzione Lipschitziana rispetto alla posizione, alla velocità del punto, allora il problema di Cauchy ammette una ed una sola soluzione. Di conseguenza, il moto di P risulta univocamente determinato, cioè una volta assegnate le condizioni iniziali si risolve questa equazione differenziale del secondo ordine e l'analisi matematica ci dice che se F è una funzione regolare, allora la soluzione è unica, quindi il moto, dal punto di vista fisico, è unico. Questo è quello che in fisica è la legge del determinismo del moto che si ha in meccanica classica, cioè date le condizioni iniziali, tutta la storia, dall'istante iniziale t₀ in poi, quindi il futuro, è completamente determinato dall'integrale generale, cioè dalla soluzione di questa equazione differenziale.

Il punto materiale è libero di muoversi nello spazio, ha tre gradi di libertà, quindi n, numero di gradi di libertà, è 3 e possiamo scegliere come parametri lagrangiani le tre coordinate cartesiane x, y e z del punto P, tre parametri perché tre è il numero di gradi di libertà, possiamo scrivere il nostro problema di Cauchy in forma cartesiana, quindi rappresentato nel sistema di riferimento Oxyz, in quanto allora il vettore accelerazione del punto P lo possiamo scrivere come la derivata seconda x due punti ī + y due punti j + z due punti k, dove i, j e k sono i versori fondamentali della terna del sistema di riferimento Oxyz. Il vettore risultante della forza attiva che agisce sul punto P lo possiamo rappresentare con le sue componenti cartesiane, Fx, Fy ed Fz, quindi il vettore F si scrive in questo modo. Quindi la legge di Newton la possiamo esprimere in forma cartesiana.

Al posto di questa equazione differenziale, genericamente scritta come m per a uguale ad F, questa l'abbiamo declinata sulla base del nostro problema particolare che stiamo considerando, e allora da questa equazione vettoriale, possiamo passare alle equazioni scalari; si moltiplica scalarmente membro a membro questa equazione, la prima volta per il versore ī.

Poiché ī scalare ī fa 1, mentre j scalare ī e k scalare ī fanno 0, ottengo che dal primo membro mi rimane soltanto mx due punti. Al secondo membro quando faccio questo vettore F scalare ī, ottengo ancora ī scalare ī che fa 1, mentre j scalare ī e k scalare ī che fanno 0 e quindi quello che ottengo è Fx.

Se anziché moltiplicare scalarmente, membro a membro, l'equazione per ī, la multiplico scalarmente per j, otterrò, per lo stesso motivo di prima, m y due punti uguale a Fy. Ora la moltiplicazione la faccio scalarmente per k, sempre membro a membro, e otterrò m z due punti, uguale ad Fz. Questo è il sistema delle tre equazioni differenziali del moto, sono equazioni scalari. Equazioni differenziali del secondo ordine, in cui la x compare derivata al secondo ordine, lo stesso la y e la z e queste equazioni sono le equazioni differenziali del moto del punto P libero.

Le componenti scalari del vettore F, siccome F dipende dal punto d'applicazione, dalla velocità del punto d'applicazione e dal tempo, queste componenti scalari dipenderanno da x, y, z, da x punto y punto z punto e dal tempo. Quindi tutte e tre, Fx, Fy e Fz avranno questa dipendenza dalla posizione del punto in x, y, z, dalla velocità del punto d'applicazione del vettore della forza, cioè da x punto, da y punto e da z e, in generale, dal tempo. Queste sono le tre equazioni differenziali del moto, che sotto le ipotesi di regolarità che abbiamo detto prima, cioè se la funzione vettoriale F con le sue componenti scalari Lipschitziana rispetto alle x, y, z, x punto, y punto e z punto, allora avremo che queste equazioni differenziali ammettono soluzione, quindi in particolare avremo che la prima equazione ci fornisce una x che sarà funzione, questo è un sistema di tre equazioni differenziali del secondo ordine, quindi la x uguale a x di C₁, C₂, C₃, C₄, C₅, C₆ e del tempo. Questa sarà l'integrale generale della prima equazione differenziale, dipende da 6 costanti arbitrarie, in quanto abbiamo un sistema di tre equazioni del secondo ordine, differenziali del secondo ordine, 3 per 2 che fa 6, y sarà funzione delle stesse costanti, la stessa cosa varrà anche per z che è l'integrale generale della terza equazione.

Queste costanti si determinano attraverso le condizioni iniziali. Infatti queste tre soluzioni, cioè questi tre integrali generali e sono soluzioni di queste equazioni differenziali e la soluzione di queste equazioni differenziali si determina attraverso i metodi dell'analisi matematica. Dal punto di vista fisico, rappresentano così, in questa condizione, cioè con le costanti ancora indeterminate, tutti gli infiniti alla 6 moti possibili del punto P libero di muoversi, cioè senza vincoli, e soggetto alla forza P di vettore F che abbiamo visto lì, cioè ci sono infinito alla 6 moti possibili per il punto materiale P, soggetto a questa determinata forza, quella che ha componenti Fx, Fy, Fz. Per il fatto che il moto della meccanica classica è deterministico, ci sarà un solo moto, tra questi infinito alla 6 possibili, che soddisfa le condizioni iniziali. Cioè tra tutti gli infiniti alla 6 moti possibili, se io impongo che all'istante iniziale il punto P si trovi in P₀ con velocità v₀, allora esiste un solo moto che ha queste caratteristiche.

Si dice imporre le condizioni iniziali, cioè imporre che all'istante t₀ il punto P si trovi nella posizione P₀ con velocità v₀, e allora determinerò come sono fatte quelle costanti. Infatti, imporre le condizioni iniziali, che sono che la x all'istante t₀ valga x₀, che la y all'istante t₀ valga y₀ e che la z all'istante t₀ valga z₀, in quanto x₀, y ₀e z₀ sono le coordinate del punto P₀ che avevamo imposto essere la posizione del punto all'istante iniziale e se questo v₀ avrà componenti v₀ x, v v₀ y, v₀ z allora le altre condizioni iniziali che dobbiamo imporre sono che x punto all'istante t₀ valga v₀ x, che y punto all'istante t₀ valga v₀y e che z punto all'istante t₀ valga v₀ z, dove v₀ x, v v₀ y, v₀ z sono le componenti scalari del vettore v₀, velocità del punto P all'istante iniziale.

Come si fa ad imporre le condizioni iniziali? Qui dentro, dentro questi integrali generali, sostituisco al posto di t, t₀ e impongo che la x, che dipende da queste costanti, calcolata in t₀, valga esattamente x₀, quindi dico che x di C₁, C₂, C₃, C₄, C₅, C₆ all'istante t₀ deve essere uguale a x₀, che la y sempre dipendente da queste costanti sempre dalle stesse, all'istante t₀ valga y₀, lo stesso faccio con z₀ e poi lo faccio con le derivate prime, con la x punto, la y punto e la z punto di t, calcolate in t₀. Quindi, dopo aver derivato la x, la y e la z, cioè dopo aver derivato queste funzioni le calcolo, quindi x punto che dipende da C₁, C₂, C₃, C₄, C₅, C₆ la calcolo in t₀ e dico che deve valere v₀x. La y punto, sempre stessa cosa, dipendente da tutte queste costanti, calcolata in t₀ deve valere v₀y e lo stesso la z punto.

Ora ho ottenuto un sistema di 6 equazioni in 6 incognite, che sono queste costanti. Risolvo questo sistema e ottengo le sei costanti C₁*, C₂*, C₃*, C₄*, C₅*, C₆*, le sei costanti che soddisfano questo sistema, cioè che ottengo imponendo le condizioni iniziali. Per avere il moto del punto materiale libero, soggetto alla forza risultante F, prendo queste costanti e le vado a sostituire qui dentro, dentro agli infiniti alla 6 moti possibili, a cui è soggetto il punto materiale. Queste costanti che ho ottenuto le vado a mettere qui e quindi, quello che ottengo, è che se vado a sostituire, al posto delle costanti, da C₁ a C₆, queste che ho trovato, ottengo x = x(t), y = y(t) e z = z(t) e questo è il moto, del punto P, libero di muoversi nello spazio e soggetto alla forza P, F con condizioni iniziali che sono quelle che abbiamo visto prima, P all'istante t₀ si trova in P₀ e la velocità all'istante t₀ che vale t₀. Questo è il moto del punto materiale P libero, soggetto a quella forza di vettore F. Le costanti che abbiamo determinato, imponendo le condizioni iniziali, le devo andare a sostituire in questo sistema, che è l'integrale generale che ho ottenuto, risolvendo questo sistema di equazioni differenziali.

Questo era il caso dello studio del moto del punto libero, soggetto a un certo sistema di forze.

Come si studia il moto di un punto vincolato ad un piano liscio?

Ora però può succedere che, nei casi generali, il punto materiale non sia libero, ma sia vincolato. Allora vediamo come si studia il moto del punto materiale vincolato, ma ci dobbiamo mettere in un’ipotesi, vincolato con vincolo liscio, cioè vincolato senza attrito.

Esaminiamo i casi più comuni che si possono incontrare di punto materiale che sia  vincolato con un vincolo liscio, cioè senza attrito. Il vincolo senza attrito, cioè il vincolo liscio, è un vincolo che si esplica sempre in direzione normale al vincolo.

a) Il primo è l'esempio del punto materiale che è vincolato ad appartenere ad un piano liscio che indichiamo con π. Il punto P non si può staccare dal piano e non può entrare nel piano. Fissiamo un sistema di riferimento Oxyz, in cui prendiamo come piano il piano Oxy, coincidente con questo piano π. L’asse z è ortogonale al piano.

Il punto materiale vincolato a piano liscio ha 2 gradi di libertà. Come parametri lagrangiani, possiamo scegliere la x e la y del punto P nel piano. Ovviamente la z è costantemente 0 se il punto deve rimanere nel piano. Scriviamo il problema di Cauchy. M per a uguale, supponiamo che sul punto agisca una forza attiva di vettore F, e + φ, che rappresenta la reazione vincolare. Scriviamo il problema di Cauchy, diciamo che all'istante iniziale il punto P si trova in P₀ con una velocità, che indichiamo con v₀. Allora è evidente che P₀ sarà nel piano, perché il punto è vincolato a stare nel piano e il vettore velocità dovrà essere anch’esso nel piano, quindi sarà un vettore fatto così. Questa è la legge di Newton che governa il moto e queste sono le condizioni iniziali.

Vediamo come si scrivono i vettori in funzione dei parametri lagrangiani. Il vettore accelerazione sarà x due punti ī + y due punti j, cioè la derivata seconda del vettore P - O, il vettore risultante delle forze attive che agiscono sul punto P sarà un vettore che ha una componente Fx lungo ī + Fy lungo j + Fz lungo k.

Adesso si tratta di vedere chi è φ. La forza attiva è nota in funzione dei parametri lagrangiani e delle velocità generalizzate e in generale del tempo. Quindi questi Fx, Fy e Fz saranno delle funzioni note dei parametri lagrangiani delle velocità generalizzate e del tempo. Allora φ, siccome il vincolo è liscio, si esplica in direzione normale al vincolo, cioè avrà stessa direzione e verso opposto di uno spostamento totalmente proibito. Gli spostamenti totalmente proibiti sono sia quelli di stacco in direzione perpendicolare al piano, sia quelli di ingresso nel piano in direzione perpendicolare al piano. Quindi in questo problema ci sono due spostamenti totalmente proibiti e quindi la reazione vincolare è incognita in verso, incognita in intensità, perché la reazione vincolare è sempre incognita in intensità, ma la direzione è nota, che è la direzione quella perpendicolare al piano. Quindi il vettore della reazione vincolare φ lo scriveremo come un φz, cioè una componente scalare, lungo k. Questo è il vettore della reazione vincolare che rappresenta il vincolo liscio, vincolo di P, appartenente al piano π. Adesso possiamo andare a sostituire questi vettori che abbiamo scritto in questa equazione.

Facciamo la proiezione lungo i versori ī, j e k, in modo da ottenere già le tre equazioni scalari. Proiettare un'equazione vettoriale lungo le tre direzioni scalari, significa moltiplicare membro a membro, prima per il versore ī, poi per il versore j e poi per il versore k. Quello che ottengo, in virtù delle regole sul prodotto scalare, è che ho mx due punti, uguale a Fx, cioè alla componente del vettore delle forze attive lungo x, che dipenderà da x y, da x punto, y punto e, in generale, dal tempo. E poi, la reazione vincolare, siccome non ha componente lungo ī non dà contributo.

Adesso facciamo la proiezione di questa legge di Newton lungo j, e quindi ottengo m y due punti, che è uguale ad Fy di x, y, x punto, y punto e del tempo. Siccome la reazione vincolare non ha componente lungo j, qui non c'è nessun altro contributo. Infine, quando proiettiamo lungo k, avremo m z due punti, uguale a Fz di x, y, x punto, y punto, t +, siccome k scalare k fa 1, ci viene φz.

Abbiamo ottenuto quindi un sistema di tre equazioni differenziali in 3 incognite. In un problema di moto le incognite sono i parametri lagrangiani i q₁(t), q₂(t), …, qn(t) in questo caso quindi x(t) e y(t) e le reazioni vincolari scalari dinamiche, quindi in questo caso la φz.

Un sistema di tre equazioni differenziali in tre incognite, che sono i parametri Lagrangiani e la reazione vincolare scalare dinamica. Le prime due equazioni che non contengono la componente scalare della reazione vincolare, sono le equazioni differenziali del moto. E siccome quando c'è un problema ad n gradi di libertà, n piccolo è il numero di equazioni differenziali del moto che ci aspettiamo di trovare. Questo è un problema a due gradi di libertà e infatti 2 è il numero di equazioni differenziali del secondo ordine che troviamo come equazioni differenziali del moto.

Quando proietto l'equazione di Newton lungo k, qui l'accelerazione non ha la componente lungo k, quindi questo termine non c'è, è 0; l’equazione differenziale ha il primo membro m x due punti ī + y due punti j, uguale a questo vettore + questo e quando proietto scalarmente lungo k, il primo membro mi dà 0, perché il termine non c’è.

La terza equazione ci permette di determinare le reazioni, in questo caso la reazione vincolare scalare durante il moto, cioè quella dinamica, in questo caso che vale - Fz di x, y, x punto y punto e t. In questo caso ho un sistema di due equazioni differenziali del secondo ordine, quindi l'integrale generale sarà una x uguale a x di C₁, C₂, C₃, C₄, t dipende da 4 costanti arbitrarie, abbiamo 2 equazioni del secondo ordine, quindi 2x2 fa 4 e y analogamente sarà dipendente dalle 4 costanti e dal tempo. Questi rappresentano l'infinito alla 4 moti possibili del punto materiale P, vincolato al piano liscio π. Adesso impongo le condizioni iniziali, cioè che la x all'istante t₀ valga x₀, che la y all'istante t₀ valga y₀, e che la x punto all'istante t₀ valga v₀x e la y punto all'istante t₀ valga v₀y. Quindi imponiamo le condizioni iniziali e diciamo che x di C₁, C₂, C₃, C₄, calcolata all’istante t₀ deve valere x₀ e analogamente, per la y, che dipenderà sempre dalle quattro costanti, calcolata in t₀, deve valere t₀ e questo mette a posto la posizione iniziale. Adesso dobbiamo sistemare e imporre la condizione sulle velocità, quindi questa è la x punto all'istante t₀ deve valere v₀x, la y punto Infine deve valere all'istante t₀, v₀y.

Questo è un sistema di quattro equazioni in quattro incognite che sono le costanti, quindi io troverò le quattro costanti C₁, C₂, C₃, C₄, queste sono le quattro costanti che vado a sostituire qui dentro e, in questo modo, una volta sostituite le C₁*, C₂*, C₃*, C₄*, quello che ottengo è x, funzione del tempo, y funzione del tempo, che rappresentano il moto del punto materiale P, soggetto alla forza attiva risultante di vettore F e vincolato al piano liscio.

Come si studia il moto di un punto appoggiato ad un piano liscio?

b) Se adesso supponiamo invece di avere non un punto vincolato al piano liscio, ma appoggiato, cioè il vincolo di appartenenza al piano si sostituisce con un vincolo di appoggio. Cosa succede se considero un punto materiale P che è appoggiato ad un piano liscio, che indichiamo sempre con π?

Se questa volta il vincolo è un vincolo di appoggio, si fa tutto esattamente allo stesso modo, tranne per l'espressione di φ. Perché questa volta, se il vincolo è di appoggio, gli spostamenti totalmente proibiti non sono più due, ma è uno solo, è quello di ingresso nel piano in direzione perpendicolare al piano e quindi, essendoci un solo spostamento totalmente proibito, la reazione vincolare sarà data da una φz k, con φz maggiore o uguale di 0. Si determina tutto allo stesso modo, come abbiamo visto prima, quindi si fanno tutti gli stessi passaggi, quindi si scrivono le equazioni differenziali del moto, l'espressione della reazione vincolare dinamica, si determinano gli infiniti alla quattro moti possibili, si impongono le condizioni iniziali, si trovano le costanti che soddisfano questo sistema, si sostituiscono qui dentro e si ottiene il moto.

