Che cos’è e che cosa studia la termodinamica?
Che tipo di termodinamica studieremo?
Quali sono le due ipotesi che faccio in termodinamica?
Che cosa significa ’uniforme’?
Che cosa significa ‘di equilibrio’?
Termodinamica: Disciplina che studia le conversioni dell’energia, quindi energia sottoforma di calore, energia sottoforma di lavoro possono entro certe leggi, trasformarsi l’uno nell’altra e questo è uno degli oggetti di studio della termodinamica. C’è anche lo scambio termico che verrà trattato nella seconda parte del corso.
Noi studieremo la termodinamica dal punto di vista macroscopico. La termodinamica degli ingegneri è quella che è stata sviluppata nei primi anni dell’800 da Joule, da Carnot, che lavoravano e facevano degli studi sulle macchine termiche, che in quel periodo erano appena state introdotte (Rivoluzione Industriale, Inghilterra e Francia).
In particolare, se ci vogliamo soffermare sul termine ‘macroscopico’, pensando, dal punto di vista termodinamico, alle trasformazioni dell’aria (come un’aeriforme che in certe condizioni può essere considerata un gas), possiamo studiarle a scale molto piccole, che sono paragonabili a quello che si chiama cammino libero medio delle molecole. La struttura dell’aria è descritta come un insieme di molecole che si muovono con un moto denominato browniano (casuale, nel senso che è difficile da descrivere) e queste particelle ogni tanto hanno delle collisioni tra di loro o con le pareti che le contengono.
Statisticamente il cammino libero delle molecole è lo spazio che una molecola riesce a percorrere prima di una collisione o tra una collisione e l’altra. Questo cammino libero delle molecole per l’aria a temperatura ambiente è di circa una decina di nanometri (10⁻⁹ m). Quindi se studiassimo la termodinamica a quelle scale, faremmo la termodinamica a livello microscopico, noi invece la facciamo alle scale dal mm o cm in su, perché quello è l’interesse dell’ingegnere meccanico normalmente, quindi a livello macroscopico.
Questa è una delle nostre ipotesi generali. Un’altra ipotesi alla base della termodinamica che studiamo noi è che la termodinamica che studiamo noi è una termodinamica di equilibrio, nel senso che se noi dovessimo studiare dal punto di vista termodinamico l’aria in una stanza, non potremmo studiarla con la nostra teoria, perché la temperatura della stanza non è omogenea. Quindi siamo in una situazione di non equilibrio.
Nell’equazione dei gas perfetti, p • V = n • R • T c’è un motivo per cui la pressione p è indicata con un solo valore e non c’è una distribuzione di pressione, c’è un motivo per cui il volume del gas ha un solo valore. Possiamo trattarlo in questo modo perché, per ipotesi, la termodinamica è di equilibrio. Nella stanza la legge dei gas perfetti la possiamo applicare, ma avremo dei risultati non del tutto corretti — per i moti descritti in precedenza, ma anche per il fatto che la densità dipende dalla temperatura, la temperatura non è uniforme e quindi il volume specifico che è l’inverso della densità non è uniforme.
Quindi abbiamo queste due grosse ipotesi:
Termodinamica macroscopica.
Termodinamica di equilibrio; questa termodinamica è un po’ ristretta. Ha a che fare con volumi di gas o di materiale solido o liquido, che sono uniformi nelle caratteristiche meccaniche, termiche e chimiche. O comunque se non uniformi sono in equilibrio.
Uniforme significa qualcosa che è costante nello spazio
Di equilibrio significa che se noi andiamo a valutare alcune grandezze del sistema (= Dal punto di vista della termodinamica, possiamo pensare ad un contenitore nel quale ci sia un po’ di gas, oppure ad un contenitore con dentro un liquido in compresenza del suo vapore) che stiamo studiando, che non cambiano nel tempo.
Il motivo per cui nella stanza non riusciamo a studiare l’aria con la nostra termodinamica è perché è disomogenea, per cui non possiamo descrivere tutto con un solo valore, inoltre a causa di questa disuniformità, la temperatura cambia continuamente (anche quella media). Quindi in questo caso c’è un legame tra l’uniformità delle variabili termodinamiche e la sussistenza o la non sussistenza dell’equilibrio.
Come può essere definito un sistema?
Quando un sistema si dice chiuso?
Quando invece si dice aperto?
Nell’ambito della termodinamica parleremo di sistemi. Questo sistema dovrà essere in equilibrio, altrimenti non riusciremmo a studiarlo e in generale può essere definito in vari modi:
E' la regione finita di spazio su cui noi andiamo a concentrare la nostra attenzione.
Oppure quantità definita di materia sulla quale noi andiamo a concentrare la nostra attenzione.
La differenza fra queste due cose è che uno dei due è un sistema chiuso e l’altro è un sistema aperto.
Nel senso, se noi vogliamo studiare un po’ di materia e intendiamo sempre quella stessa materia, abbiamo a che fare con un sistema chiuso, non accettiamo altra materia dall’esterno e non cerchiamo di perdere materia dal nostro sistema.
Invece un sistema aperto è quando si sceglie una regione a distanza, magari anche mobile nel tempo, però questa regione ha delle pareti permeabili, per cui la materia può entrare e uscire come vuole da questa scatola. Quindi possiamo pensarla nel tempo, oppure che si muove.
Che cosa sono le coordinate termodinamiche?
In che cosa si suddividono le coordinate fisiche?
I sistemi sono l’oggetto di studio della termodinamica e per la descrizione di questi sistemi si utilizzano delle coordinate che si chiamano coordinate termodinamiche.
In particolare, le coordinate fisiche si possono distinguere in due grossi raggruppamenti:
Coordinate meccaniche. Sono le coordinate spaziali e temporali utili per una descrizione meccanica (macroscopica). Permettono di determinare velocità e accelerazione del sistema pensato come un corpo unico. Spazio e tempo forniscono anche l’energia meccanica (o esterna): energia potenziale e cinetica. Quindi sono la posizione in un sistema di riferimento tridimensionale, la velocità e poi il tempo.
Coordinate termodinamiche. Nel caso di un sistema costituito da una miscela gassosa le coordinate termodinamiche sono la composizione, la massa, la pressione, il volume. Sono utili per una descrizione termodinamica (macroscopica) del sistema. Ad esempio la densità, la temperatura, la pressione.
Come si descrive uno stato di un sistema, σ?
Uno stato di un sistema, σ, può essere descritto da un insieme di coordinate, quindi σ è una funzione delle coordinate. Qui mettiamo in modo generico xi, oppure dire che σ dipende dalla sua posizione x, dalla sua velocità macroscopica di tutto il sistema, dalla pressione, dal volume specifico che è l’inverso della densità, dalla temperatura, dalla composizione, …). Così viene descritto un sistema.
Quanti e quali stati di aggregazione esistono?
Gibbs era un fisico americano che ha lavorato dalla metà dell’800 fino agli inizi del ‘900. Ha individuato la regola delle fasi. Per parlare di questo però dobbiamo dare prima delle definizioni. La prima è quella di stato di aggregazione.
Di stati di aggregazione ce ne sono diversi; a noi interessano tre stati di aggregazione:
Solido
Liquido
Aeriforme, che si può suddividere in:
Stato gassoso
Stato di vapore
…
Degli ultimi due non discutiamo perché non fanno parte della termodinamica classica.
Come può essere descritta la fase?
Quali possono essere degli esempi di sistemi a due fasi?
Come si fanno a distinguere diverse fasi?
Un’altra definizione importante è quella di fase. La fase può essere descritta in diversi modi:
In un sistema in equilibrio una fase è una regione del sistema dove tutte le coordinate termodinamiche e le proprietà della materia rimangono sempre uguali.
Invece un’altra possibile definizione è quella che dice che in un sistema una fase è una regione che è fisicamente e chimicamente omogenea.
Se abbiamo un sistema, ad esempio formato da dell’ammoniaca e da vapore d’ammoniaca (perché è evaporata), questo sistema ha due fasi, perché se sono in equilibrio, tra tutte le coordinate termodinamiche ce n’è una che è subito evidente, cioè la densità che non è omogenea in tutto il sistema, ma c’è anche una linea di separazione che corrisponde alla superficie libera dell’ammoniaca, cioè la superficie di contatto tra l’ammoniaca in condizioni liquide e l’ammoniaca in stato di aggregazione vapore. La densità se andiamo a misurarla in quella superficie di contatto subisce un salto (due fasi).
Se prendiamo un po’ di acqua e un po’ di olio e le mettiamo in sistema; in equilibrio questi si stratificano, nel senso che l’acqua è più pesante dell’olio. Dipende molto dal tipo di olio, però si stratificano cioè l’olio sta sopra, l’acqua sta sotto e abbiamo un solo stato di aggregazione (è tutto liquido), ma abbiamo comunque due fasi.
Molte volte c’è confusione tra stati di aggregazione e fase. Gli stati di aggregazione sono quelli che abbiamo detto prima, mentre per quanto riguarda la fase, ogni volta che in un sistema si riescono a distinguere due cose diverse, quelle sono fasi diverse, a discapito dello stato di aggregazione, cioè nonostante lo stato di aggregazione sia lo stesso, le due fasi sono distinte e sono diverse.
Che cosa si intende per componente chimica?
Quali sono degli esempi di componenti?
Si può considerare anche una miscela di gas come componente?
Un’altra variabile che entra nella regola delle fasi sono le componenti. Componente chimica significa che una cosa potrebbe essere un elemento o un composto. Ad esempio un componente potrebbe essere l’acqua in un sistema con compresenza con un gas inerte tipo l’azoto e queste sono due componenti. L’azoto è un componente, ma è anche un elemento sottoforma di molecola; l’acqua è un componente ma non è un elemento, perché è formata da idrogeno è ossigeno.
Quindi per componente si intende o un elemento o un composto. Poi vedremo che addirittura certe volte si può considerare una miscela di gas come un componente. Nell’aria c’è ossigeno, c’è azoto, c’è un po’ di argon, c’è pochissima anidride carbonica, c’è ancora meno monossido di carbonio e quindi uno dovrebbe trattare questo gas come una miscela di 5-6 componenti. Molte volte nella regola delle fasi l’aria si tratta come un solo componente.