Una volta determinato il moto x = x(t), y = y(t) come abbiamo fatto prima, questo moto si va a sostituire nella φz, cioè la φz che abbiamo calcolato qui, che soddisfa la terza equazione, che dice che φz durante il moto deve essere uguale a - Fz, funzione di queste cose, che rappresentano il moto e queste le velocità. Nel caso del punto appoggiato, φz deve essere uguale a - Fz di x(t), y(t), x punto di t, y punto di t, z punto di t, di quel moto che abbiamo appena calcolato, cioè le derivate di queste funzioni, e in generale del tempo, ma affinché il vincolo sia mantenuto, questo deve essere maggiore o uguale di 0, quindi deve succedere che durante il moto, affinché il vincolo di appoggio sia mantenuto, la x(t) e la y(t) devono essere tali per cui la Fz, calcolata durante il moto, deve essere minore o uguale di 0. Se noi mettiamo sul punto, facciamo agire un sistema di forze attive, il cui vettore risultante ha una componente lungo z, che è di questo tipo, cioè diretta in direzione opposta rispetto al verso opposto di z, quindi verso il piano, allora il vincolo di appoggio è conservato e il moto è in effetti questo con questa condizione su Fz e di conseguenza questa sul vincolo.

Se invece succede che il vettore della forza che noi applichiamo lungo z è positivo, cioè questa componente lungo z è positiva, allora vuol dire che il punto si stacca dal piano e nel momento in cui il punto si stacca dal piano, significa che non è più un punto vincolato, ma diventa un punto libero e quindi ricadiamo di nuovo nel caso che abbiamo visto qui, nel caso di un punto materiale libero con tre gradi di libertà.

Come si studia il moto vincolato ad una curva liscia γ?

c) Supponiamo di avere un punto materiale che è vincolato ad una curva liscia γ. Quindi supponiamo che il vincolo sia un vincolo unidimensionale, supponiamo che sia ancora però un vincolo liscio.

Il punto P è libero di muoversi su questa curva. Il problema di Cauchy è sempre questo, m per a = F + φ, dove F è il vettore risultante della forza attiva, poi mettiamo la posizione all'istante iniziale e il vettore velocità all'istante iniziale.

Un punto vincolato a una curva, un continuo unidimensionale, 1 è il numero di gradi di libertà. Quando un punto materiale si muove su una curva, è possibile definire il sistema delle ascisse curvilinee, quindi l'origine degli archi, il verso positivo di percorrenza e il parametro s lunghezza d'arco. Allora è l’ascissa curvilinea s che possiamo usare come parametro lagrangiano, quindi c'è un solo parametro lagrangiano. E poi possiamo anche definire un sistema di ascisse curvilinee, quindi il versore tangente, il versore normale e il versore della binormale, in modo che t, n, b formino una terna destra. Vediamo come sono fatti i vettori a, F e φ, come si declinano in questo caso in cui abbiamo il punto materiale vincolato ad una curva liscia γ. L'accelerazione a la scriviamo in forma intrinseca, sarà s due punti versore tangente + s² su ρc, versore normale. Il vettore risultante delle forze attive agenti sul punto P sarà Ft, versore tangente, + Fn, versore normale, + Fb, versore della binormale. In questo caso ho preferito usare come sistema di riferimento, rispetto al quale scrivere i vettori, quello della terna intrinseca, perché quando un punto descrive una traiettoria, questa è sempre la  cosa preferibile da fare. Non è obbligatorio, ma di sicuro semplifica il problema. Qui abbiamo il vettore della reazione vincolare φ; φ si esplica in direzione normale al vincolo. E normale al vincolo, per come abbiamo rappresentato qui il nostro problema, sarà lungo b e lungo n. Quindi t è perpendicolare al piano, b ed n sono i versori che stanno su quel piano, quindi il vettore φ sarà fatto dalle componenti φn lungo n + φb lungo la binormale.

Prendiamo l'equazione di Newton e la proiettiamo scalarmente lungo t, lungo n e lungo b, facciamo questi prodotti scalari. Quando moltiplico scalarmente, membro a membro, per il versore tangente lungo t ottengo m, s, due punti, perché t scalare t fa 1 e poi non c'è altro, uguale a Ft, che dipenderà da s, da s punto e dal tempo e basta, perché queste componenti n scalare t fa 0, b scalare t fa 0, lo stesso per qui.

Adesso moltiplichiamo scalarmente lungo il versore n e ottengo è ms² punto su ρc uguale a Fn di s, s punto e t + φn e infine quando proiettiamo scalarmente lungo il versore della binormale, quello che si ottiene è 0 al primo membro, perché non c’è componente lungo b, uguale a Fb(s, s punto, t) + φb. Abbiamo ottenuto un sistema di tre equazioni differenziali sempre in tre incognite.

Le incognite sono il parametro lagrangiano, s(t), φn e φb, cioè le reazioni vincolari scalari durante il moto, le reazioni vincolari scalari dinamiche.

Problema ad un grado di libertà. Quante equazioni differenziali del moto ci aspettiamo di trovare? Ovviamente una. Qual è l'equazione differenziale del moto qui? È quella che non contiene le reazioni vincolari scalari.

Si prende l'equazione differenziale del moto, la si risolve, quindi io prendo l'equazione differenziale che ho segnato in azzurro, la risolvo e trovo s che è funzione delle due costanti, perché ho un'equazione differenziale del secondo ordine, e questo è l'integrale generale dell'equazione differenziale. Vuol dire che ci sono infinito alla due moti possibili per il punto materiale, soggetto alla forza attiva di vettore F e vincolato alla curva γ, si impongono le condizioni iniziali. Vengono date dal problema, cioè il problema ci dice che all'istante iniziale il punto P si trova in P₀ e P₀ avrà una sua ascissa curvilinea s₀ e avrà una velocità v₀, che siccome la velocità espressa in forma intrinseca s punto versore tangente, la velocità all'istante iniziale sarà data da s punto all'istante iniziale. Impongo che la s di C₁, C₂, t₀, valga s₀, che la s punto di C₁, C₂, t₀, valga v₀, risolvo questo sistema e ottengo le due costanti C₁*, C₂*, che sostituite dentro a questo integrale generale, mi forniscono la s(t), che è la s di C₁*, C₂* e del tempo e questo rappresenta il moto del punto P che stiamo considerando.

Quando una posizione si dice di equilibrio per P?

Quando invece non lo è?

La nozione di equilibrio è abbastanza intuitiva, ma la definizione deve essere data in termini matematici e fisici rigorosi.

Dato un punto materiale P, P₀ si dice posizione di equilibrio per il punto P se, posto il punto P nella posizione P₀, all'istante t₀, in quiete o altrimenti, è la stessa cosa, con velocità nulla. Il punto P resta nella posizione P₀ per ogni per ogni istante t maggiore di t₀.

La definizione di posizione di equilibrio deve prevedere il dove, il quando, il come e soprattutto, deve continuare a verificarsi questa condizione ogni t maggiore di t₀, cioè diciamo che la quiete in P₀ deve essere per ogni istante t maggiore di t₀. Se il punto P viene messo nella posizione P₀ all'istante t₀ con velocità nulla, il punto resta in quella posizione, essendo di equilibrio, per ogni istante t maggiore di t₀. Se invece io prendessi il punto P e lo mettessi in una posizione P₀ che non è di equilibrio, ma lo metto nella posizione P₀ che non è di equilibrio all'istante t₀, lo pongo in quella posizione sempre in quiete, cioè con velocità nulla, mi chiedo che cosa succede al punto P sotto queste condizioni.

Cioè che cosa succede se P₀ non è posizione di equilibrio e si pone P in P₀ all'istante t₀ in quiete, cioè con velocità v₀ nulla? Abbiamo visto che se P₀ è una posizione di equilibrio, se io P in P₀ all’istante t₀ con velocità nulla, P rimane in P₀ per ogni t maggiore di t₀.

Come si studia l’equilibrio di un punto materiale libero?

a) Supponiamo di avere un punto materiale libero. Il punto materiale libero a 3 gradi di libertà. Consideriamo un sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxyz e supponiamo di avere il punto materiale P che si sta muovendo nello spazio, e supponiamo che questo punto materiale sia soggetto alla forza attiva di vettore generico Fx ī + Fy j + Fz k. L'equazione dell’equilibrio, che è F + φ uguale al vettore nullo, nel caso di punto materiale libero questa reazione vincolare non c’è perché è 0 e allora l'equazione rimane F = 0.

Questa è l'equazione dell'equilibrio del punto materiale libero. Questa equazione è un'equazione vettoriale, ma visto che siamo in uno spazio tridimensionale, il vettore F è fatto da tre componenti scalari; da questa equazione vettoriale, proiettando lungo le tre direzioni scalari, individuate dai versori ī, j e k, che vuol dire fare il prodotto scalare di questa equazione di questa equazione vettoriale per i versori, prima per ī, poi per j e poi per k, si ottengono le tre equazioni scalari dell'equilibrio Fx = 0, Fy = 0, Fz = 0.

Da che cosa dipende il vettore F delle forze attive, agenti sul punto materiale? Quando abbiamo visto il caso del moto del punto materiale libero, il vettore F con le componenti Fx, Fy ed Fz, era funzione della posizione del punto, della velocità del punto e del tempo. Ora però siamo in statica e in statica noi abbiamo supposto che, le forze si assumono sempre posizionali e i vincoli indipendenti dal tempo. Quindi, siccome qui stiamo cercando le configurazioni di equilibrio, in statica le forze sono posizionali e quindi il vettore F delle forze attive dipenderà solo dalla posizione del punto d'applicazione. Quindi qui abbiamo un sistema di tre equazioni in tre incognite. Non è che il sistema di tre equazioni in tre incognite ammette sempre una ed una sola soluzione. Come sono fatte queste funzioni non lo sappiamo, F è un vettore generico, Fx, Fy e Fz sono funzioni qualunque di x, y, z.

Una soluzione è fatta da una terna di numeri, perché qui stiamo cercando l'equilibrio e quindi le configurazioni di equilibrio sono degli scalari, non sono delle funzioni del tempo. E siccome 3 è il numero di gradi di libertà, in un problema di equilibrio, sicuramente le equazioni dell'equilibrio sono tante quant’è il numero di gradi di libertà. In questo caso sono 3. Queste sono infatti le equazioni dell'equilibrio e l'eventuale soluzione di questo sistema, e quindi l'eventuale posizione di equilibrio, sarà una terna di numeri. Questo sistema può avere zero soluzioni, può avere una soluzione di questo tipo, può avere N soluzioni, cioè 2, 3, 4, 5, …, 20, può avere infinite soluzioni, dipende da come è fatto il sistema delle forze attive che agisce sul punto materiale libero. In ogni caso, le posizioni di equilibrio sono tutte e sole le soluzioni di questo sistema di tre equazioni in tre incognite.

Come si studia l’equilibrio di un punto vincolato ad un piano liscio π?

b) Supponiamo di voler studiare l'equilibrio di un punto vincolato ad un piano liscio π. Abbiamo studiato il moto, abbiamo visto che ha 2 gradi di libertà. Ora vogliamo studiare l’equilibrio. Supponiamo che il punto materiale si trovi vincolato a stare su questo piano, che è il piano π. Prendiamo come sempre un sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxyz, in cui il piano Oxy, coincide con il piano π, quindi questo è Oxy e l'asse z è perpendicolare al piano. L'equazione dell'equilibrio del punto P è F, vettore risultante delle forze attive agenti sul punto, + φ = 0. Questa è l'equazione dell'equilibrio del punto materiale vincolato. Questa volta φ  non è 0, perché il punto è vincolato. In generale, il vettore F delle forze attive sarà in questo sistema di riferimento Oxyz di versori, sempre ī, j e k. Fx ī + Fy j + Fz k è il vettore delle forze attive esterne. Come parametri lagrangiani per lo studio dell'equilibrio prendiamo le coordinate x e y, quindi q₁ = x, q₂ = y.

Nell’esempio precedente erano 3 e in questo caso bastano due parametri. L'equazione vettoriale la trasformiamo nelle tre equazioni scalari, facendo i prodotti scalari con i versori, però non abbiamo ancora detto chi è φ. Siccome il vincolo è liscio, sappiamo che la reazione vincolare, l'abbiamo già visto nel caso del moto, si esplica in direzione normale al vincolo e normale al vincolo significa lungo l'asse z, questa reazione vincolare deve avere stessa direzione e verso opposto di uno spostamento totalmente proibito; siccome gli spostamenti totalmente proibiti sono due, sono sia quello di ingresso nel piano in direzione perpendicolare, sia di distacco dal piano in direzione perpendicolare, allora questo è il vettore della reazione vincolare. Adesso proiettiamo l'equazione lungo le tre direzioni scalari, l'equazione vettoriale Fx ī + Fy j + Fz k + φz k = 0 e questa è quella che proiettiamo lungo ī, lungo j e lungo k.

Fx in statica dipende sempre e solo dai parametri lagrangiani, quindi da x e da y. Lungo ī c'è solo il contributo di Fx, perché dopo c'è già j e j, quindi quando moltiplico scalarmente per ī, rimane solo il contributo della Fx. Poi c'è Fy di x, y, anche questa uguale a 0, e fine quando proiettiamo lungo k, cioè moltiplichiamo scalarmente per inversori k, otteniamo Fx di x, y + φz = 0. Abbiamo un sistema di tre equazioni nelle tre incognite, in questo caso le incognite sono i parametri lagrangiani che danno le eventuali configurazioni di equilibrio e la componente scalare del vettore della reazione vincolare.

Questo sistema di tre equazioni nelle tre incognite x, y e φz sarà composto dalle prime due equazioni che, non contenendo le componenti scalari della reazione vincolare, sono le equazioni dell'equilibrio. Siccome il sistema meccanico ha due gradi di libertà, due sono le equazioni dell'equilibrio che ci aspettiamo di trovare. Infatti queste due sono quelle che non contengono la reazione vincolare scalare e sono le equazioni dell'equilibrio. Le posizioni di equilibrio sono tutte e sole le coppie x*, y* che soddisfano le due equazioni dell'equilibrio. Ce ne potranno essere di posizioni di equilibrio 0, ce ne può essere una, cioè una coppia fatta così, ci possono essere N, cioè 3, 4, …, 10, …, 50, ce ne possono essere infinite. Dipende dal sistema delle forze attive che ha questo vettore risultante, che agisce sul punto.

E della terza equazione cosa ce ne facciamo? La terza equazione ci fornisce la reazione vincolare all'equilibrio, cioè in ciascuna delle posizioni di equilibrio x*, y* che abbiamo determinato dal sistema dell'equazione dell'equilibrio, andando a sostituire e ricavando φz, otteniamo la componente φz*, calcolata come meno - Fz in x*, y*.

Come si studia l’equilibrio di un punto materiale appoggiato ad un piano liscio π?

c) In analogia con quanto abbiamo fatto con il caso del moto, vediamo cosa succede se il punto materiale, anziché essere vincolato al piano liscio π è invece appoggiato, cioè il vincolo è un vincolo di appoggio; appoggiato ad un piano liscio π. Tutto l'esempio si rifà esattamente allo stesso modo, così come avevamo visto per il moto. L'unica differenza sta nel vettore della reazione vincolare, che anziché essere incognito in intensità e verso, perché in direzione è noto, ma è incognito in intensità ed è incognito anche inverso. In questo caso se il vincolo è di appoggio, siccome c'è un solo spostamento non invertibile, allora questa volta la reazione vincolare è incognita soltanto in intensità, mentre direzione e verso sono noti.

Di nuovo si riscrive tutto il sistema come prima, quindi esattamente in questo modo. Dalle equazioni dell'equilibrio si ricavano le eventuali soluzioni x*, y*, soluzioni di 1 e 2 e poi, fatto questo, si calcolano per ognuna delle coppie x*, y*, si calcola φz uguale a - Fz nelle coppie x*, y*. Se queste sono maggiori o uguali di 0, allora x*, y* è posizione di equilibrio per il punto materiale appoggiato al piano liscio. Se invece la φz*, cioè - Fz calcolata in x*, y*, risulta strettamente minore di 0, allora quelle soluzioni x*, y* del sistema 1, 2 delle equazioni dell'equilibrio non è posizione di equilibrio per il punto materiale appoggiato al piano liscio π.

Quindi punto materiale appoggiato ad un piano liscio π, una volta determinate le eventuali soluzioni del sistema di equazioni dell'equilibrio, poi bisogna verificare se il vincolo, nelle posizioni di equilibrio, è rispettato oppure no. E a seconda che il vincolo sia rispettato o non rispettato, la posizione è, oppure non è posizione di equilibrio.

Come si studia l’equilibrio di un punto materiale vincolato ad una curva liscia γ?