Che cos’è la regola delle fasi di Gibbs?
Come si dimostra la regola delle fasi di Gibbs?
La regola delle fasi è una formula dove compare:
f che rappresenta il numero di parametri liberi.
𝜑 che rappresenta il numero delle fasi.
c che rappresenta il numero delle componenti nel senso che abbiamo appena spiegato
E che fornisce il numero di parametri liberi di un sistema, a seconda del valore delle fasi 𝜑 e dal numero di componenti c. E’ molto importante sapere in anticipo quanti sono i parametri liberi nella cosa che stiamo studiando.
Quindi la presenza di entrambe le fasi fornisce delle informazioni di cui bisogna tener conto. Per questo il numero di fasi 𝜑 è una quantità che viene sottratta nel computo al calcolo dei parametri liberi.
Possiamo capire come questa equazione è stata ottenuta da Gibbs dicendo che f (numero di parametri liberi) è pari al numero di variabili che si possono individuare in un sistema complesso che contiene c componenti e 𝜑 fasi, meno il numero di relazioni o di equazioni, e poi si riesce a capire che il numero di variabili di un sistema termodinamico tipo questi che abbiamo descritto, uguali a 2 + 𝜑 • c.
Nel caso più semplice noi abbiamo 2 variabili globali (ad esempio la pressione e la temperatura del nostro sistema), che vengono rappresentate da 2, e 𝜑 • c significa che ogni volta che aggiungo una componente, ogni volta che aggiungo una fase, il numero di variabili varia in modo lineare.
Infine, il numero di equazioni è pari a c • (𝜑 - 1) + 𝜑.
Esempi della regola delle fasi di Gibbs.
Abbiamo un contenitore, consideriamo un contenitore con un gas dentro. La descrizione di questo sistema non può fermarsi alle caratteristiche fisiche del gas dentro al contenitore. Non posso dire semplicemente che dentro c’è azoto, perché il sistema è descritto da altri due parametri, che tipicamente sono la pressione e il volume specifico. Come faccio a sapere che sono 2? Con degli esperimenti oppure, se non ho un laboratorio a disposizione facciamo riferimento alla regola delle fasi, che ci dice che un sistema molto semplice che è una quantità di massa di azoto, è descritto da due parametri liberi e questa cosa si può ottenere dalla regola delle fasi.
Facciamo altri esempi.
Prendiamo l’esempio di prima con una quantità di azoto. Abbiamo 1 componente (1 solo composto), 1 fase perché è uniforme, quindi ho f = 1 - 1 + 2 = 2. Tipicamente si sceglie la pressione e il volume specifico.
Ora prendiamo acqua in presenza del vapore. Abbiamo 1 componente, 2 fasi (liquida e vapore). f = 1 - 2 + 2 = 1. Abbiamo un solo parametro libero e questo significa che quando abbiamo una stessa componente in due fasi, questo avviene ad alcune condizioni fissate o che dipendono da un altro parametro. Ad esempio l’acqua bolle a 100°C alla pressione atmosferica.
Un ulteriore esempio è prendere una miscela di tallio e oro in fase liquida e applichiamo la regola delle fasi. Abbiamo 2 componenti, - 2 fasi (liquida e vapore) e quindi avremo 2 parametri liberi che descrivono il sistema. Se proviamo a diminuire la temperatura, l’oro solidifica prima del tallio (ha una temperatura di fusione più elevata), quindi ad un certo punto compare la fase solida dell’oro e si blocca la temperatura. A quel punto un vincolo in più viene imposto al sistema e cioè il sistema deve avere tutto quella temperatura (in equilibrio). Possiamo riscrivere l’equazione f = 2 - 3 + 2 = 1. Questo parametro libero potrebbe essere la proporzione, il peso di una dei due componenti rispetto all’altro.
Ricapitolando, esiste una temperatura che si chiama temperatura di liquefazione di una sostanza solida. Se si parte da un sistema formato da due sostanze che a temperatura ambiente sono dei metalli solidi, a una temperatura elevata si trovano in stato di aggregazione liquido. In quelle condizioni ci sono due fasi (𝜑 = 2).
Una cosa che si può fare è prendere la temperatura e abbassarla sotto alla temperatura di solidificazione dell’oro. A questo punto abbiamo sempre due componenti, però abbiamo aggiunto una fase. Possiamo distinguerle visivamente, osservando le variabili termodinamiche, l’equazione cambia e abbiamo un solo parametro libero che rappresenta tutto il sistema. Questo è avvenuto perché sappiamo che i cambiamenti di fase avvengono a temperatura fissata.
Vedremo che esiste una quantità che è chiamata calore latente di solidificazione, oppure di evaporazione, di liquefazione, che restituisce un fenomeno per cui la temperatura rimane fissa, nonostante noi andiamo a sottrarre calore da questo sistema. Questa temperatura rimane fissa, finché tutta la solidificazione non è avvenuta e allora a quel punto è ovvio che se osserviamo questo in un sistema in equilibrio, tutto il sistema dovrà essere alla temperatura di liquefazione dell’oro.
Che cosa può succedere se mettiamo due sistemi a contatto, mantendendo la rigidità della parete?
Quando una parete si dice adiabatica?
Quando si dice non adiabatica o conduttiva?
Come devono essere i due stati?
Adesso cominciamo a parlare di cose che sono più termodinamiche. Abbiamo due sistemi, un sistema A e un sistema B. Potremmo decidere di disegnare in modo convenzionale il sistema A e il sistema B come due quadrati. Immaginiamo che in uno dei due ci sia una certa sostanza e nell’altro un’altra. Questi due sistemi in equilibrio (per ipotesi), sono descritti da una serie di coordinate termodinamiche.
Il sistema A è descritto dalle coordinate termodinamiche x₁, …, xn. Il sistema B è descritto dalle coordinate termodinamiche y₁, …, ym.
Possiamo fare un esperimento, ovvero possiamo pensare di mettere questi due sistemi a contatto e a questo punto possiamo osservare due possibili comportamenti; a contatto, cioè li avviciniamo, però tra di loro manteniamo la rigidità della parete. Ci sono due possibili comportamenti che possiamo descrivere:
I due stati descritti da quelle coordinate non cambiano.
I due stati cambiano e quindi osserviamo una modifica delle variabili termodinamiche.
Per concludere il discorso bisogna che i due stati siano arbitrari, non siano dei singoli stati che scegliamo. Allora si dice che la parete che separa questi due sistemi è di tipo adiabatico se abbiamo un comportamento come abbiamo descritto prima, cioè i due stati non variano del tutto, invece se gli stati dei due sistemi variano, quella parete è definita non adiabatica (o conduttiva). Dietro questa formalità c’è l’idea che, attraverso una parete conduttiva avviene lo scambio termico, che modifica le coordinate termodinamiche del sistema e poi c’è l’idea che se la parete è tale da impedire lo scambio termico, in quel caso i due sistemi non vengono influenzati dal loro contatto.
Quando due sistemi sono in equilibrio termico?
Si dice che due sistemi sono in equilibrio termico quando, nel caso essi vengano avvicinati e separati solo da una parete di tipo conduttivo, allora le variabili termodinamiche di cui sopra non variano. E questo è il motivo per cui per definire una parete conduttiva o adiabatica c’è bisogno che gli stati siano di tipo generico. Perché è ovvio che se avvicino due sistemi alla stessa temperatura, anche se in mezzo c’è una parete conduttiva, niente cambia. Per definizione di parete conduttiva o adiabatica c’è bisogno che i due sistemi siano in uno stato qualsiasi, non solo nello stato in cui sono. Una volta che noi abbiamo risolto il problema della parete conduttiva o adiabatica, possiamo dire che due sistemi sono in equilibrio termico quando messi a contatto attraverso la parete di tipo conduttivo, le loro coordinate termodinamiche non cambiano.
Che cos’è l’equilibrio termodinamico di un sistema?
Che cos’è richiesto per avere equilibrio termodinamico?
Si chiama stato di equilibrio termodinamico di un sistema, lo stato in cui le n coordinate indipendenti che lo descrivono Xi per i = 1, …, n mantengono lo stesso valore nel tempo. Si noti che per avere l'equilibrio termodinamico è richiesto:
L’equilibrio meccanico, cioè che non ci siano accelerazioni nel sistema.
L’equilibrio chimico, cioè non avvengono reazioni chimiche nel sistema.
L’equilibrio termico, cioè la temperatura è uniforme in tutti i punti del sistema.
Che cosa dice il Principio zero della termodinamica?
Quando due sistemi si dicono in equilibrio termico?
Esiste la proprietà transitiva dell’equilibrio termico, cioè se ho due sistemi che sono in equilibrio termico tra di loro, e poi uno dei due sistemi è in equilibrio con il sistema C, ma allora anche C e A saranno in equilibrio. Quindi se A è in equilibrio termico con B, A è anche in equilibrio termico con C, ne segue che B e C saranno in equilibrio termico.
Due sistemi, A e B, si dicono in equilibrio termico ( ∼ ), quando A e B, se separati solo da una parete conduttiva, non variano le loro proprietà termodinamiche.
Che proprietà è la temperatura?
Che cos’è la temperatura?
A questo punto è naturale definire la temperatura, che è quella caratteristica che riunisce tutti i sistemi aventi equilibrio termico fra di loro.
Potremmo seguire l’evoluzione di un sistema con delle variabili termodinamiche che variano e se questo sistema si mantiene sempre in equilibrio termico con un ulteriore sistema, diremo che queste trasformazioni del sistema sono trasformazioni isoterme, cioè che avvengono alla stessa temperatura. Adesso inizieremo a definire la temperatura.
Adesso cominceremo a fare un percorso che ci permetterà di definire una grandezza che si chiama temperatura e vedremo anche dei metodi operativi per la sua misura.
Abbiamo detto prima che se prendiamo due sistemi e li accostiamo, se la parete di separazione tra questi due sistemi è una parete conduttiva, questi due sistemi dopo un certo tempo si modificano, modificano il loro stato fino a diventare due sistemi che hanno una proprietà in comune e questa proprietà in comune potremmo iniziare a chiamarla temperatura e fino ad adesso abbiamo detto che questi due sistemi sono in equilibrio termico.