Altro caso, supponiamo di avere un punto materiale vincolato, così come abbiamo visto per il moto, ad una curva γ liscia. Di nuovo, 1 è il numero di gradi di libertà, il parametro lagrangiano è la scissa curvilinea, quindi abbiamo la curva γ, abbiamo il punto materiale P che si muove sulla curva γ, si fissa l'origine, il verso positivo di percorrenza degli archi, l’ascissa curvilinea e poi si prende la terna intrinseca, versore tangente, versore normale e il versore della binormale e dopodiché si scrive l'equazione dell'equilibrio F + φ uguale al vettore nullo, questa è l'equazione dell'equilibrio del punto materiale dove, andando a vedere quello che abbiamo già fatto per il moto, avremo che la forza attiva di vettore F che ha componenti Ft lungo t + Fn lungo il versore n + Fb lungo il versore della binormale.

Il vettore delle reazioni vincolari, come abbiamo visto nel caso dello studio del moto, poiché la curva è liscia, ha soltanto componente lungo n e lungo b, lungo la binormale. L'equazione dell'equilibrio diventa Ft versore tangente + Fn versore normale + Fb versore della binormale, + φn versore normale, + φb lungo la binormale. E questo deve essere uguale a 0. Adesso proiettiamo lungo il versore tangente, lungo il versore normale e lungo il versore della binormale, facendo questi prodotti scalari. Quindi quello che si ottiene è che la componente tangente alla curva γ del vettore F della forza deve essere 0 quando proietto lungo t. Poi ottengo Fn di s + φn  = 0, Fb funzione solo di s, perché siamo statica, a differenza di quello che succedeva in dinamica, + φb = 0.

È un sistema di tre equazioni in tre incognite, le incognite sono s, φn e φb, in un problema di equilibrio, le incognite sono i parametri lagrangiani e le reazioni vincolari scalari statiche. Problema a un grado di libertà, mi aspetto di trovare una sola equazione dell'equilibrio e questa è perché la prima non contiene le reazioni vincolari scalari statiche. Da questa equazione determino tutte le s* che sono soluzioni della prima equazione, cioè di Ft(s) = 0. A questo punto mi prendo le seconde due equazioni, la seconda equazione mi dà φn = - Fn(s). Queste equazioni valgono all’equilibrio; a questo punto ottengo, per ciascuna di queste s* soluzioni, φn*- Fn(s*), φb * = - Fb(s*). A questo punto avrò le posizioni di equilibrio del punto vincolato alla curva liscia con le corrispondenti reazioni vincolari scalari che, se vado a sostituire qui dentro, mi daranno la reazione vincolare nella posizione di equilibrio.

Come si studia l'equilibrio di un punto fisso in una posizione di equilibrio?

e) Caso di punto fisso, nella posizione P₀ di coordinate x₀, y₀, z₀. Suppongo che questa sia una posizione di equilibrio, in questo caso la posizione di equilibrio ce l'ho, mi interessa vedere come sono fatte le reazioni vincolari che eventualmente mi consentono che questa posizione P₀ sia una posizione di equilibrio, perché questa è un'altra possibilità, cioè l'equazione F + φ = 0 può essere usata per determinare le posizioni di equilibrio del punto e le rispettive reazioni vincolari scalari all'equilibrio, ma anche, data una posizione di equilibrio, verificare quali sono le reazioni vincolari che permettono che quella posizione sia effettivamente di equilibrio.

In questo caso, se abbiamo un punto materiale nella posizione P₀ di equilibrio, l'equazione è sempre F + φ = 0, la dobbiamo proiettare lungo ī, lungo j e lungo k, tenendo presente che sul punto P agirà la forza attiva di vettore Fx ī + Fy j + Fz k, rispetto ad un osservatore Oxyz di versori ī, j e k, poi ci sarebbe il punto P nella posizione P₀, che ha coordinate x₀, y₀ e z₀. Il vettore della reazione vincolare sarà un vettore totalmente incognito, perché se il punto deve essere fissato in P₀, devono essere impedite tutti gli spostamenti lungo ī, lungo j e lungo k, di conseguenza il punto viene vincolato attraverso una reazione vincolare incognita in intensità, direzione e verso. Questo sistema, proiettato lungo ī, lungo j e lungo k, Fx, calcolata in x₀, y₀ e z₀ + φx = 0, Poi Fy in x₀, y₀ e z₀ + φy = 0 e infine Fz in φx = 0 + φz = 0.

Qui non c'è nessuna posizione di equilibrio da calcolare, ma c'è soltanto da calcolare come sono fatte le reazioni vincolari all’equilibrio e allora si risolvono le tre equazioni e si vede che, affinché x₀, y₀ e z₀ sia una posizione di equilibrio, la φx deve essere uguale a -Fx(x₀, y₀, z₀), la φy deve essere uguale a -Fy(x₀, y₀, z₀) e infine la φz deve essere uguale a -Fz(x₀, y₀, z₀).

Questi sono gli esempi più comuni di equilibrio del punto materiale libero oppure vincolato che possiamo incontrare nei nostri studi di meccanica. Le ipotesi che abbiamo fatto erano sempre punto materiale libero o vincolato con vincolo liscio, oppure in quest'ultimo caso, vincolato con un punto fisso. Che cosa succede se, anziché avere un vincolo liscio, abbiamo un punto materiale vincolato con attrito?

Che cosa sono le reazioni di Coulomb?

Vediamo come si modifica la situazione, lo studio del moto e dell'equilibrio nel caso in cui il punto materiale sia vincolato con attrito. La differenza rispetto al caso in cui l'attrito non c'è, cioè quando siamo con attrito, rispetto al caso in cui l'attrito non c’è, la reazione vincolare ha, oltre alla componente normale al vincolo, anche una componente tangente al vincolo. Se il vincolo è liscio, cioè senza attrito, c'è solo la componente, questa n che diciamo componente normale al vincolo. Il vincolo è liscio per definizione quando la reazione vincolare si esplica in direzione normale al vincolo.

Quando invece c'è l’attrito, dobbiamo aggiungere anche questa componente che è tangente al vincolo. Sia nel caso dello studio del moto, sia nel caso dello studio dell'equilibrio, quando il punto materiale è vincolato con attrito, il problema dell'equilibrio si risolve prendendo l'equazione dell'equilibrio che si ha in assenza di attrito. Ma questa da sola non basta più per studiare l'equilibrio. Entrano in gioco, sia per studiare l'equilibrio sia il moto, quelle che si chiamano le relazioni di Coulomb.

  • Nel caso dell’attrito ci va la prima relazione di Coulomb che dice che il modulo della componente tangente al vincolo del vettore della reazione vincolare all'equilibrio deve essere minor uguale di fs per il modulo della componente normale al vincolo del vettore φ. fs è una costante positiva che dipende dalle superfici a contatto, dal materiale, quindi dipende dall'attrito, viene chiamato coefficiente di attrito statico, la s sta per statico, ed è una costante maggiore di 0.

  • Nel caso invece del moto con attrito, alla usuale legge di Newton, m per 𝑎 uguale ad F + φ che si usa in assenza di attrito, bisogna associare la seconda relazione di Coulomb sull'attrito dinamico che dice che la componente del vettore della reazione vincolare tangente al vincolo, cioè φt è uguale a - fd, coefficiente di attrito dinamico, per il modulo di φn per il versore velocità del punto P. fd si chiama coefficiente di attrito dinamico, è sempre una costante positiva. Il modulo di φn è il modulo della componente di φ, normale al vincolo e questo è il versore che individua la velocità del punto P, purché questa velocità sia diversa da zero.

Questi due coefficienti fd e fs sono legati da questa relazione. Sono entrambi positivi, ma con il coefficiente di attrito statico, che è sempre maggiore o uguale del coefficiente di attrito dinamico. Quando c'è da studiare un problema di equilibrio oppure di moto, ma con attrito, compare, nel vettore della relazione vincolare, una componente tangente al vincolo e, assieme all'equazione dell'equilibrio per studiare la statica e all'equazione del moto per studiare la dinamica, compaiono la prima e la seconda relazione di Coulomb.

La prima relazione di Coulomb è una disequazione tra il modulo della componente tangente al vincolo della reazione vincolare e il modulo della componente normale al vincolo della reazione vincolare.

La seconda relazione di Coulomb invece è un’equazione e mi dice quanto vale la componente tangente al vincolo in funzione del coefficiente di attrito dinamico, del modulo della componente normale della reazione vincolare e la velocità del punto P deve essere automaticamente diversa da zero, perché altrimenti non si avrebbe il moto.

Come possono essere le oscillazioni libere?

Quali sono le forze che producono oscillazioni?

Uno tra i comportamenti più comuni che un sistema fisico può mostrare è quello delle oscillazioni. I fenomeni oscillatori possono essere di tipo meccanico o di tipo elettromagnetico:

  • I fenomeni oscillatori possono essere di natura meccanica, come il pendolo oscillante di un orologio, la corda di una chitarra che vibra, che viene pizzicata,

  • Mentre esempi di tipo di oscillazioni elettromagnetiche sono quelle degli elettroni che si muovono avanti e indietro, in certe direzioni, nei circuiti che sono responsabili della trasmissione e della ricezione dei segnali radio e dei segnali tv, oppure le fluttuazioni di carica elettrica sulle armature di un condensatore.

La caratteristica comune di tutti questi sistemi oscillanti è la formulazione, in termini matematici e fisici, che descrive le loro oscillazioni. Per parlare di oscillazioni, dobbiamo avere, dal punto di vista meccanico, un punto materiale P di massa m, che è vincolato a muoversi su di una retta liscia, possiamo assumere come asse x di un sistema di riferimento Oxyz e l'asse z ortogonale al piano dello schermo e diretto verso di noi.

  1. Può essere che il punto materiale sia soggetto ad una forza di tipo elastico. Forza elastica che possiamo rappresentare come, dal punto di vista fisico, una molla, che tende a richiamare il punto P verso il punto O, quindi se indichiamo con k² la costante elastica della molla e se ī è il versore dell'asse su cui il punto si muove, la forza elastica la possiamo rappresentare avente vettore - k² x ī e quindi questa è una forza elastica di richiamo del punto verso il punto O.

  2. Poi possiamo supporre che sul punto agisca una forza di tipo viscoso. La forza viscosa la possiamo rappresentare come una forza che si oppone al moto. Affinché sia tale, cioè sia una forza che si oppone al moto, deve prevedere che se m è la massa e p è il coefficiente di viscosità, p deve essere maggiore di zero. x punto ī rappresenta la velocità del punto p mobile sull'asse delle x. Questo 2 viene messo soltanto per ragioni di semplicità computazionale.

  3. E poi possiamo contemplare anche la possibilità che sul punto agisca anche una terza forza, una forza periodica, una forzante esterna, di tipo periodico che rappresentiamo con A cos Ω t + α, questo lungo il versore ī e questa la diciamo una forza periodica di tipo esterno, quindi una forzante esterna che agisce sul punto P.

Che cosa sono le oscillazioni libere non smorzate?

Punto materiale vincolato a percorrere una curva liscia e soggetto ad una forza elastica che richiama il punto P verso O. Studiamo il caso delle oscillazioni libere, non smorzate. Vediamo come analiticamente si studia questo problema. Per studiare il moto di un punto materiale si utilizza la legge di Newton. Il nostro problema si affronta prendendo la equazione m, massa del punto per l'accelerazione del punto P, misurata dall'osservatore Oxyz che ho introdotto, uguale ad F + φ.

Qual è l'accelerazione che ha il punto P? Se indichiamo con x, come a pare naturale, l'unico parametro lagrangiano, perché questo è un problema ad un grado di libertà e il parametro lagrangiano che consideriamo è la x. Allora il vettore accelerazione del punto P sarà x due punti ī, dove ī è il versore che individua l'asse delle x su cui il punto si sta muovendo. Il vettore F delle forze attive agenti sul punto P, siccome siamo nel caso a), dove è presente solo la forza di tipo 1, allora il vettore F vale - k², costante elastica della molla, per x per il versore ī. Il fatto di aver chiamato k² la costante elastica della molla, mi permette di non dover fare quell’ipotesi, che invece nel caso della forza viscosa avevo dovuto fare per dire che questa era una forza che si opponeva al moto. In questo caso, mettendo k², non devo fare l'ipotesi che la costante elastica della molla sia positiva, quindi questa è una questione di comodità di notazione indicare con k² la costante elastica della molla. Se invece si indica con k, bisogna ricordare di inserire k > 0, perché altrimenti la forza elastica non è definita come forza di richiamo con le sue caratteristiche.

Poi abbiamo il vettore φ della reazione vincolare che rappresenta il fatto che il punto P deve muoversi su quest'asse liscio. Siccome il vincolo è liscio, la reazione vincolare si esplica in direzione normale al vincolo, quindi la reazione vincolare avrà una componente lungo j e una componente indipendente lungo k. Possiamo scrivere il nostro problema di Cauchy, m x due punti ī uguale a -k² x ī + φy j + φz k. Questa è l'equazione di Newton, la legge di Newton, poi la dovremo proiettare lungo le tre direzioni scalari, lungo ī, lungo j e lungo k, e in questo modo otterremo l'equazione differenziale del moto e l'espressione delle due reazioni vincolari scalari dinamiche, quindi durante il moto.

Quando moltiplichiamo scalarmente per ī, ci viene m x due punti, al primo membro rimane solo mx due punti, al secondo membro ī scalare ī fa 1, quindi rimane - k² x, j scalare ī e k scalare ī fanno 0, quindi non rimane altro. Proiettando invece lungo j, cioè moltiplicando scalarmente per j, ottengo 0 al primo membro e ottengo  φy al secondo membro, moltiplicando scalarmente per k ottengo 0 = φz. Questo è il sistema delle tre equazioni nelle tre incognite x(t), φy e φz. Le reazioni vincolari sono nulle, cioè la reazione vincolare non serve per mantenere il punto P vincolato all'asse delle x, essendo il punto P soggetto solo alla forza elastica, quindi non serve la reazione vincolare, e la prima equazione è l'equazione differenziale del moto, che rappresenta le oscillazioni libere non smorzate. Quindi la scriviamo così, m x due punti + k² x = 0, questa è l'equazione differenziale del moto, e andando a imporre ω² uguale a k²/m, cioè se io divido questa equazione differenziale per m e impongo ω² = k²/m, ottengo x due punti + ω² x = 0 che è l'equazione differenziale dell'oscillatore armonico. Tutte le volte che incontriamo un'equazione differenziale così fatta, questa è l'equazione differenziale dell'oscillatore armonico.

L'analisi matematica ci insegna che questa equazione differenziale ammette come integrale generale la x(t) = C coseno di ωt + γ. Questa è un'equazione differenziale del secondo ordine, lineare a coefficienti costanti, omogenea e l'analisi matematica ci insegna che, poiché l'equazione caratteristica ammette due radici complesse coniugate, la x(t) ha questa espressione.

Se adesso noi associamo a questi che sono gli infinito alla due moti possibili per questo problema. Associamo le condizioni iniziali, cioè per esempio che la x all'istante 0 valga x₀ e che la x punto all'istante 0 valga v₀. Allora questo tra parentesi graffa, è il problema di Cauchy che ammette una ed una sola soluzione. Quindi come facciamo, dalle infinito alla due soluzioni che dipendono dalle costanti C e γ a determinare quell'unica soluzione che rappresenta il moto, cioè l'oscillazione libera non smorzata associata a questo vettore e a queste condizioni iniziali.

Imponiamo le condizioni iniziali. Cioè, imponiamo che la x all'istante t = 0 valga x₀. Si va a sostituire al posto di t l'istante 0 e quindi viene C coseno, questo deve essere uguale a x₀. Poi dobbiamo imporre che la x punto all’istante 0 valga 0, quindi dobbiamo vedere come è fatta la x punto di t e poi andarla a calcolare in t = 0. Dobbiamo derivare rispetto al tempo, questa che è una funzione di funzione, e quindi avremo - C, la derivata del coseno appunto è - seno di ωt + γ e poi dobbiamo derivare l'argomento rispetto al tempo e ci viene un'ω. Imponiamo questa condizione sulla velocità, cioè calcoliamo la x punto in t = 0 e questo fa - C ω sin γ che dobbiamo imporre essere uguale a v₀. Siccome dobbiamo ricavare questo sistema di due equazioni nelle due incognite C e γ, per ricavare C e γ da un sistema che è un sistema tipo trigonometrico, la prima equazione la lasciamo così, C cos γ = x₀. Nella seconda ricaviamo C sin γ, che sarà uguale a - v₀/ω.