Quindi dal punto di vista formale, prendiamo un sistema A che definiamo come un rettangolo, facciamo la stessa cosa con un sistema B. Il sistema A è descritto da una serie di variabili termodinamiche e anche il sistema B. Allora possiamo definire una funzione che chiameremo ϑ (e che alla fine risulterà essere la temperatura). Essa è una funzione delle variabili termodinamiche del sistema A e B.
Ogni volta che ϑA è uguale a ϑB, allora per forza il sistema A è in equilibrio termico con il sistema B e poi avviene anche l’opposto: ogni volta che il sistema A è in equilibrio termico con il sistema B, questa funzione che abbiamo appena descritto è uguale nei due sistemi.
Come posso rappresentare in un grafico con 2 variabili termodinamiche le isoterme?
Come faccio a costruire un termometro?
Come si chiama questo tipo di procedura?
In generale, il numero di variabili termodinamiche può essere anche molto grande. Ora, per permetterci di avere una rappresentazione grafica di questo problema, faremo un grafico con solo 2 variabili termodinamiche. Naturalmente la nostra rappresentazione grafica non deve influenzare la generalità della questione, quindi noi scegliamo 2 variabili termodinamiche solo perché è più facile fare il disegno.
Decidiamo di scegliere due variabili per un certo sistema, x₁ e x₂. Una cosa che possiamo fare sicuramente è di prendere un secondo sistema sempre in equilibrio e che quindi sarà caratterizzato dalla proprietà della temperatura e cercare di tracciare in questo grafico tutti i punti che caratterizzano il sistema A quando è in equilibrio con il sistema B. Allora tutti questi punti potrebbero disporsi secondo alcune curve come queste, che somigliano a delle iperboli. Quindi ogni volta che vario x₁ e x₂ nel sistema A lungo queste curve, vario x₁ e x₂, ma riscontro sempre che il mio sistema è in equilibrio termico con l’altro sistema che ho chiamato sistema B e quindi sono delle isoterme.
A questo punto posso inventarmi un percorso lungo questo piano (azzurro), che obbligatoriamente sia caratterizzato dall’incrociare una volta e una sola volta (non più di 1), tutte le curve isoterme. La coppia di variabili x₁ e x₂, quindi lo stato del sistema, può essere interpretato come un termometro, perché prima avevo disegnato 3 curve e ho dato dei numeri a quelle curve (quella più bassa 10°C, in mezzo 20°C e ultima 30°C) e ogni volta che i valori x₁ e x₂ mi danno i valori che coincidono con il primo punto, ad esempio, so che quel sistema è a 10°C e allora lo posso usare come termometro, perché se lo trovo in equilibrio con un altro sistema, significa che anche l’altro sistema è a 10°C. Questo percorso è tortuoso, ma non c’è bisogno di fare operazioni così complicate, perché se uno ci pensa, potrebbe scegliere una trasformazione anziché curvilinea, rettilinea, cioè a x₂ = costante.
Anche in questo caso questa trasformazione incontra una e una volta volta tutte le curve isoterme che posso disegnare in quel modo. Qui ho trovato un altro termometro, ma questo termometro è più comodo perché dipende da 1 sola variabile termodinamica del sistema che ho deciso di utilizzare. In pratica questo è introdurre una procedura di misura indiretta, come per esempio quando, per misurare la densità del liquido, si trovano galleggianti a diversa densità, finché non si vede quello che fluttua liberamente nel liquido. Per misurare la densità, che è definita come il rapporto tra la massa e il volume di una sostanza; non misuro separatamente massa e volume, ma faccio qualcosa di diverso. Questa si chiama misura indiretta e qui è la stessa identica cosa. Misuro la coordinata termodinamica x₁ del mio sistema che chiamo termometro, per determinare la temperatura che quel termometro sta misurando. E’ in effetti quello che facciamo di solito. Di solito noi osserviamo sulla scala graduata la lunghezza della colonna di mercurio per dire qual’è la temperatura, quindi noi misuriamo una distanza al posto di misurare la temperatura.
Come si può scrivere in modo semplice l’equazione che rappresenta un termometro?
Che cos’è il punto triplo dell’acqua?
Come si può scrivere l’equazione che rappresenta la temperatura del punto triplo dell’acqua?
Che valore ha, nella scala Kelvin, la temperatura del punto triplo dell’acqua?
Allora possiamo definire un termometro molto semplice con una scala di temperatura ϑ, uguale ad una certa costante (a), • x. Visto che i laboratori nel mondo sono tanti, bisognerebbe inventare un modo perché le temperature di riferimento siano a disposizione di tutti. Il modo più ovvio è quello di utilizzare il punto triplo dell’acqua.
E’ un punto in cui si osserva, in equilibrio, l’acqua allo stato solido (ghiaccio), con l’acqua allo stato liquido, con l’acqua allo stato di vapore. Questa cosa avviene a 1/100°C e alla pressione di 700 Pa. Apricando la legge di Gibbs abbiamo 1 componente, meno 3 fasi, quindi ho che 1 - 3 + 2 = 0, che significa che non ci sono gradi di libertà, ovvero il punto triplo avviene solo per quella pressione, solo per quella temperatura. E quindi questa equazione che ho scritto, in realtà nel punto triplo non è più funzione di niente, quindi la ϑ (temperatura) del punto triplo è invariabilmente determinata.