Come facciamo a ricavare C e γ? Facciamo un sistema fatto in cui prendiamo la prima equazione e la eleviamo al quadrato e ad essa sommiamo la seconda equazione al quadrato e poi invece facciamo delle combinazioni di queste equazioni, nella seconda equazione la sostituiamo con il rapporto tra la seconda equazione e la prima. Prendiamo la prima equazione, cioè questa, e membro a membro eleviamo al quadrato e la sommiamo alla seconda elevata al quadrato, sempre sommando membro a membro i quadrati. Se sommiamo C² cos²γ + C² sin²γ, siccome sin² + cos² fa 1, quello che si ottiene è C² al primo membro e poi dobbiamo sommare il secondo membro della prima equazione al quadrato + il secondo membro della seconda equazione al quadrato, quindi rimane x₀² + v₀² / ω₀². Adesso vediamo cosa dobbiamo mettere nella seconda di queste equazioni; dobbiamo fare il rapporto membro a membro tra l'equazione II) e l'equazione I). Facendo così, avremo C sin γ / C cos γ. Questo lo possiamo fare se supponiamo che siamo nel caso x₀ diverso da 0. Ci viene C sin γ, diviso C cos γ, uguale a questo diviso questo. Dalla prima equazione ricaviamo C uguale alla radice quadrata di x₀² + v₀²/ω². C la ricaviamo dalla radice quadrata di x₀² + v₀²/ω². Abbiamo scelto la radice col +, potevamo scegliere anche quella con il -. La soluzione che poi otterremo andando a sostituire queste costanti C e γ qui dentro, se scegliamo la C col +, avremo un γ corrispondente, se scegliamo la C con il -, quindi comunque la x(t)  viene sempre dello stesso tipo. C è l'espressione che abbiamo scritto qui. Adesso andiamo a vedere chi è invece γ, perché qui avremo tangente di γ = - v₀/ω x₀.

Adesso vediamo di esplicitare questo γ. γ sarà uguale all’arctg di - v₀/ω x₀, se questo x₀ ≠ 0 è > 0, perché se abbiamo tangente di γ = ad una costante - v₀/ω x₀, pensiamo a come si risolve l'equazione tangente di γ = a costante. Questa è la circonferenza goniometrica, se questo è il valore della costante, diciamo a, quindi se questo lo consideriamo uguale ad a. Allora tangente di γ uguale alla costante a sarà data da due angoli, questo γ₁ e γ₂, che è γ₁ + π. Quindi γ₁ sarà l'arco tangente di - v₀/ω x₀ se x₀ è maggiore di 0, sarà invece l'arco tangente di meno - v₀/ω x₀ + π se x < 0.

Cosa succede invece se x₀ fosse stato uguale a 0? Per poter fare questa divisione, avevamo fatto l’ipotesi che x₀ fosse diverso da 0. Ma se x₀ fosse uguale a 0, allora la prima equazione, C cos gamma uguale x₀, fornirebbe C coseno di γ = 0, che fornisce γ = ± π/2 e quindi avremo - π/2 per valore di γ se x₀ è uguale a 0 e v₀ positivo, perché se v₀ è positivo abbiamo C positivo, ω positivo e qui c'è - sin γ, affinché questo concordi con un v₀ positivo, γ deve essere - π/2. E sarà invece + π/2. Quindi se x₀ = 0 e v₀ positivo, ma v₀ è negativo, sempre perché ci deve essere concordanza tra questo secondo membro e questo primo membro con il C che abbiamo scelto positivo. Quindi la situazione di risoluzione del sistema di due equazioni nelle due incognite C e γ è rappresentata qui con γ che ha queste caratteristiche a seconda dei valori delle condizioni iniziali.

Questo rappresenta l'integrale generale delle oscillazioni libere non smorzate. L'integrale generale era questo, con C e γ che erano qualunque, poi nel momento in cui imponiamo le condizioni iniziali, con questi C e questo γ otteniamo il moto del sistema. È un moto di tipo oscillatorio, i moti caratteristici, sono moti periodici che hanno tutti lo stesso periodo, indipendentemente dall'ampiezza. Il periodo vale 2π/ω, il periodo T di questo moto oscillatorio, questo fenomeno è noto come legge dell'isocromismo del pendolo, e rappresenta la caratteristica che questi modi periodici hanno tutti lo stesso periodo indipendentemente dall'ampiezza dell’oscillazione.

Che cosa sono le oscillazioni libere smorzate?

Adesso consideriamo il caso in cui sul punto oltre alla forza elastica, inseriamo anche la forza viscosa e parleremo di oscillazioni libere smorzate. Sempre libere, cioè non c'è la forzante esterna, ma questa volta c'è la presenza della forza viscosa. Vediamo come si rappresenta analiticamente questo problema.

L’accelerazione è sempre x due punti ī, che va poi moltiplicata poi per m per avere il primo membro della legge di Newton. Poi c'è la forza elastica che c'era anche prima e la forza viscosa, - 2 m p x punto ī, con p costante positiva e poi c'è di nuovo la reazione vincolare +  φy j + φz k. Siccome delle forze attive lungo l'asse delle x non ce ne sono, queste reazioni vincolari, quando proiettiamo lungo j e lungo k, saranno sempre zero. Di conseguenza, la proiezione lungo ī è l'unica non banale e avremo m x due punti, uguale a -k² x - 2 m p x punto e poi ci dà 0 = φy come abbiamo visto nel caso precedente e 0 = φz. Questa prima equazione che non contiene le reazioni vincolari è l'equazione differenziale del moto e se prendiamo questa equazione, portiamo tutto al primo membro e dividiamo tutto per m, ricordandoci che ω² l'abbiamo posto uguale a k²/m, cioè si può porre uguale a k²/m, allora otteniamo da qui x due punti + 2 p x punto + ω² x = 0. Questa è l'equazione differenziale che rappresenta le oscillazioni libere smorzate.

Questo P è una costante positiva e questo ω² è k²/m. L'analisi matematica ci viene incontro per determinare l’integrale generale di questo moto e allora dobbiamo scrivere l'equazione caratteristica associata a questa equazione differenziale del secondo ordine lineare, a coefficienti costanti e omogenea e quindi avremo λ² + 2pλ + ω² = 0 e questa ammette come soluzioni λ1,2 = -p, perché si fa la formula ridotta, ± la radice di p² - ω². Allora distingueremo casi diversi, in particolare avremo tre casi, a seconda del valore reciproco tra p² e ω²:

b₁) Distingueremo il caso p² > ω², cioè quando questa quantità sotto radice è positiva.

b₂) Distingueremo un secondo caso in cui p² = ω², cioè la quantità sotto radice è 0.

b₃) Un terzo caso in cui la quantità sotto radice è negativa, p² < ω².

Partiamo dal caso b₁), caso in cui p² > ω², quindi oscillazioni libere smorzate, in cui il coefficiente di smorzamento al quadrato è prevalente sulla pulsazione propria del sistema al quadrato.

In questo caso, λ₁ e λ₂, se p² - ω² è maggiore di 0, sono due radici reali e negative. A λ₁ = -p - radice di p² - ω² e λ₂ = - p + radice di p² - ω², ma in ogni caso queste due quantità sono due quantità negative.

Pongo solo per comodità λ₁ e λ₂ uguali a -β₁ e -β₂. Quindi vuol dire che sia β₁, sia β₂ saranno due quantità positive. L’analisi matematica ci dice che l'integrale generale di questa equazione differenziale del secondo ordine lineare a coefficienti costanti e omogenea, vale C₁ per e alla - β₁t, cioè alla λ₁ t + C₂ per e alla -β₂t.

Questo è l'integrale generale che sappiamo rappresentare un moto aperiodico smorzato. β₁ e β₂ sono delle grandezze positive, abbiamo messo in evidenza in questo modo con un - davanti, così è chiaro cosa succede per t che tende a infinito, cioè che c'è lo smorzamento. Questo moto svanisce, per t che tende ad infinito. Questi sono infinito alla due moti, infinito alla due perché dipendono da due costanti arbitrarie, che si potranno determinare attraverso le condizioni iniziali, x all'istante 0 uguale a x₀, x punto all'istante 0 uguale a v₀. Vediamo come si determinano queste condizioni iniziali.

Quanto vale la x all'istante 0? È esattamente C₁ per e alla meno β₁ per 0, quindi C₁ e poi c'è + C₂ per e alla zero, quindi più C₂ e questo deve essere uguale a x₀. Adesso dobbiamo calcolare la x punto all'istante 0. Prima dobbiamo calcolarci la x punto di t. Facendo la derivata temporale di questa funzione, ci viene - β₁C₁ per e alla - β₁t - β₂C₂ per e alla -β₂t e andando a sostituire al posto di t, 0 e imponendo che questa x punto di 0 valga v₀, otteniamo - β₁C₁ - β₂C₂ = v₀. In questo modo abbiamo imposto le condizioni iniziali e abbiamo ottenuto un sistema di due equazioni nelle due incognite C₁ e C₂. Adesso dobbiamo calcolare C₁ e C₂. Usiamo uno dei metodi che si conoscono per risolvere questi sistemi lineari.

Moltiplico la prima equazione per β₂ e poi la andrò a sommare con la seconda equazione. Quindi farò β₂ per C₁ + β₂ per C₂ = β₂ per x₀ e questa la andrò a sommare con - β₁C₁ - β₂C₂ uguale a v₀. Se adesso sommo membro a membro queste due equazioni ottengo che β₂C₂ - β₂C₂ si elidono. I primi due termini sono β₂ - β₁ per C₁, uguale a β₂ x₀ + v₀. Questo ci permette di determinare C₁. Se β₂ - β₁ sono diversi, cioè β₂ - β₁ è diverso da 0, β₂ è diverso da β₁ e questo è, perché λ₂ e λ₁ sono due radici reali e distinte e quindi non c'è problema, allora otteniamo che C₁ è uguale a (β₂ x₀ + v₀)/(β₂ - β₁).

Adesso per determinare C₂, vado a moltiplicare la prima equazione per β₁ e quindi cosa ottengo? β₁ C₁ + β₂ C₂ uguale a β₁ x₀ e poi c’è - β₁C₁ - β₂C₂ = v₀. Adesso dobbiamo sommare, membro a membro, queste due equazioni così trasformate e siccome β₁C₁ - β₂C₂ se ne vanno, qui rimane C₂ per β₁ - β₂, uguale a β₁ x₀ + v₀. Quindi ricavando il C₂ da qua, si può dividere perché β₁ - β₂ è diverso dal 0, otteniamo che C₂ è uguale a β₁x₀ + v₀, diviso β₁ - β₂.

In questo modo abbiamo determinato le due costanti che, andate a sostituire qui dentro mi danno il moto aperiodico smorzato, quindi x(t) è uguale a β₂x₀ + v₀, diviso β₂ - β₁ per e alla - beta₁ t + β₁x₀ + v₀, diviso β₁ - β₂ per e alla meno β₂ t e questo è il moto del punto materiale soggetto alla forza elastica e alla forza viscosa. Questo è un moto aperiodico smorzato. Per l'ipotesi che abbiamo fatto prima, β₁ e β₂ sono maggiori di zero.

Adesso dobbiamo considerare cosa succede nel caso b₂), quando p² = ω², e quindi questo termine se ne va. Vuol dire che λ₁ e λ₂ diventano due radici reali o coincidenti, uguali a - p e questo - p < 0, per l’ipotesi che p > 0.

Quindi questa è la condizione che dice che il coefficiente di smorzamento al quadrato uguaglia il quadrato della pulsazione propria dell’oscillazione, allora in questo caso, l'analisi matematica ci insegna che c'è una radice con molteplicità 2 e quindi la x(t) = C + C₂ t per e alla -pt e questa funzione rappresenta il moto aperiodico con smorzamento critico.

Imponiamo anche in questo caso le condizioni iniziali, perché questi sono gli infiniti alla due moti possibili per questo moto aperiodico con smorzamento critico, imponendo le condizioni iniziali, cioè imponendo che la x all'istante 0 valga x₀ e la x punto all'istante 0 valga v₀, determiniamo le costanti.

All'istante t = 0 la x deve valere x₀, quindi otteniamo che C₁ + 0 per e alla 0, quindi C₁, deve essere uguale a x₀. Adesso se calcoliamo la x punto di t, abbiamo la derivata di un prodotto e quindi otteniamo C₂ per e alla - p per t e poi abbiamo C₁ + C₂ t derivato, per la derivata di e alla -pt, che diventa -p per e alla -pt. Quindi questa è la x punto di t, se la andiamo a calcolare per t uguale a 0, quello che si ottiene è C₂ - p per C₁. Uguale a v₀.

C₁ vale v₀, quindi qui dentro possiamo andare al posto di C₁ ci mettiamo x₀ e quindi abbiamo che C₁ è uguale a x₀. Dalla seconda C₂ è uguale a v₀ + px₀. E quindi C₂ e C₁ li abbiamo determinati, andando a sostituire qui dentro otteniamo che la x(t) = x₀ + v₀ + px₀ per t, per e alla -pt. Questo è il moto aperiodico con smorzamento critico, caso p² = ω².

b₃) Infine, dobbiamo rappresentare l'ultimo dei casi possibili, cioè il caso in cui il coefficiente di smorzamento al quadrato è minore del quadrato della pulsazione propria dell'oscillazione, quindi questa quantità sotto radice è negativa. Avremo due radici complesse e coniugate. λ₁ e λ₂ questa volta sono complesse coniugate, quindi λ₁ = -p - iq, λ₂ = -p + i q, dove q è la radice quadrata di ω² - p². Dall’analisi matematica sappiamo che se le radici dell'equazione caratteristica sono complesse e coniugate, la soluzione x(t) vale C per e alla - pt, per il coseno di qt + γ e questo rappresenta un moto oscillatorio smorzato. Anche in questo caso dobbiamo imporre le condizioni iniziali. Calcoliamo direttamente la x punto di t, così dopo andiamo a sostituire per t = 0 sia nella x che nella x punto. Questo fa - p per C per e alla -pt per il coseno di qt + γ rimane non derivato, poi  adesso dobbiamo derivare il coseno di qt + γ, lasciando e alla - pt non derivato. Quindi abbiamo - qC per e alla - pt per il seno di qt + γ. Imponiamo le condizioni iniziali, che x all'istante 0 valga x₀ e x punto all'istante 0 valga v₀. Al posto di t ci mettiamo lo 0, quindi avremo C per e alla 0 per il coseno di γ, uguale a x₀.

Andiamo a sostituire la t = 0 nella x punto, allora ci viene -pC per il coseno di γ, -qC per il seno di γ e questo deve essere v₀. Questo C cos γ, attraverso la prima equazione, sappiamo che è uguale a x₀, quindi possiamo andare a sostituire al posto di C cos γ, ci mettiamo x₀ e quindi ricaviamo C cos γ dalla prima, C sin γ dalla seconda. Questo è un sistema di due equazioni nelle due incognite C e γ. Il sistema diventa C cos γ = x₀ e invece l’altra equazione, ricavando C sin γ, avrò C sin γ che è uguale a - p x₀ - v₀ e tutto fratto q.

Supponiamo che questo q sia ovviamente diverso da zero, perché per questa ipotesi q è sicuramente diverso da zero, quindi questa operazione la possiamo fare. Adesso abbiamo di nuovo un sistema di due equazioni in due incognite ed è in forma trigonometrica e per risolvere questo sistema, eleviamo al quadrato e sommiamo membro a membro, quindi si ottiene un C² = x₀² + (px₀ + v₀)², diviso q² e invece facendo il rapporto membro a metro tra la seconda equazione e la prima, sempre nell'ipotesi x₀ diverso da 0, otteniamo - px₀ + v₀, diviso q x₀, nell’ipotesi x₀ ≠ 0. C si semplifica e ci viene la tangente di γ, quindi abbiamo che C è uguale alla radice di x₀² + (px₀ + v₀)², fratti q² e la tangente di γ che è uguale a -px₀ + v₀, fratto qx₀. Per risolvere questa seconda equazione, è una tangente di γ uguale a una costante, si fa come abbiamo visto per l'oscillatore armonico, quindi non facciamo di nuovo tutti i casi.

Il caso b₁), b₂) e b₃), sono tutti caratterizzati dal fatto che il moto per t che tende a + infinito è un moto che tende a dissolversi, cioè il limite per t che tende a + infinito di x(t)è uguale a 0 in tutti e tra i casi.

Anche quest’ultimo caso, pet t che tende ad infinito, è dominante questo termine, questo è limitato, quindi p è positivo per cui - p è negativo e quindi anche questo termine tende a 0.

Che cosa sono le oscillazioni forzate?

In che cosa si dividono?

Si tratta di un punto materiale vincolato a percorrere una retta liscia, che assumiamo come asse x, quindi di versore ī, e per avere le oscillazioni forzate dobbiamo avere la forza elastica che agisce sul punto P.

Inoltre dobbiamo avere anche la presenza del termine 3) della forza periodica esterna. In questo caso si avranno le oscillazioni forzate.

Queste potranno essere non smorzate se la forza viscosa, cioè la numero 2), è assente. Saranno invece oscillazioni forzate e smorzate quando tutte e tre le forze, cioè forza elastica, forza viscosa e forza periodica esterna sono presenti.

Mentre nelle lezioni scorse abbiamo analizzato le oscillazioni libere, quindi i due casi a) e b), abbiamo analizzato entrambi, le oscillazioni libere non smorzate, le oscillazioni libere smorzate, ora ci occuperemo delle oscillazioni forzate, quindi dei casi che avevamo elencato con c) e d).

Quando scriviamo la legge di Newton, avremo m x due punti ī - k²x ī, abbiamo messo il vettore della forza elastica, poi scriviamo anche il termine della forza viscosa, -2m p x punti iv, poi c’è la forzante esterna, + A cos(Ωt + α) ī e poi ci ricordiamo che c'erano anche i termini dovuti alla reazione vincolare, che però abbiamo visto in queste ipotesi, in cui le forze attive erano solo quelle che ho elencato e agivano tutte lungo l'asse a cui è vincolato il punto, allora le componenti scalari φy e φz della razione vincolare sono sempre identicamente nulle. Quindi, proiettando lungo la direzione ī questa equazione vettoriale, avremo l'equazione differenziale del moto m x due punti, uguale a - k² x - 2 m p. Imponiamo per un attimo che questa costante sia maggiore di 0, poi verificheremo, per poter ricavare da questa equazione anche le oscillazioni forzate e non smorzate, prenderemo il caso in cui p è uguale a 0, ma insomma diciamo tranne il caso banale, p nel momento in cui la forza viscosa è accesa, p deve essere positivo, in modo tale che questa sia una forza che si oppone al moto. + A cos(Ωt + α). L'Ω è la pulsazione della forzante esterna. Ora, ponendo ω² = k²/m e ponendo N =A/m, nel momento in cui questa equazione, che è l’equazione differenziale del moto, l'andiamo a dividere per m, cioè per la massa, otteniamo l'equazione x due punti, portiamo anche questi primi termini, quelli con l'x punto e con la x al primo, abbiamo x due punti + 2px punto + ω² x = N cos(Ωt + α).

Se noi prendiamo p = 0, avremo il caso c), quello delle oscillazioni forzate non smorzate.

Quando invece lasciamo che p agisca, cioè p sia effettivamente maggiore di zero, allora quello che otteniamo è il caso che vogliamo analizzare con la lettera d), che sono ancora le oscillazioni forzate ma questa volta smorzate.

In questo caso l'analisi matematica ci insegna che, visto che questa equazione differenziale, che è l'equazione differenziale del moto, è un'equazione differenziale del secondo ordine, è lineare, è a coefficienti costanti ed è completa, allora l'analisi matematica ci viene incontro e ci dice come si calcola l'integrale generale di questa equazione differenziale. In particolare, ci dice che questa equazione differenziale ha come integrale generale la funzione x(t) che è la somma di x₀(t), integrale generale dell'omogenea associata, cioè di questa equazione  uguagliata a 0, che di fatto è quella che avevamo visto nelle oscillazioni libere, caso smorzato e non smorzato, e poi ci sarà più una soluzione particolare, detta integrale particolare della completa che indichiamo con x*(t). La funzione x(t) che soddisfa questa equazione, e quindi il moto del nostro problema, sarà la somma di due termini, l’integrale generale dell'omogenea associato, cioè l'equazione questa uguagliata a 0, senza questo termine, più una soluzione particolare della completa che dipenderà dalla forma funzionale di questa parte che rende l'equazione completa. Visto che l'equazione differenziale del moto è completa per un termine di tipo periodico, questa x*(t) andrà cercata tra le funzioni di tipo sinusoidale, quale è questa che rende il termine che rende l'equazione differenziale completa.

Che cosa sono le oscillazioni forzate non smorzate?

Ci mettiamo nel caso in cui p sia uguale a 0, quindi questo termine nell'equazione non c'è e inoltre supponiamo che la pulsazione propria dell'oscillazione ω, sia diversa da Ω, cioè la pulsazione propria del sistema sia diversa dalla pulsazione della forzante esterna. In questa ipotesi, sappiamo già quanto vale x₀(t), perché l'integrale generale dell'omogenea associata l’abbiamo già considerato quando abbiamo studiato le oscillazioni libere. L’equazione differenziale dell’omogenea associata sarà esattamente questa, la cui soluzione è la sinusoidale x(t) = C cos(ωt + γ). Quindi la x₀(t) la conosciamo già, sarà C cos(ωt + γ), dove C e γ sono da determinare attraverso le condizioni iniziali.

Invece, in virtù di questa ipotesi, ω ≠ Ω, l'analisi matematica ci insegna che la soluzione particolare della completa la dobbiamo cercare tra le funzioni del tipo D cos(Ωt + δ), questo per il fatto che la funzione che rende completa la nostra equazione, è proprio una sinusoidale. E in questa ipotesi, ω ≠ Ω, l'integrale particolare è esattamente quello che abbiamo scritto qui, cioè D cos(Ωt + δ). Siccome questa x* per essere soluzione dell’equazione differenziale che nel nostro caso è diventata questa, x due punti + ω²x = N cos(Ωt + α), questa è l'equazione differenziale del caso oscillazioni forzate non smorzate.

Vediamo come devono essere fatti D e δ, affinché la x*(t) sia soluzione dell'equazione che ho riquadrato. Per fare questo, dobbiamo sostituire la x*(t) dentro questa equazione e imporre che sia soluzione. Ci servirà quindi la x*(t) da sostituire qui dentro e già ce l'abbiamo. E poi dobbiamo andare a sostituire anche la derivata seconda. E quindi calcoliamo la x*(t) punto, che vale -DΩ sin(Ωt + δ) e la x*(t) due punti, che varrà -D Ω² cos(Ωt + δ). Adesso andiamo a sostituire questa x*(t) punto e quella due punti qui dentro, la uguagliamo a questo e vediamo come devono essere fatti D e δ, affinché questa funzione x* sia soluzione.

Avremo -D Ω² cos(Ωt +δ) + ω²D cos(Ωt + δ) e questo dev’essere uguale a N cos(Ωt + α). Adesso da questi due termini raccogliamo D cos(Ωt +δ) e quindi quello che otteniamo è D, e poi rimane ω² - Ω² cos(Ωt + δ) e questo deve essere uguale ad N cos(Ωt + α). Siccome questa funzione, x*(t) deve soddisfare l'equazione per ogni t, affinché questo primo membro sia uguale a questo secondo membro, per ogni istante t, cos(Ωt + δ), cos(Ωt + α), queste sono le due ampiezze nei due casi e queste le due fasi iniziali, quello che si deve verificare è che le due ampiezze siano le stesse, quindi D(ω² - Ω²) dev’essere uguale ad N e δ = α.

Ecco come devono essere D e δ, affinché x*(t) sia soluzione, avremo che D deve essere uguale ad N/ω² - Ω² e δ = α.

Vediamo il motivo per cui l’ipotesi ω ≠ Ω è importante, perché la differenza ω² - Ω² va a denominatore e quindi ci dev’essere questa distinzione, altrimenti questo denominatore non avrebbe senso. Ecco allora che abbiamo trovato la soluzione dell'equazione differenziale che rappresenta le oscillazioni forzate, non smorzate.

L'integrale generale x(t) sarà uguale a C cos(ωt + γ), con C e γ da determinare con le condizioni iniziali, + N/ω² - Ω² per il coseno di (Ωt + α) e questo è l’integrale generale che rappresenta le oscillazioni forzate non smorzate.

Avevamo fatto l'ipotesi ω ≠ Ω, quindi questo è il caso c₁).

Ci sarebbe il caso c₂) in cui se ω = Ω, allora la soluzione particolare dell'equazione differenziale completa non può più essere di questo tipo. Ma in questo caso, l'analisi matematica ci insegna come è fatta, questa diventa N/2ωper t, per sin(ωt + α) e quindi in questo caso la x(t) che risolve nell'ipotesi ω = Ω, la x(t) soluzione di questa equazione differenziale, quando la pulsazione della forzante esterna è uguale alla pulsazione propria del sistema, è questa C cos (ωt + γ) + N/2ω t sin(ωt + α). Queste oscillazioni forzate, non smorzate, in questo caso risultano dalla sovrapposizione di due oscillazioni, così come era prima, anche qui avevamo due fenomeni oscillatori. Ma in questo secondo caso, quando le pulsazioni sono uguali, ω e Ω, il secondo termine che è oscillatorio, in realtà ha un'ampiezza che per t che tende ad infinito, tende a crescere, cioè il limite per t che tende a + ∞ di questo coefficiente, N/2ωt, va a + ∞ e di conseguenza, questa è un’oscillazione che tende a diventare catastrofica per quanto riguarda e le strutture, cioè c'è una possibile compromissione dell'integrità strutturale del sistema meccanico, in quanto quest’ampiezza tende a diventare via via sempre più grande.

Che cosa sono le oscillazioni forzate smorzate?

Quando p è strettamente maggiore di 0 e di nuovo ci mettiamo nell'ipotesi più generale in cui ω e Ω sono diversi tra loro. Ci occuperemo di questa equazione, dove ci sono tutti i termini, cioè la p, questa volta il termine viscoso c'è, quindi questa è l'equazione differenziale che è la più generale che incontriamo in questi problemi di oscillazione. Nell'ipotesi ω ≠ Ω, la soluzione particolare x*(t) è sempre quella che abbiamo visto prima, D cos(Ωt + δ) e di nuovo, l’integrale generale sarà la somma dell'integrale generale dell'omogenea associata più la soluzione particolare della completa. Quindi avremo che la x*(t) sarà uguale a x₀(t) + x*(t).

Quando avevamo le oscillazioni libere smorzate, quindi eravamo nel caso b), si erano presentati in realtà tre sotto-casi, a seconda del valore reciproco tra p² e ω² e avevamo avuto le diverse situazioni:

  • Il moto aperiodico smorzato in questa ipotesi

  • Il moto aperiodico con smorzamento critico in questa ipotesi p² = ω²

  • Infine nel caso p² < ω² il moto oscillatorio smorzato

Queste cose non le facciamo, quindi riscriviamo semplicemente come deve essere l’x₀(t). Abbiamo il caso del moto aperiodico smorzato. Poi avevamo il secondo caso, quindi il caso del moto aperiodico con smorzamento critico. Infine, l'ultimo caso, quando il coefficiente di smorzamento al quadrato è più piccolo del quadrato della pulsazione propria del sistema. E questo era il caso del moto oscillatorio smorzato.

Questi sono i tre casi possibili e dobbiamo aggiungere + D cos(Ωt + δ) e questa è la x(t), dove la x₀, cioè l’integrale generale dell’associata sarà questo primo, questo secondo, questo terzo, a seconda di questi valori. Di nuovo D e δ vanno determinati andando a sostituire questa che deve essere la soluzione particolare della completa, vanno sostituiti dentro a questa equazione, quindi bisogna calcolare la x* ce l'abbiamo già, la x* punto e la x* due punti, vanno sostituiti qui dentro e imporre che quella x* = D cos(ωt + δ), sia soluzione di questa equazione. Questi calcoli non li facciamo, li diamo per scontati, vediamo solo quanto deve valere D affinché la x* sia soluzione e rappresenti le oscillazioni forzate e smorzate, ma i conti non li facciamo e non verranno richiesti.

La D è N, diviso la radice quadrata di ω² - Ω² tutto al quadrato + 4p² Ω². Quindi N, che era A/m, A era l’ampiezza dell’oscillazione della forzante esterna, quindi in questo caso avremo che D dev’essere N diviso questa radice.

E invece δ deve essere tale da soddisfare questa equazione: Tan(α - δ) = 2pΩ/ ω² - Ω². ω ≠ Ω fanno si che questi denominatori siano non nulli e che quindi la nostra scelta sia ben fatta. Alla fine possiamo dire che, in questo caso, le oscillazioni forzate smorzate, avranno come legge oraria una x(t) che ha uno di questi 3 casi + D cos(Ωt + δ) con D e δ che sono di questo tipo.

Cosa succede invece se ω = Ω? L'integrale generale x*(t) è ancora di questo tipo, ma con D, cioè l’ampiezza che vane N/2pω e il δ che è uguale ad α - π/2. Se queste le andiamo a sostituire in x*(t) = D cos(ωt +δ), quello che si ottiene è che l'integrale generale, x*(t) diventa N/2pω sin(ωt + α), quindi se ω = Ω, non c'è più quel fenomeno di ampiezza dipendente dal tempo, che cresce linearmente col tempo, quindi questa x* diventa dominante ed esplosiva, in termini di ampiezza, in questo caso invece si ha sempre un fenomeno di tipo oscillatorio.

Abbiamo parlato di oscillazioni libere e oscillazioni forzate. Ci concentriamo per un attimo su queste ultime, cioè sulle oscillazioni forzate. Descriviamo un paio di fenomeni a cui possono dar luogo, sotto particolari ipotesi, le oscillazioni forzate. Questi due fenomeni sono il fenomeno dei battimenti e il fenomeno della risonanza.

Che cos’è il fenomeno dei battimenti?

Partiamo dal primo fenomeno, il fenomeno dei battimenti.

Questo fenomeno ha luogo in relazione alle oscillazioni forzate non smorzate, che sono il risultato della sovrapposizione di due moti oscillatori. Uno che ha pulsazione ω e ampiezza C e l'altro che ha pulsazione Ω e ampiezza N/ω² - Ω². Questo fenomeno è legato alle oscillazioni forzate non smorzate.

Mentre vedremo che il fenomeno della risonanza sarà legato alle oscillazioni forzate smorzate. Il fenomeno dei battimenti è collegato alle oscillazioni forzate non smorzate che, nell'ipotesi generale di pulsazione ω, pulsazione del sistema, diversa da Ω. Le soluzioni erano di questo tipo, C cos(ωt + γ) + N/ω² - Ω² per cos(Ωt + α). Quindi questa è la sovrapposizione di due moti oscillatori, il primo che ha ampiezza C e pulsazione ω, il secondo che ha pulsazione ω ≠ Ω e questa ampiezza, che sarà data da N/ω² - Ω².

Adesso facciamo questa ipotesi. Supponiamo di avere ω circa uguale a Ω, diverso ma sufficientemente vicino. E inoltre, supponiamo che C, cioè l'ampiezza di questa oscillazione, sia uguale all'ampiezza N/ω² - Ω². Questa è la nostra ipotesi per avere il fenomeno dei battimenti. Vediamo cosa succede andando a sostituire queste ipotesi che abbiamo fatto nella x(t), quello che otteniamo è che la x(t) si può scrivere come C, raccolto a fatto comune, per il cos (ωt + γ) + il coseno di (Ωt + δ). La somma di due coseni, in virtù delle formule di prostaferesi, si può scrivere come prodotto di due coseni, cioè in particolare il coseno di p + il coseno di q è uguale a due volte il coseno della semi-somma, (p + q)/2 per il coseno della semi-differenza, (p - q)/2. Sfruttando queste che sono le formule di prostaferesi, riusciamo a scrivere che la x(t) è uguale a 2 C per il cos(ω - Ω)t + γ - δ/2, per il coseno di (p + q)/2, cioè il cos(ω + Ω)t + γ + δ/2.

Abbiamo ottenuto che la x(t), cioè l'integrale generale dell'equazione differenziale, nel caso delle oscillazioni forzate e non smorzate, sotto questa ipotesi, che sono le ipotesi di battimenti, risulta come la sovrapposizione di due oscillazioni:

  • Una prima oscillazione che ha ampiezza 2C e frequenza che è data da una frequenza f₁ che è sufficientemente grande, cioè è (ω + Ω)/ 4π, cioè circa uguale a ω/2π.

  • L'altra che si sovrappone, è un'oscillazione che ha ampiezza unitaria e invece una frequenza che è piccola, che indichiamo con f₂, che è data da ω - Ω in modulo, diviso 4π. Quindi una frequenza che è piccola, perché ω e Ω sono quasi uguali.

L'esito finale è quello di produrre un'oscillazione che ha una frequenza praticamente uguale ad ω/2π e un'ampiezza variabile, quindi questa x(t) la possiamo scrivere come un’ampiezza in funzione del tempo, A(t) per il cos(2 π f₁ t), a meno di una fase iniziale.

Vediamo come si rappresenta, dal punto di vista della x(t), qual è la legge oraria del fenomeno dei battimenti. Innanzitutto diamo un nome a queste frequenze; la frequenza f₁ viene detta frequenza fondamentale e invece la frequenza f₂ viene detta frequenza dei battimenti.

Vediamo come possiamo rappresentare questo fenomeno. Abbiamo l’asse t e l’asse x(t). Questo lo possiamo vedere come - 2C e questo come 2C. Questo fenomeno dei battimenti è caratterizzato da un'oscillazione molto rapida, che ha una frequenza uguale al valore medio delle due frequenze, quindi praticamente questo f₁. E inoltre un'oscillazione invece più lenta, che modula in qualche modo l'ampiezza, questa frequenza di battimento che è piccola. La curva x(t), sarà questa, con un'ampiezza dell'oscillazione che varia nel tempo, ha una sua periodicità.

Abbiamo il periodo T₁, che è 1/f₁. Il T₂ è l'inverso della frequenza, che è uguale a 1/f₂, è il periodo che è l'inverso della frequenza di battimento. Abbiamo questa oscillazione più lenta, che modula l'ampiezza con questa frequenza di battimento piccola.