Prendiamo l’equazione che ho scritto, ovvero ϑ = a • x, che è la nostra equazione della termometria. Possiamo definire la temperatura del punto triplo ϑ₃ = a • x₃, dove x₃ è la coordinata termodinamica x del punto triplo, che ad esempio potrebbe essere la pressione. Questo rende la scala di temperatura una scala fruibile in tutti i laboratori. Nella scala Kelvin la temperatura del punto triplo viene assegnata con il valore di 273.16 K. x/x₃ sono le proprietà termometriche che noi riusciamo a misurare al posto della temperatura, attraverso la procedura che abbiamo definito, di misura di tipo indiretto.
Che caratteristica ha la pressione?
Come si definisce la pressione?
Discutevamo prima della struttura della materia, che è composta da molecole che si muovono liberamente nello spazio vuoto. Queste molecole si muovono di un moto che viene definito caotico, nel senso che non è descrivibile localmente e istantaneamente, che hanno delle interazioni tra di loro, ma hanno anche delle interazioni con le pareti che le contornano. Quindi immaginiamo queste particelle che periodicamente vanno a colpire una parete. Dal punto di vista meccanico è come se noi avessimo tante palline e le lanciassimo contro la parete. Significa che tutti questi urti applicano una forza sulla parete. Quindi la pressione ha questa caratteristica di essere sempre diretta in una direzione, cioè nella direzione del fluido che applica una forza sul corpo, per via della natura fisica di questo fenomeno.
Si definisce pressione il rapporto tra la forza applicata da questo tipo di fenomeni sulla parete, diviso l’area su cui consideriamo questa forza. E’ ovvio che se vogliamo una distribuzione di pressione su una parete, ci converrà scegliere queste aree piccole, perché se le scegliamo piccole, sapremo in ogni areola che definiamo la pressione.
Com’è fatto un termometro a gas a volume costante?
Che caratteristiche ha il mercurio?
Perché si chiama termometro a gas?
Da che cosa dipende questo termometro?
Com’è invece un termometro a gas ideale a volume costante?
Come si scrivono le equazioni che descrivono entrambi i termometri?
Definita la pressione, possiamo introdurre quello che si chiama termometro a gas a volume costante.
Questo termometro ha un bulbo, B. Il bulbo è il nostro sistema, nel senso che per effettuare le misure dobbiamo mettere quel bulbo in equilibrio termico con il sistema di cui volgiamo sapere la temperatura. Dopo il bulbo c’è un capillare e dopo il capillare c’è un tubo pieno di mercurio, che è un materiale con una densità molto elevata ed è molto stabile. Densità elevata significa poter misurare una pressione anche con una piccola differenza di quota. Infatti 1 atm è pari a 760 mm di mercurio. Poi dall’altra parte c’è un tubo flessibile (indicato con i puntini) e l’altro è un serbatoio di mercurio che ci permette, con il principio dei vasi comunicanti di Torricelli, di regolare il sistema di misura a seconda delle pressioni che sussistono nel bulbo.
Questo termometro si chiama termometro a gas, perché nel bulbo compare un gas a volume costante, perché quello che dobbiamo fare per operare la misura, è di regolare l’altezza del serbatoio di mercurio, in modo che il capillare (la superficie libera di mercurio), dove c’è scritto indice, corrisponda con una tacca segnata. Se corrisponde con una tacca, significa che il nostro gas dentro il bubolo ha sempre lo stesso volume. Quindi abbiamo fatto esattamente quello che discutevamo prima con il grafico: abbiamo tirato una linea orizzontale, escludiamo la variazione del volume, così rendiamo il sistema, che secondo la regola delle fasi dipendeva da 2 parametri liberi, dipendente da 1 solo parametro libero. Rimane la pressione da misurare, per poter scrivere l’equazione che scrivevo prima. La pressione la misuro nel dislivello tra il menisco in alto e la tacca, quindi questo è l’esempio classico anche molto funzionale di quello che abbiamo descritto in modo astratto prima.
Il problema è che questo termometro dipende dal tipo di gas che mettiamo dentro il bulbo e quindi si comporterà in modo diverso. Non è proprio così e vedremo perché.
Se si fanno degli esprimenti con quel termometro, guardiamo quello sotto. Hanno fatto degli esprimenti con diversi gas: ossigeno, aria, idrogeno, azoto; mantenendo dentro al bulbo delle pressioni diverse. P₃ è la pressione che osservo nel bulbo, in equilibrio con il punto triplo.
Quindi prendiamo un gas, lo mettiamo dentro al bulbo, mettiamo il bulbo del termometro in equilibrio con il punto triplo dell’acqua (373.15 K) e poi vedremo che misuriamo delle temperature un pochino diverse per un’altra misura, cioè il punto di ebollizione dell’acqua alla pressione atmosferica.
Che cosa si osserva in questo diagramma? Se metto meno gas nel bulbo (di qualsiasi natura sia), quello che succede è che queste temperature che prima apparivano diverse, non mi rappresentavano i 373.15 K che mi aspetto, cominciano a convergere, cioè gas diversi in concentrazioni piccole cominciano a comportarsi in modo simile. Questa è già l’idea del comportamento ideale del gas perfetto.