Come si hanno questi fenomeni? Se noi ad esempio facciamo vibrare contemporaneamente due corpi che hanno fra loro una leggera differenza di frequenza, per esempio il suono delle campane; le campane hanno una sonorità ondulante, oppure si può sfruttare il fenomeno dei battimenti per avere degli effetti speciali nell’organo e simulare il registro della voce umana; due tubi che non siano perfettamente intonati, diciamo le canne dell'organo, per ottenere questa specie di tremolio che imita la voce dei cantanti.

Che cos’è il fenomeno della risonanza?

Quali effetti provoca la risonanza?

Veniamo invece al secondo fenomeno, che è il fenomeno della risonanza. Questo fenomeno è associato alle oscillazioni forzate smorzate.

Un sistema meccanico, il cui moto è governato dall'equazione x due punti + 2p x punto + ω² x = N cos(Ωt + α) si dice in risonanza quando la pulsazione della forzante esterna è tale da rendere l’ampiezza D massima. Quando abbiamo parlato delle oscillazioni forzate smorzate, eravamo in questa situazione, cioè l'integrale generale, x(t) è scritto in questo modo. Adesso ci mettiamo nell'ipotesi ω ≠ Ω.

Il valore che rende massima l’ampiezza D lo dobbiamo andare a calcolare. La D, affinché questa fosse una soluzione particolare dell'equazione completa, era dato da N, diviso per la radice quadrata.

Vediamo come si può fare a trovare l'Ω che renda questa D massima. Siccome D è definito attraverso un rapporto, si tratterà di rendere questo denominatore minimo, perché per avere D massimo, bisogna avere questo denominatore minimo. E siccome qui c'è una radice quadrata, basterà, per prendere la funzione che sta sotto la radice quadrata, ci conviene pensarla come funzione di Ω² per semplificarci la vita, e quindi pensare a quali sono i valori di Ω che rendono minima questa f(Ω²), data da (ω² - Ω²) +4 p²Ω².

Quindi per trovare dove D è massima, dobbiamo cercare dove il denominatore di questa frazione risulta minimo e quindi cerchiamo il minimo di questa funzione. Per calcolare il minimo, calcoliamo la derivata prima della funzione f(Ω²). Dobbiamo derivare una funzione di f(Ω²). Quindi questa mi fornisce due volte ω² - Ω², l’esponente è 2 - 1, poi dobbiamo derivare rispetto ad Ω² e quindi vi viene un -, e poi abbiamo questo altro addendo e rimane + 4 p². Una volta che abbiamo fatto f’(Ω²) = 0 e trovato le eventuali soluzioni, ci serve anche la derivata seconda per vedere se le soluzioni di f’ = 0 sono massimo o minimi. E siccome la derivata seconda di ωΩ² è uguale a 2, perché dobbiamo derivare rispetto ad ², quindi ci viene - 2 per - 1 che fa 2.

Da f’(Ω²) = 0 otteniamo -2(ω² - Ω²) + 4p² = 0, da cui si ricava Ω₀ = radice di ω² - 2p², purché ω² > 2p².

Ecco allora qual è il valore di Ω che rende l'ampiezza D massima. Siamo certi che questo rende l'ampiezza massima, perché la derivata seconda è 2, sempre positiva, quindi questo ω₀ rende minima la f(Ω²), perché la sua derivata seconda è positiva. La ω², affinché ci sia risonanza, deve essere maggiore di 2p² e nel momento in cui ω è maggiore di 2p², sarà maggiore anche di p², quindi se torniamo in questa rappresentazione, vediamo che, per avere il fenomeno della risonanza dobbiamo essere nell'ipotesi p² < ω² che si vede da qui. Non possiamo avere, per la risonanza questi altri due casi, cioè il moto aperiodico smorzato e il moto aperiodico con smorzamento critico, per quanto riguarda l'integrale generale dell'omogenea associata, ma il fenomeno della risonanza si ha quando c'è questo come integrale generale dell'omogenea associata + l’altro termine, quindi la x(t), per il fenomeno della risonanza, ha questa condizione.

Per trovare quanto vale l'ampiezza massima, cioè quant'è quel Dmax, dobbiamo andare a sostituire al posto di Ω², questo Ω₀, e quindi avremo la radice quadrata.

Facendo i calcoli, si ottiene che l’ampiezza massima è N, diviso 2p per la radice di ω² - p². Questa condizione di ω² che doveva essere maggiore di 2p², affinché esistesse questo Ω₀, porta anche ω² > p², che fa sì che questa radice sia reale, quindi ben definita. E questa è l'ampiezza massima.

Per avere la risonanza classica, quella della definizione fisica, ce l’abbiamo in presenza di oscillazioni forzate smorzate con ω² > 2p², in particolare quindi maggiore di p², e la pulsazione della forzante esterna deve essere uguale a radice di ω² - 2p². Quindi la soluzione diventa questa, per avere il fenomeno della risonanza; Ce alla -pc cos(qt + γ), cioè la sovrapposizione di un moto oscillatorio smorzato, + N diviso 2p per la radice di ω² - p², per cos(Ω₀t + δ).

In risonanza, un coefficiente di smorzamento piccolo, porta a delle oscillazioni che sono molto grandi in ampiezza, anche quando la pulsazione Ω è semplicemente vicina all'Ω₀, non deve necessariamente essere esattamente uguale ad Ω₀, ma basta che sia vicino, perché se p è molto piccolo, le oscillazioni tendono a diventare via via sempre più grandi. Un p piccolo, tende a rendere molto grandi queste ampiezze e quindi si può avere un fenomeno della risonanza anche per degli Ω che non sono esattamente Ω₀, ma sono prossimi.

Quindi se p è piccolo, allora si hanno oscillazioni di grande ampiezza, anche per valori della pulsazione vicini ad Ω₀, non necessariamente Ω₀.

Se poi p è piccolo, e la pulsazione è ω del sistema, è prossima ad Ω. ma non ad Ω₀, allora il sistema si dice vicino alla risonanza. Spesso, per avere compromissione dell'integrità strutturale, non occorre essere esattamente in risonanza, ma per alcuni sistemi, basta anche essere vicini alla risonanza.

Questa risonanza, con effetti di compromissione dell'integrità strutturale, possiamo averla anche in presenza di oscillazioni forzate non smorzate, cioè la risonanza classica, quella della definizione fisica, si ha in presenza di oscillazioni forzate smorzate, ma la risonanza con effetti di compromissione dell'integrità strutturale, si può avere anche in caso di oscillazioni forzate non smorzate, purché l’ω = Ω, cioè la pulsazione propria del sistema, coincida con la pulsazione della forzante esterna. Questo è quel tipo di risonanza, che permette, quando un genitore vuole mantenere in moto un bambino sull'altalena, deve applicare una piccola forza con la stessa frequenza dell'altalena e questo è un caso di risonanza.

Altri esempi di risonanza sono quelli che hanno compromesso la struttura di ponti e si ha quando ci sono due oscillazioni che hanno una frequenza che è vicina alla frequenza di risonanza. Questi fenomeni di risonanza possono distruggere i ponti; un esercito che marcia su di un ponte, ci sono stati diversi esempi di questo genere, perché i ponti possono andare in risonanza. Ad esempio il crollo del Broughton Suspension Bridge, vicino a Manchester, che è avvenuto nel 1831. Questo ponte era stato costruito vicino a Manchester nel 1826 e in quell'occasione i soldati di una truppa marciavano al passo e questi colpi dei passi ritmati sul ponte lo hanno fatto vibrare, in modo poi da amplificare quelle che sono le oscillazioni spontanee, fino a far saltare i cavi che sorreggevano questo ponte.

Altri esempi ci sono stati in Francia ad Angers nel 1850. È sempre un crollo dovuto al passaggio di una truppa di soldati. I soldati sapevano di dover rompere il passo prima di salire sul ponte, però il ponte oscillava a causa del forte vento. Nello sforzo di mantenere l’equilibrio, i soldati involontariamente hanno cominciato a muoversi con la stessa frequenza del ponte, aumentando così le vibrazioni di questo ponte fino al crollo.

Lo stesso è successo anche il Millenium Bridge a Londra, che è stato chiuso poco dopo la sua inaugurazione nel 2000, perché durante questa inaugurazione del ponte, il ponte ha cominciato a vibrare e qui è successo un effetto di sincronizzazione, perché la folla ha cominciato spontaneamente a camminare in fase con le oscillazioni del ponte e così ne aumentava sempre di più pericolosamente l’ampiezza. Infatti poi il ponte è stato messo in sicurezza ed è stato riaperto solo quando erano stati aggiunti un certo numero di ammortizzatori per eliminare questo effetto.

Molti usano come esempio di risonanza il Tacoma Bridge. Questo non è il caso classico di risonanza, quello della definizione, perché il Tacoma Bridge non è crollato per la presenza di una forzante esterna periodica alla frequenza di risonanza. In realtà era un meccanismo molto più complesso e si tratta di vibrazioni aeroelastiche auto-eccitate che hanno comunque compromesso l'integrità strutturale del ponte.

Che cos’è il pendolo semplice?

Siamo ancora nell'ambito della meccanica del punto materiale e infatti si definisce pendolo semplice o pendolo matematico o pendolo ideale, un punto materiale P di massa m, vincolato a percorrere una circonferenza liscia, quindi una circonferenza senza attrito, una circonferenza che sia non orizzontale e soggetto alla sola forza peso.

Il punto materiale P è qui rappresentato in rosso, il piano è inclinato di un angolo α rispetto al piano orizzontale.

Concentriamoci per un attimo su questo piano orizzontale, e dobbiamo scegliere questo sistema di riferimento. La cosa importante è definire il sistema di riferimento Cxyz, rispetto al quale puoi andare a studiare il moto, perché quello che vogliamo fare è studiare il moto di questo pendolo semplice o pendolo matematico.

Come fissiamo il sistema di riferimento Cxyz? L'origine del sistema di riferimento sta nel centro C della circonferenza. Inoltre, prendiamo l'asse Cz perpendicolare al piano inclinato. Nel momento in cui prendiamo l'asse Cz perpendicolare al piano inclinato, gli assi x e y devono stare nel piano inclinato, ma come li prendiamo? È evidente che possono essere scelti in infiniti modi, ci sono infinite coppie di assi xy tra loro perpendicolari, che stanno in questo piano inclinato.

Per comodità di trattazione, sceglieremo l'asse x orizzontale, è quello parallelo a questa retta che è orizzontale, e l'asse Cy è univocamente determinato. Ma se avessimo voluto scegliere prima l'asse Cz e poi l'asse Cy, come asse Cy, affinché poi l'asse x sia asse orizzontale, avremmo dovuto scegliere come Cy l'asse di massima pendenza nel piano inclinato. In questo modo, abbiamo automaticamente definito un sistema di riferimento opportuno Cxyz, rispetto al quale andare a scrivere la legge di Newton, che governa il moto di un punto materiale libero o vincolato con vincolo liscio, quindi in questo caso ci siamo.

Per studiare il moto useremo la legge di Newton e se vogliamo studiare l'equilibrio dovremo usare la condizione necessaria e sufficiente per l'equilibrio del punto e cioè F + φ = 0.

Quello che è molto importante per scrivere questi vettori è fissare l'opportuno sistema di riferimento e questo è il modo opportuno.

Facciamo un passo avanti e vediamo quali sono i vettori che entrano in gioco per scrivere l'equazione. Partiamo dallo studio del moto e vediamo di scrivere i vettori nel nostro sistema di riferimento.

L’accelerazione del punto P conviene scriverla in forma intrinseca, perché il punto materiale P è un punto che percorre una circonferenza. E quando si ha un punto che percorre una curva, in particolare una circonferenza, la cosa più semplice è quella di riferire il moto alla terna intrinseca. Anziché scrivere l'espressione dell'accelerazione, concentriamoci sul vettore F.

Per la definizione di pendolo semplice, il punto è soggetto alla sola forza peso, allora vediamo che il vettore F delle forze attive agenti sul punto è dato solo dal vettore della forza peso, m per g, in quanto sul punto materiale P agisce soltanto la forza peso. Questa m per g, se facciamo una proiezione laterale di questo piano inclinato che vediamo in questo secondo grafico, vedremo l'asse z, vedremo l'asse y, asse di massima pendenza, l'asse x che è perpendicolare al piano di questa figura e con verso entrante è quello che noi non possiamo vedere, sarebbe questo asse, ma quando facciamo questa proiezione laterale qui non lo vediamo. α è l'angolo di inclinazione e il vettore della forza peso è questo vettore nero, diretto lungo la verticale. La verticale non è la direzione di z, z è l'asse perpendicolare al piano inclinato. Questo vettore lo possiamo scrivere come somma di due componenti, una che è diretta lungo l'asse z, l'altra che è diretta lungo l'asse y. Se questo è l'angolo α, anche questo è l'angolo α, di conseguenza il vettore m per g lo possiamo scrivere come le sue componenti, che sono la componente lungo k, - mg coseno di α, versore k e la sua componente lungo j che è - m per g seno di α lungo j. Quindi questo è, adesso lo riscriviamo anche qui, meno mg coseno di α versore k e meno mg seno di α versore j. Questo era il vettore della forza peso e quindi l'unica forza che agisce sul punto P è la forza peso e quindi F è uguale ad m per g.

È importante anche prendere anche una terna intrinseca, che la rappresentiamo con un versore tangente, un versore normale, e il versore della binormale che in questo caso è perpendicolare al piano. Ho fatto uno schema nel piano xy, quindi questa volta è una proiezione nel piano inclinato, quindi questa è la circonferenza, P è il punto che si muove sulla circonferenza, abbiamo preso i versori della terna intrinseca che sono il versore tangente, il versore normale e il versore della binormale, dove il versore della binormale è esattamente uguale al versore k, cioè è il versore ortogonale al piano inclinato e con verso uscente. Se fissiamo anche un sistema di ascisse curvilinee sulla circonferenza, quindi in particolare indichiamo, prendendo un'origine degli archi, fissando un verso positivo di percorrenza della circonferenza, per esempio quello anti-orario, e s sia il parametro lunghezza d'arco, allora avremo immediatamente che il versore tangente, il versore normale, sono i versori rispetto ai quali possiamo rappresentare questa componente del vettore della forza peso, perché la componente verde è già diretta lungo la binormale, in virtù del fatto che b e k coincidono.

Indicando con ϑ l'angolo di rotazione del punto P sulla circonferenza, in particolare l'angolo che il raggio vettore P - C forma con la direzione negativa dell'asse y, con ϑ positivo in verso antiorario, questa componente del vettore della forza peso può essere rappresentata come somma di due vettori, quello giallo che è diretto lungo il versore tangente e quello viola, che è diretto lungo il versore normale.

Quindi il vettore m per g è uguale alla componente - m per g cos α, che la possiamo mettere lungo il versore b che è uguale a k. Poi dobbiamo separare questo vettore nelle sue due componenti lungo t e lungo n. Allora avremo che lungo n ci sarà il - mg sin α per coseno di ϑ versore n, e poi ci sarà la componente lungo t che è - mg sin α, sin ϑ versore tangente. E queste sono le due componenti in cui abbiamo splittato il vettore - mg sin α j, quindi lungo t e lungo n in questa proiezione.

Quindi il vettore F che va qua dentro, l'abbiamo sistemato. Adesso siamo pronti per scrivere φ e a, li scriveremo entrambi già direttamente con le loro componenti lungo la terna intrinseca. Partiamo dal vettore accelerazione. Il vettore accelerazione a sarà s due punti, versore tangente + s² punto su ρc, versore normale. s è l’ ascissa curvilinea del punto per cui sarà il parametro lunghezza d'arco. Quindi se noi supponiamo che il raggio della circonferenza sia di lunghezza 𝓁, allora avremo che questo arco, a meno di costanti additive, sarà dato da 𝓁 per l'angolo ϑ. s punto è uguale a 𝓁 ϑ punto, s due punti è uguale a 𝓁, ϑ due punti. ρc è il raggio del cerchio osculatore, ma in questo caso il cerchio osculatore e la traiettoria, proprio il vincolo, sono uguali, quindi ρc è 𝓁. Allora l'accelerazione, la componente lungo t sarà quella gialla, quindi avremo 𝓁 ϑ due punti, versore tangente e poi ci sarà + la componente lungo n, la facciamo in viola, quindi sarà un 𝓁 ϑ² punto, versore n. Questa è l'accelerazione. Adesso invece ci sarà da scrivere com’è fatto il vettore della reazione vincolare, il vettore φ. Cioè, a è l'accelerazione, F è il vettore delle forze attive, φ è il vettore delle reazioni vincolari, che siccome il vincolo è liscio, si esplica in direzione normale al vincolo. E normale al vincolo che cosa significa? Significa lungo n e lungo il versore della binormale, lungo n e lungo b. Il vettore φ della reazione vincolare sarà un vettore i cui versori sono solo n e b, quindi avremo in particolare n che è φn lungo il versore n e poi ci va il versore della binormale, che sarà + φb lungo la binormale. Quindi la nostra legge di Newton sarà massa per questo vettore accelerazione, uguale al vettore F delle forze attive + il vettore φ della reazione vincolare.

E adesso scriviamo tutto, m per a sarà m(𝓁 ϑ due punti t + 𝓁 ϑ² punto n), uguale a - mg cos α b - mg sin α  cosϑ lungo n - mg sin α sin ϑ lungo il versore tangente + φn lungo il versore normale, + φb lungo il versore della binormale. Adesso possiamo proiettare l'equazione di Newton lungo i versori t, n e b facendo i prodotti scalari membro a membro, quindi mettiamo assieme prima le componenti gialle, questa moltiplicata per m e questa, poi le componenti viola, lungo n, e infine quelle verdi. m 𝓁 ϑ due punti = - mg sin α sin ϑ, poi avremo m 𝓁 ϑ² punto, che è la componente lungo lungo n di m per a, uguale a -mg sin α cos ϑ + φn. Poi abbiamo 0, perché l'accelerazione non ha componente lungo b, che è uguale a - mg cos α + φb. Questa è la componente proiettata lungo il versore tangente, lungo il versore normale, lungo il versore della binormale.

Ho ottenuto un sistema di tre equazioni nelle tre incognite. Questo è un problema ad un grado di libertà, punto P che si muove su di una circonferenza e ϑ è il parametro lagrangiano, α è un valore costante, è un dato del problema, così come la massa è un dato del problema. Le tre incognite sono ϑ(t), φn e φb che sono le componenti scalari del vettore della reazione vincolare durante il moto. La prima equazione, che è quella che non contiene le reazioni vincolari, φn e φb stanno nelle altre due, è l'equazione differenziale del moto. Possiamo semplificare per m e poi possiamo dividere per 𝓁 e portare questo al primo membro. Quello che si ottiene è ϑ due punti + g sin α, diviso 𝓁 per il sin ϑ = 0. Questa è l'equazione differenziale del moto, dove ponendo ω² = g sin α su 𝓁, l'equazione differenziale del moto diventa ϑ due punti + ω² sin ϑ = 0. Questa è l'equazione differenziale del pendolo semplice. Questa è l'equazione differenziale del moto del pendolo semplice. È un’equazione differenziale del secondo ordine, non è lineare ed è omogenea. Quindi questa equazione, anche se è veramente un'equazione molto semplice, non ammette una soluzione in termini di somma finita in termini di funzioni elementari, come accade invece per le equazioni differenziali lineari. Quindi questa noi non la sappiamo risolvere. Si risolve per integrali ellittici, quindi ha una risoluzione che non è immediata. Questo era per quanto riguardava la prima equazione, che era l'equazione differenziale del moto. La seconda e la terza equazione, invece, ci forniscono le reazioni vincolari scalari dinamiche, in particolare la φn varrà m 𝓁 ϑ² + mg sin α cos ϑ. Mentre la φb sarà data da m g per il cos α. Quindi questa è la reazione vincolare scalare dinamica, la φn, e questa è la reazione vincolare scalare dinamica lungo b, durante il moto.

Per vedere quali sono i possibili moti del pendolo semplice, perché arrivati a questo punto abbiamo l'equazione differenziale, ma non riusciamo a determinare il moto. Per vedere quali sono i possibili moti del pendolo semplice, abbiamo due possibilità. Una prima possibilità è quella di studiare le piccole oscillazioni del pendolo semplice, che si hanno attorno alla posizione di equilibrio stabile. Una posizione di equilibrio del pendolo semplice è la posizione ϑ = 0, che è una posizione di equilibrio stabile. Le piccole oscillazioni sono dei particolarissimi moti che avvengono quando il pendolo oscilla di pochissimo attorno alla sua posizione di equilibrio stabile, cioè sono dei piccolissimi spostamenti di oscillazione dal punto attorno alla posizione di equilibrio stabile. In questa posizione, cioè in questi piccoli moti, è lecito fare un'approssimazione di questo genere, cioè di approssimare il seno di ϑ con ϑ e di approssimare il coseno di ϑ con 1. Così facendo, in regime di piccole oscillazioni, l'equazione differenziale del moto diventa ϑ due punti + ω² ϑ = 0.

Questa è l'equazione differenziale dell'oscillatore armonico e allora la sappiamo risolvere, sappiamo che l'integrale generale di questa equazione è C cos(ωt + γ) con C e γ da determinare attraverso le condizioni iniziali. Le piccole oscillazioni del pendolo semplice sono delle oscillazioni armoniche. Attenzione, sono le piccole oscillazioni, perché questi non esauriscono tutti i moti possibili del pendolo semplice, ma si riferisce questa soluzione, solo alle piccole oscillazioni. Le piccole oscillazioni del pendolo si dice che sono isocrone, perché si vede che, nel momento in cui noi spostiamo di poco il punto dalla posizione di equilibrio stabile, con una velocità che sia sufficientemente piccola, il pendolo descrive delle piccolissime oscillazioni, che sono periodiche, di ampiezza C, attorno a tale posizione e il periodo di queste piccole oscillazioni vale 2π/ω. E siccome la pulsazione ω è la radice quadrata di g sin α su 𝓁, allora il periodo vale 2π per la radice di 𝓁su g sin α. Le piccole oscillazioni sono isocrone perché il periodo non dipende dall'ampiezza C e quindi questo è noto come legge dell'isocronismo del pendolo. Queste sono le piccole oscillazioni del pendolo che non esauriscono tutti i possibili moti del pendolo semplice, ma ci danno un'indicazione solo di quello che succede qui.

Che cos’è lo studio del moto alla Weierstrass?

In realtà il pendolo semplice è governato da tutta una serie di moti ai quali possiamo accedere con uno studio qualitativo che per i moti unidimensionali viene fatto attraverso lo studio del moto alla Weierstrass. Lo studio del moto alla Weierstrass non lo facciamo in termini teorici, ma abbiamo il risultato di quello che dice questo teorema. Questo teorema permette di studiare i moti unidimensionali, quale è questo pendolo semplice in maniera qualitativa, attraverso la relazione reciproca che c'è tra l'energia meccanica totale e l'energia potenziale. L'energia meccanica totale dipende sempre dalle condizioni iniziali. Per il nostro pendolo semplice, possiamo calcolare l'energia meccanica totale, che dipendendo dalle condizioni iniziali, è la somma dell'energia cinetica all'istante iniziale, quindi una T₀ + l'energia potenziale all'istante iniziale e la andiamo a confrontare, questa energia meccanica totale, con il massimo dell'energia potenziale, che in questo caso si ha al polo nord, cioè quando il punto P si trova qui in alto per ϑ uguale a π. Confrontando i valori reciproci dell'energia meccanica totale e del massimo della funzione potenziale, il teorema di Weierstrass ci dice che se E è maggiore del massimo della energia potenziale, allora il pendolo ha un moto aperiodico o altrimenti detto rivolutivo.

Cosa succede al pendolo? Il pendolo vuol dire che ha una energia meccanica totale sufficientemente grande, che quando parte da una certa posizione con una certa velocità, comincia a girare sulla circonferenza e gira indefinitamente, senza mai avere punti di inversione del moto o istanti di arresto. Quindi continua a girare, se è partito con la velocità che va in in verso antiorario, continuerà a girare in questo verso. Se invece andava in questa direzione, in verso orario nell'istante iniziale, continuerà a muoversi in verso orario.

Se invece l'energia meccanica totale è esattamente uguale al massimo dell'energia potenziale, cioè al valore di ϑ in π, allora si dice che il moto è asintotico verso la posizione di equilibrio instabile, ϑ = π. Se siamo nella condizione che l'energia meccanica totale è esattamente uguale al valore massimo dell'energia potenziale, il punto parte, comincia a muoversi per esempio in verso antiorario e tende a questa posizione al polo nord e impiegherà un tempo infinito o in questo verso o se la velocità iniziale è in questo verso, in questo verso orario, impiegherà un tempo infinito a raggiungere il polo nord, cioè la posizione di equilibrio instabile. Questo è un moto asintotico verso ϑ = π, infine se l'energia meccanica totale è invece minore di Vmax, allora siamo nel caso del moto classico a cui pensiamo quando pensiamo a un pendolo, avremo il moto periodico tra due posizioni ϑ = - β e ϑ = β.

Il punto P comincia ad oscillare e oscillerà tra la posizione β e - β, il punto P comincia ad oscillare indefinitamente.In β e in - β avrà i suoi punti di inversione del moto e quindi si avrà un moto periodico tra - β e β. In questo caso, avremo il moto periodico. Questo ci dice il teorema di Weierstrass e questo esaurisce tutti i possibili moti del pendolo semplice, però questo è uno studio di tipo qualitativo, non abbiamo risolto l'equazione differenziale del moto, semplicemente guardando la relazione reciproca tra l'energia meccanica totale, che dipende dalle condizioni iniziali e il valore del massimo dell'energia potenziale, allora riusciamo a definire quali sono i possibili moti del sistema.

Come si calcola l’energia potenziale del pendolo semplice?

Prima però facciamo un’osservazione che riguarda lo studio qualitativo del moto, che abbiamo visto essere legato alla relazione reciproca tra l'energia meccanica totale e la funzione energia potenziale massima. La relazione reciproca ci dice se quale tipo di moto, dal punto di vista qualitativo, è il moto a cui è sottoposto il pendolo semplice.

L'energia potenziale del pendolo semplice, è possibile dimostrare, questo possiamo calcolarlo noi. L'energia potenziale è l'opposto della funzione potenziale. Se faccio i calcoli, troverò che la funzione potenziale per il pendolo semplice si può scrivere come -mg𝓁 sinα (1 - cosϑ), dove la costante arbitraria, quella che di solito chiamiamo U*, è stata posta uguale a -mg𝓁 sinα, in modo tale che U(ϑ = 0) sia uguale a zero.

La costante arbitraria può essere definita a meno di una costante additiva, conseguenza questa costante la si può mettere in maniera tale da porre il livello 0 della funzione potenziale dove si vuole, in questo caso volevamo che U(ϑ = 0) fosse esattamente nulla, questo solo per una questione di comodità.

Per determinare il potenziale, dobbiamo cercare la funzione U(ϑ) tale che il dL, cioè F scalare dP = dU e questo F sarà il vettore m per g che abbiamo scritto nelle lezioni precedenti, scalare dP.

Siccome V(ϑ) = - U(ϑ), l'energia potenziale sarà mg𝓁 sinα (1 - cosϑ) e quindi il Vmax, quello che abbiamo indicato essere l'elemento di confronto con l’energia totale del sistema, sarà  -U in ϑ = π e quindi 2m𝓁 sinα. In questo modo abbiamo anche quantificato quant'è il termine di confronto dell'energia meccanica totale per dirimere la questione, se il moto del pendolo semplice sia aperiodico, asintotico o periodico.

Come si studia l’equilibrio del pendolo semplice?

Quando si studia il pendolo semplice, ci si può occupare dello studio del moto e questo l'abbiamo già visto e poi ci si può occupare anche dello studio dell'equilibrio, quindi della determinazione delle posizioni di equilibrio del pendolo semplice, che durante la trattazione dello studio qualitativo dei moti, è stato già anticipato essere le due configurazioni ϑ = 0 e ϑ = π.

Adesso ci poniamo il problema di studiare l'equilibrio del pendolo semplice e per studiare l'equilibrio usiamo l'equazione F + φ = 0. F è dato solo dal vettore della forza peso, quindi dobbiamo fare F + φ e uguagliarla a zero. Andiamo a scrivere l'equazione e diventa - mg sin α sin ϑ, versore il tangente, - mg sin α cosϑ versore normale, - mg cosα versore della binormale, ma k e b sono la stessa cosa. Poi c'è + φn, versore normale, + φb, lungo la binormale. Questo deve essere il vettore nullo.

Adesso questa equazione la proiettiamo, moltiplicandola scalarmente prima per il versore tangente, poi per il versore normale e poi per il versore della binormale. Siccome t scalare t fa 1, n scalare t e b scalare t fanno 0, dalla prima proiezione si ottiene - mg sin α sin ϑ = 0. Quando moltiplichiamo scalarmente per il versore n, otteniamo - mg sinα cosϑ + φn = 0 e infine -mg cosα + φb = 0 è la proiezione dell'equazione vettoriale dell'equilibrio lungo il versore della binormale.

Quindi quello che otteniamo è un sistema di tre equazioni nelle tre incognite, che sono ϑ, non ϑ(t). All'equilibrio le soluzioni sono i parametri lagrangiani come valori costanti, non come funzioni del tempo. E φn e φb.

La prima equazione, che è quella che non contiene le reazioni vincolari scalari, è l'equazione dell'equilibrio. Questa risolta ci darà tutte e sole le configurazioni di equilibrio del pendolo semplice. In questo caso possiamo dire posizioni di equilibrio del pendolo semplice.

La seconda e la terza equazione invece ci diranno quanto valgono le componenti scalari del vettore della reazione vincolare all'equilibrio. Quindi queste hanno senso, la seconda e la terza, soltanto calcolate nelle configurazioni o posizioni di equilibrio. Dalla seconda equazione, all'equilibrio φn deve essere mg sinα cosϑ e la φb deve essere mg cosα.

Quali sono e quante sono le posizioni di equilibrio? Sono tutte e sole quelle che soddisfano questa equazione, la prima. m è una costante, g è una costante, sin α, anche questa è una costante, è un dato del problema in particolare sono diversi da zero, allora dall'equazione dell'equilibrio otteniamo che le posizioni di equilibrio sono tutte le soluzioni di sinϑ = 0. ϑ è una variabile, è un parametro lagrangiano che varia tra zero e e 2π, oppure tra - π e π.

sinϑ = 0 mi fornirà come soluzioni ϑ₁ = 0 e un ϑ₂ = π, quello che ho chiamato il polo sud e il polo nord della circonferenza. Le posizioni di equilibrio sono due, e quando ϑ₁ = 0, quanto valgono le reazioni vincolari? La φn vale mg sinα per il coseno di 0. Il coseno di 0 vale 1, quindi mg sinα.

La φb mg cosα. La φb non dipende da ϑ, quindi è sempre mg cosα, in qualunque posizione di equilibrio. Quindi nella posizione ϑ₁ = 0, nella prima posizione di equilibrio, la reazione vincolare sarà la φ₁ = mg sin α, versore normale + mg cos α lungo la binormale.

Quando invece ϑ₂ = π,  La φn vale mg sinα cosπ, quindi vale - mg sinα. La φb vale, non sempre, mg cosα e quindi nella seconda configurazione di equilibrio, la reazione vincolare sarà - mg senα, versore normale + mg cosα lungo la binormale. E queste sono le due posizioni di equilibrio, 0 e π, con le rispettive reazioni vincolari all’equilibrio, che consentono di mantenere il vincolo nelle due posizioni ϑ₁ = 0 e ϑ₂ = π.

Che cos’è la meccanica relativa del punto materiale?

Abbiamo ancora a che fare con il punto materiale, però questa volta parliamo di meccanica relativa, non di meccanica assoluta. Supponiamo di avere un sistema di riferimento Oxyz, che sia un sistema di riferimento fisso o inerziale. E poi supponiamo di avere invece un altro sistema di riferimento O₁x₁y₁z₁ che é in moto rispetto all'osservatore Oxyz. Diciamo in generale, un sistema di riferimento mobile in moto rispetto ad Oxyz lo possiamo definire non inerziale.

Poi c'è un punto P di massa m che si muove sia rispetto al sistema di riferimento fisso, Oxyz, sia rispetto al sistema di riferimento mobile, non inerziale O₁x₁y₁z₁. Abbiamo due sistemi di riferimento che sono in moto l'uno rispetto all'altro, quello con origine in O e quello con origine in O₁. Diciamo che uno dei due, il primo, è fisso o inerziale, il secondo sistema di riferimento mobile o non inerziale. Poi c'è un punto P che si muove rispetto ad entrambi i sistemi di riferimento.

Di che cosa si occupa la meccanica relativa? La meccanica relativa si occupa di determinare il moto del punto P rispetto all'osservatore mobile O₁x₁y₁z₁, conoscendo il moto dell'osservatore mobile rispetto all'osservatore fisso, quindi il moto di O₁x₁y₁z₁, rispetto all'osservatore Oxyz. Conoscendo poi le forze attive che agiscono sul punto P rispetto al sistema di riferimento fisso.

In un problema di moto, servono le condizioni iniziali rispetto ad uno dei due osservatori. Basta conoscere rispetto ad uno, perché se conosciamo il moto di O₁x₁y₁z₁ rispetto ad Oxyz, la conoscenza delle condizioni iniziali è rispetto ad un qualunque altro sistema di riferimento.

Quindi il problema di cui si occupa la meccanica relativa il moto di P rispetto all'osservatore mobile, conoscendo come si muove l'osservatore mobile rispetto a quello fisso, conoscendo le forze attive che agiscono sul punto rispetto all'osservatore inerziale e conoscendo le condizioni iniziali, un set di condizioni iniziali, quindi posizione e velocità del punto all'istante iniziale.

Quando abbiamo introdotto le leggi fondamentali della meccanica, abbiamo visto che la seconda legge, o legge di Newton, ci dice che il moto di un punto materiale rispetto ad un osservatore inerziale è governato dalla legge di Newton.

Che cosa dice il teorema riguardante la legge di Newton?