I gas perfetti non esistono, ma si comportano circa come i gas ideali, quando i gas ideali sono in condizioni di forte rarefazione. Se metto meno gas lì dentro e quindi la pressione al punto triplo, e quindi quando la pressione del bulbo del gas in equilibrio con il punto triplo dell’acqua diventa sempre più piccola (da destra verso sinistra di x), comincio ad avere risultati che confondono. Questo è un ulteriore passaggio che abbiamo fatto. Prima abbiamo definito una temperatura fissata attraverso il punto triplo e questo ci serve perché è più facile avere un punto di riferimento in tutti i laboratori di misura del mondo e poi con questa osservazione fisica molto importante, siamo riusciti anche a svincolarci dalla dipendenza del nostro termometro della qualità, cioè dalla caratteristica del gas che viene messo dentro al bulbo. In generale si chiama termometro a gas a volume costante; se sfruttiamo questa proprietà, si chiama termometro a gas ideale (rarefatto) a volume costante. E’ molto funzionale, perché perde la dipendenza dal materiale, cioè da quello che mettiamo dentro.
Vediamo le equazioni. Con il termometro a gas a volume costante ϑ = (273.16/p₃) • p. p₃ sarebbe la pressione che osservo nel bulbo, quando il bulbo è in equilibrio con il punto triplo, mentre p è la pressione che misuro nella misura che effettivamente faccio per determinare il valore di ϑ. Questo è semplicemente è il termometro a gas a volume costante. Se io volessi scrivere un’equazione per il termometro a gas ideale a volume costante, devo fare il limite dell’equazione dell’equilibrio del punto triplo che tende a zero. p₃ e p sono le stesse.
Come si può definire un termometro a resistenza elettrica?
Come si può scrivere l’equazione che desscrive un termometro a resistenza elettrica?
Un’altra cosa che può essere istruttiva è di provare ad inventarci un altro termometro, un termometro a resistenza elettrica. Il termometro nell’automobile permette di sapere la temperatura esterna. La resistenza elettrica di un conduttore è influenzata dalla temperatura in modo non trascurabile e quindi misurabile.
Possiamo scrivere che la differenza di potenziale è uguale alla resistenza elettrica che dipende dalla temperatura, che moltiplica la corrente elettrica. Il tutto si esprime in volt. La resistenza elettrica si esprime in Ω e la corrente si esprime in A. Possiamo prendere questa resistenza elettrica, metterla in equilibrio termico con il punto triplo, misurare questa resistenza elettrica (relazione tra ddp e corrente) e definire una scala di temperatura ϑ, oppure definire un termometro, cioè ϑ = (273.16/R₃) • R(ϑ).
Questi termometri sono forniti con un supporto di plastica.
Che cos’è un termometro campione?
Abbiamo discusso del termometro a gas a volume costante, poi abbiamo scoperto che mettendo meno materiale nel bulbo, cioè via via dei gas rarefatti, il comportamento di questo termometro comincia a diventare indipendente dalla natura del gas che c’è dentro. Il termometro si può chiamare così termometro campione, nel senso che ha delle sufficienti caratteristiche di generalità, nel senso che è abbastanza facile costruirne diversi identici in diversi laboratori nel Mondo e per questo può essere utilizzato per fare delle misure particolarmente delicate, oppure può essere utilizzato anche per calibrazione di altri termometri. Un termometro a mercurio ad esempio può essere calibrato in questo modo e in questo senso si dice che questo termometro è un termometro a campione. Un po’ come il metro campione, che è stato conservato. Quella non è più la misura del metro originale, ma l’idea è questa.
Questo comportamento che osserviamo, questa indipendenza della natura del gas per livelli di rarefazione sempre maggiore, ha a che fare con il comportamento dei gas reali. Vedremo più avanti che si osserva che i gas reali si comportano in modi diversi, ma cominciano ad assumere comportamenti sempre più simili per certe caratteristiche termodinamiche del gas, ad esempio quando sono in condizioni di rarefazione. A quel punto si farà un’operazione di astrarre, rendere astratto quel comportamento e si dirà che il gas che ha quel tipo di comportamento, si dirà gas perfetto.
Come non si definisce l’energia?
Nel preparaci ad annunciare e a discutere del 1° Principio della Termodinamica, dobbiamo affrontare la discussione sull’energia.
Ci sono tante definizioni di energia diverse, ma molte sono errate, ad esempio ‘Il contenuto energetico di un corpo (di un sistema) è la sua capacità di fare lavoro’. Quando studieremo il 2° Principio della Termodinamica, capiremo che questa definizione non va tanto bene. Una parte di energia la chiameremo anche energia interna e possiamo associarla all’energia termica, però il 2° Principio della Termodinamica dice che non è possibile trasformare tutta l’energia termica in lavoro. Una parte di questa deve essere semplicemente trasferita ad un altro sistema, perché si possa generare lavoro da energia termica. Dire che l’energia di un sistema è legata alla sua capacità di produrre lavoro è sbagliato, perché non tiene conto del fatto che se un sistema ha solo energia meccanica, va bene, ma se un sistema ha energia meccanica e energia interna (come accade sempre), non può trasferire tutto e quindi è una definizione sbagliata.