È possibile dimostrare un teorema che enunciamo solo, ma non dimostriamo, che la legge di Newton governa il moto del punto materiale rispetto ad un qualunque sistema di riferimento. Quindi la legge di Newton governa il moto di un punto materiale P rispetto ad un qualunque osservatore. Quindi sia rispetto ad un osservatore inerziale, quale è l'osservatore Oxyz che abbiamo visto prima, sia rispetto all'osservatore mobile che era non inerziale.

Possiamo vedere qual è la relazione tra la legge di Newton scritta rispetto all'osservatore inerziale e quella scritta rispetto all'osservatore mobile. Se voglio studiare il moto del punto materiale rispetto ad un osservatore fisso o assoluto, quindi rispetto ad Oxyz. Il moto del punto P nel sistema di riferimento Oxyz sarà governato dalla legge m per a = F + φ, dove a è l'accelerazione che ha il punto P misurata dall'osservatore Oxyz. F è il vettore risultante delle forze attive, agenti sul punto rispetto a questo osservatore e φ il vettore risultante delle reazioni vincolari, sempre agenti sul punto P e misurate dall'osservatore Oxyz.

Se invece voglio studiare il moto rispetto all'osservatore non inerziale O₁x₁y₁z₁, cosa di cui si vuole occupare il moto relativo, grazie a questo teorema che abbiamo solo enunciato, sappiamo che vale la legge di Newton, quindi vale una legge per cui il moto del punto P nel sistema di riferimento O₁x₁y₁z₁ vale m a₁ = F₁ + φ₁, dove a₁ è l'accelerazione relativa del punto P, cioè l'accelerazione che ha il punto P misurata da questo che è l'osservatore mobile. F₁ è il vettore risultante delle forze attive che agiscono sul punto materiale rispetto a questo osservatore, O₁x₁y₁z₁, e φ₁ il vettore risultante delle reazioni vincolari che agiscono sul punto P rispetto a questo osservatore mobile.

Sulla base dello studio che vogliamo fare, vogliamo determinare il moto di P rispetto a questo osservatore, quindi siamo in questa situazione. Conosciamo il moto dell'osservatore mobile rispetto a quello fisso, conosciamo le forze attive che agiscono su P rispetto ad Oxyz, quindi conosciamo F e conosciamo le condizioni iniziali. Ci ricordiamo che, avendo studiato un problema di cinematica relativa, quando ci sono due sistemi di riferimento come in questo caso, uno con origine in O, uno con origine in O₁, in moto l'uno rispetto all'altro, l'accelerazione assoluta del punto P, che si muove rispetto a tutti e due sistemi di riferimento, quindi l'accelerazione assoluta a, può essere scritta come l’accelerazione relativa di P, cioè l'accelerazione di P misurata da questo osservatore mobile, + l'accelerazione di trascinamento, + l'accelerazione di Coriolis.

Se considero la legge di Newton e al posto dell'accelerazione a, vado a scrivere il teorema di composizione delle accelerazioni a₁ + a𝛕 + ac, dove a₁ è l'accelerazione relativa di P, cioè questa, l'accelerazione che ha P misurata da questo osservatore. a𝛕 è l'accelerazione di trascinamento del punto P, ac l'accelerazione di Coriolis, allora l'equazione (*) diventa m per a con a₁ + a𝛕 + ac = F + φ.

C'è un'osservazione sulla seconda equazione, quella che abbiamo scritto rispetto all'osservatore O₁x₁y₁z₁. F₁ è il vettore risultante delle forze attive che agiscono sul punto rispetto a questo osservatore e questo F₁ non lo conosciamo, noi conosciamo questo F, conosciamo le forze assolute, quelle che agiscono sul punto P rispetto all'osservatore inerziale, cioè queste sono quelle che noi conosciamo. C'è anche φ₁, che è il vettore risultante delle reazioni vincolari. In realtà le reazioni vincolari sono delle opportune forze che rappresentano i vincoli e siccome i vincoli non dipendono dall'osservatore, i vincoli sono assoluti, sono forze dovute a corpi e quindi assolute, allora diciamo che φ₁ = φ, cioè il vettore della reazione vincolare, misurato dall'osservatore inerziale, deve essere lo stesso e quello misurato dall’osservatore non inerziale, perché queste sono delle forze dovute a corpi e come tali sono forze assolute.

Quindi adesso la nostra equazione nel sistema di riferimento mobile sarà m a₁ = F₁ + φ e quindi questa la indichiamo con (**).

Se torniamo all'equazione che abbiamo ricavato da (*), qui possiamo isolare al primo membro m ₁ e al secondo membro ci viene F e poi vado a prendere i due vettori -m a𝛕 che vengono dal primo membro, - m ac e poi c'è rimasto + φ. Se confrontiamo questa equazione con quella che abbiamo scritto qui, quindi se confrontiamo l'equazione (**) con questa che abbiamo riscritto adesso, a partire dall'equazione (*), dall'uguaglianza dei primi membri, discende necessariamente l'uguaglianza dei secondi membri. In particolare, avremo che il vettore F₁ sarà dato da F -m a𝛕 - m ac. In questo modo, per confronto, riusciamo a capire chi è il vettore risultante delle forze attive che agiscono sul punto, rispetto ad un osservatore mobile. E chi è? È dato dalla somma dei tre termini.

F₁, il vettore risultante delle forze attive che agiscono sul punto rispetto ad un osservatore mobile o non inerziale è la somma del vettore risultante delle forze attive che agiscono sul punto rispetto all'osservatore fisso. Poi dobbiamo aggiungere due termini:

  • -m a𝛕 rappresenta il vettore di quella che si chiama forza di trascinamento.

  • Mentre - m ac, che è l'opposto della massa, moltiplicata per l'accelerazione di Coriolis, è il vettore della forza di Coriolis.

Queste due forze entrano in gioco solo quando si sta studiando il moto rispetto ad un osservatore mobile O₁x₁y₁z₁. Quindi l'equazione del moto relativo di P, dove per moto relativo si intende il moto del punto P rispetto ad un osservatore mobile, quindi non assoluto. L'azione del moto relativo del punto P vale m a₁ = F + φ -m a𝛕 - m ac dove questi ultimi sono i vettori della forza di trascinamento e della forza di Coriolis. Questa equazione si usa solo quando si studia il moto di un punto rispetto ad un osservatore mobile O₁x₁y₁z₁. Quindi questo è il moto del punto P rispetto all'osservatore non inerziale O₁x₁y₁z₁.

a𝛕 e ac li abbiamo dalla visti in cinematica relativa, il vettore -m a𝛕 si può scrivere, usando la formula come - m per derivata seconda di O₁, fatta rispetto a t due volte, + dω in dt, vettor P - O₁ + ω vettor ω, vettor P - O₁.

Questa è l’espressione del vettore della forza di trascinamento, il vettore della forza di Coriolis invece vale - m per 2 ω vettore v₁(P). ω è il vettore velocità angolare del sistema di riferimento mobile O₁x₁y₁z₁.

Come si studia l’equilibrio relativo di P?

Quali sono i casi in cui i problemi di equilibrio o di moto risultano semplificati?

Se invece volessimo studiare un problema di equilibrio relativo, cioè se supponessimo di volere studiare quali sono le posizioni di equilibrio di P rispetto all'osservatore che si sta muovendo. Le posizioni di equilibrio di P rispetto all'osservatore assoluto si determinano con l'equazione F + φ = 0 e il punto si trova in equilibrio rispetto all'osservatore Oxyz quando siamo nella configurazione di equilibrio, cioè se noi poniamo il punto P, all’istante t₀ con velocità nulla in una posizione d'equilibrio, il punto lì rimane per ogni t > t₀.

Ci possiamo chiedere quali sono, se esistono, e qual è l'equazione per determinare le posizioni di equilibrio relativo di P, cioè le posizioni di equilibrio di P rispetto a un osservatore che si muove. Le posizioni di equilibrio relativo di P non sono posizioni di equilibrio assoluto, perché se P è in equilibrio rispetto a un osservatore che si muove, allora nel momento in cui P è in equilibrio relativo, P si muoverà rispetto all'osservatore assoluto. Vediamo come è fatta l'equazione dell'equilibrio relativo.

L'equazione dell'equilibrio relativo del punto P e questa è F + φ -m a𝛕 = 0, uguale al vettore nullo. Partendo dal moto, se vogliamo un equilibrio relativo, a₁ deve essere identicamente nulla e l'accelerazione di Coriolis che contiene la velocità relativa del punto P, perché v₁(P) è la velocità relativa del punto P, queste dovranno essere nulle. Quindi da questa equazione rimangono solo questi tre termini. Questa è l'equazione dell'equilibrio relativo del punto P, equilibrio nel sistema di riferimento mobile O₁x₁y₁z₁. Queste sono tutte le equazioni che entrano in gioco quando vogliamo studiare moto relativo, oppure equilibrio relativo di un punto, cioè moto o equilibrio rispetto all'osservatore che non è assoluto, cioè si sta muovendo.

In alcuni casi però, i problemi di moto o di equilibrio relativo, risultano semplificati in relazione al tipo di moto a cui è soggetto il sistema di riferimento mobile, per esempio.

Vediamo dei casi particolari di moto relativo. Questi casi particolari si hanno quando il sistema di riferimento  mobile O₁x₁y₁z₁ è un sistema traslante. Se il sistema di riferimento mobile sta traslando, cosa significa? Significa che il suo vettore velocità angolare è 0. Il vettore della forza di Coriolis e della forza di trascinamento, se ω è 0, il vettore della forza di Coriolis è 0, quindi è nulla. La forza di trascinamento avrà un vettore che questo è 0, questo è 0, quindi sarà dato da - m per l'accelerazione dell'origine del sistema di riferimento mobile. Quindi se il sistema di riferimento mobile trasla, la forza di Coriolis non c'è, cioè nulla, e la forza di trascinamento del punto P è data solo da - m per l'accelerazione dell'origine del sistema di riferimento mobile o possiamo scrivere -m per l’accelerazione del punto O.

Se abbiamo un sistema di punti materiali Ps, ms, che va da 1 ad N, sempre nell'ipotesi che il sistema di riferimento mobile stia traslando, allora le forze di trascinamento Ps - ms a𝛕s (Ps), siccome tutti i punti Ps avranno la forza di trascinamento che è indipendente dal punto, qui il punto P ha come forza di trascinamento, vettore - m per l'accelerazione di O₁, qualunque sia il punto P. Quindi i punti Ps avranno accelerazione di trascinamento che è data da - ms a(O₁), cioè l'accelerazione di trascinamento del punto è indipendente dal punto. Questo per s che va da 1 ad N. La forza di trascinamento di ciascun punto Ps dipende solo dalla massa ms, questo termine è uguale. In questo caso, nell'ipotesi di sistema di riferimento traslante, il sistema delle forze di trascinamento è un sistema di forze parallele e concordi. Sono parallele perché hanno tutti questo stesso vettore, un vettore comune e inoltre sono anche concordi, perché questo termine ms è una quantità positiva. Il sistema delle forze di trascinamento è equivalente ad una sola forza. Si può dimostrare che il sistema delle forze di trascinamento ammette il centro delle forze parallele e il centro delle forze parallele è il baricentro e può essere preso come punto di applicazione della forza risultante, come avviene per le forze peso e il vettore invece risultante, dobbiamo sommare, sommatoria per s che va da 1 a N di - ms per l'accelerazione del punto O₁ e siccome l'unica cosa che dipende da s è la massa, avremo - la sommatoria. per s che va da 1 ad N delle ms e questa possiamo chiamare M per il vettore a₁, quindi - M per l'accelerazione dell'origine del sistema di riferimento mobile.

L'asse centrale di questo sistema di forze parallele e concordi passa per il baricentro.

L'ipotesi è che il sistema di riferimento mobile stia traslando e inoltre, le forze di Coriolis sono nulle. Sono nulle perché se il sistema di riferimento mobile sta traslando, ω è il vettore nullo e quindi le forze di Coriolis sono nulle.

Che cos’è la forza centrifuga?

Quand’è che la forza centrifuga è zero?

La forza centrifuga è una parte della forza di trascinamento e questa forza centrifuga, in quanto parte della forza di trascinamento, entra in gioco soltanto in presenza di moti relativi o di equilibri relativi.

Supponiamo di avere sempre sistema di riferimento fisso e un sistema di riferimento mobile, quindi sistema di riferimento fisso Oxy, e sistema di riferimento mobile O₁x₁y₁z₁ e poi abbiamo il punto P che si sta muovendo rispetto a entrambi i sistemi di riferimento. La forza di trascinamento che agisce sul punto P sarà data da - m a𝛕 accelerazione di trascinamento.

L’accelerazione di trascinamento è l’accelerazione che il punto P avrebbe se pensato rigidamente connesso al sistema di riferimento mobile. Adesso connetto rigidamente P a questo sistema di riferimento mobile e guardo qual è la curva che il punto P descrive nel suo moto di trascinamento e chiamo questa curva γ𝛕, cioè mentre P lo suppongo rigidamente connesso al sistema di riferimento mobile, come se ci fosse una distanza tra P e questo sistema di riferimento, che istante per istante resta costante, allora guardo la curva fittizia, γ𝛕, è quella che P descrive se fosse rigidamente connesso al sistema di riferimento mobile. Sulla γ𝛕 fisso un'origine degli archi, cioè fisso il sistema di ascisse curvilinee, un verso positivo di percorrenza, un’ascissa curvilinea che chiamo s𝛕 e poi fisso la terna intrinseca che individuo con un versore tangente t𝛕, con un versore normale n𝛕 e con un versore della binormale b𝛕, in modo tale che t𝛕, n𝛕 e b𝛕 formino una terna destra. Così facendo, l'accelerazione di trascinamento si può scrivere come - m per l'accelerazione di trascinamento, quindi s𝛕 due punti, t𝛕 + s𝛕² punto su ρc𝛕, versore n𝛕. Quindi questa è l'accelerazione di trascinamento che poi, moltiplicata per - m, ci darà il vettore della forza di trascinamento. Moltiplichiamo per - m. Al termine rosso diamo il nome di vettore della forza centrifuga.

La componente del vettore della forza di trascinamento, nella direzione della normale principale, cioè normale alla curva di trascinamento, si chiama forza centrifuga. È una parte della forza di trascinamento. Quella parte della forza di trascinamento che è in direzione della normale principale alla curva di trascinamento γ𝛕, quindi nel moto di trascinamento, quando pensiamo P rigidamente connesso al sistema di riferimento mobile, allora c'è questa parte che risulta la componente lungo n𝛕, che prende il nome di forza centrifuga.

Osservazione

Quand’è che si può dire che la forza centrifuga sia zero? Tranne il caso banale, s𝛕 punto = 0, questo prevede che il punto non si stia muovendo, e quindi è un caso banale, ma tranne i casi banali, la forza centrifuga è zero, quindi se questo termine lo indichiamo con un vettore Fcentr, il vettore Fcentr è 0 se il sistema di riferimento mobile trasla di moto rettilineo, perché l'effetto della traslazione è che ω è uguale a zero e inoltre, se il moto è rettilineo, questo ρc𝛕 diventa infinito e di conseguenza questo termine va a zero. Tutto fa sì che se questo termine diventa infinito, questo va a zero e la forza centrifuga si annulla.

Come si esprime il vettore della forza peso?

Quando abbiamo considerato la definizione di forza peso, abbiamo detto che il peso di un punto materiale è la forza che occorre equilibrare, affinché il punto materiale sia in equilibrio rispetto a un osservatore solidale con la terra. Rispetto ad un osservatore solidale con la terra, studiamo un problema di equilibrio, quindi il problema della forza peso viene visto nella sua definizione come un problema di equilibrio relativo. Nel momento in cui si prende l'equazione F + φ - m a𝛕 = 0, nella definizione si dice che la forza peso è la forza che occorre equilibrare affinché il punto materiale sia in equilibrio rispetto a un osservatore solidale con la Terra.

Il punto è libero, quindi questo φ non c'è. F è la forza di attrazione gravitazionale tra il punto materiale e la terra. Il termine - m a𝛕 è - m ² ρ cos𝜑, versore N. Questo termine rappresenta la forza centrifuga e che è una parte della forza di trascinamento, quindi ci dobbiamo mettere il -m a𝛕, a𝛕 è l'accelerazione che il punto P avrebbe se pensato rigidamente connesso al sistema di riferimento mobile, quindi P sta descrivendo una circonferenza in un piano che è perpendicolare all'asse di rotazione. La rotazione della Terra è uniforme e quindi questa accelerazione di trascinamento si riduce alla sola accelerazione centripeta, poi col - davanti diventa centrifuga e quindi avremo la velocità angolare di rotazione della terra al quadrato, poi c'è ρ cos𝜑 che è questo raggio, il versore N poi cambiato di segno.

In questo modo si vede da dove viene l'espressione del vettore della forza peso, è il contributo di questi due termini, forza di attrazione gravitazionale punto terra e forza centrifuga che è quest'altra parte.

Author

Emma T.

Information

Last changed