Che cos’è una quantità estensiva?
Quali sono esempi di quantità estensive?
Che tipo di andamento hanno con la massa?
Che cos’è una quantità intensiva?
Quali sono esempi di quantità intensive?
Lle quantità di un corpo o di un sistema possono essere definite intensive o estensive:
Una quantità estensiva dipende dall’estensione del sistema, dipende dalla quantità di materia, dall’estensione della materia in un sistema. Ad esempio il peso. La capacità termica è una quantità estensiva. In particolare, per tutte queste cose che abbiamo detto, sia per il peso, sia perla massa, sia per la capacità termica, hanno un andamento lineare con la massa, nel senso se il mio sistema ha una certa massa, il suo peso sarà una certa quantità. Se dimezzo la massa, il suo peso sarà la metà, quindi la massa è una quantità estensiva. Se attribuisco ad un sistema una certa capacità termica, avrà un valore; dimezzo la sua massa e se il sistema è omogeneo, la capacità termica si dimezza.
Una quantità intensiva. Le quantità intensive sono indipendenti dalla quantità di materia cui vengono attribuite. Ad esempio il peso specifico di un materiale non è dipendente dall’entità e dalle dimensioni del sistema che stiamo considerando, quindi questa è una quantità intensiva. Il calore specifico è una quantità intensiva. Il calore specifico non viene influenzato da queste operazioni sull’estensione del nostro sistema.
L’energia è una quantità estensiva, dipende in modo forte dall’estensione del sistema. Ad esempio, l’energia contenuta in 1 litro d’acqua a 10°C è la metà dell’energia contenuta in 2 litri d’acqua a 10°C.
Di che tipo può essere l’energia a livello microscopico?
Dove possiamo individuare i vari contenuti di energia interna nei diversi stati di aggregazione?
Come sono anche denominate le energie a livello microscopico?
L’energia a livello microscopico può essere di diverse forme:
Per esempio può essere un’energia di tipo nucleare, che è associata alle proprietà del nucleo degli elementi che compongono il nostro sistema. C’è una grande quantità di energia associata ai neutroni ed elettroni che formano il nucleo di questi elementi. E’ un’energia a livello subatomico.
Esiste un’energia di tipo chimico, che è l’energia che è insita nei legami chimici. Ogni fenomeno di combustione, o anche semplicemente di idrogeno in acqua e viceversa, è associata ad un’enorme quantità di energia, che risiede nei legami chimici prima e dopo.
Saliamo ancora un po’ di livello ed esiste un’energia, che è l’energia interna. Essa è associata alla mobilità della struttura della materia nei vari stati di aggregazione, quindi visto che abbiamo parlato di vari stati di aggregazione, facciamo la suddivisione:
Stato aeriforme. Lo stato aeriforme viene descritto come un insieme di molecole che si muovono con il moto browniano. Quel movimento ha già di per sé un livello energetico e fra un po’ assoceremo questo livello energetico alla temperatura di quei gas.
Stato liquido. Per i liquidi le cose sono abbastanza simili. I legami tra le molecole sono più stretti; esistono dei legami stabili tra le molecole e il movimento o le vibrazioni di queste molecole, rivela un contenuto di energia significativa (energia meccanica), ed è associato all’energia interna, che a sua volta è legata al livello di temperatura di quella materia.
Stato solido. Nei solidi esiste un reticolo cristallino (per certi tipi di solidi) e anche in questo caso gli atomi del reticolo tendono a vibrare e queste vibrazioni tendono a dei movimenti, per esempio degli elettroni nei metalli. Lì possiamo individuare un contenuto di energia, che chiameremo energia interna.
A volte si utilizza questo insieme di energie a livello microscopico, vengono tutte denominate energia interna, anche se noi le abbiamo suddivise in questo modo.
Di che tipo può essere l’energia a livello macroscopico?
Poi abbiamo l’energia che si osserva a scale più grandi, quindi a livello macroscopico:
Esiste un’energia cinetica, ma del sistema intero. Ad esempio la pentola lanciata da qualche parte.
Esiste un’energia potenziale, ma del sistema intero. Ad esempio la pentola ad alta quota.
Per questo si intende dire che anche l’energia interna è associata all’energia cinetica e potenziale di alcuni corpuscoli, che fanno parte della materia del sistema. Invece a livello microscopico, quando si dice che una parte dell’energia del sistema sarà energia cinetica, significa che se io considero un sistema, una pentola piena d’acqua, avrà energia cinetica se la prendo e la lancio da qualche parte. Avrà più energia potenziale se la prendo con me e la porto ad un rifugio ad alta quota o avrà più energia elastica se, senza far snervare il materiale, lo comprimo fino a deformarlo solo elasticamente.
Ci sono anche altre forme di energia, ad esempio quella associata ai campi elettromagnetici.
Come si esprime l’energia interna?
Qual’è il suo corrispettivo specifico?
L’energia interna viene indicata con la U e si esprime in J. Visto che è una quantità estensiva, possiamo definire il suo corrispettivo intensivo, che sarà l’energia interna di tipo specifico, u, che si esprime in J/kg.
Che cosa comprende l’energia complessiva di un sistema?
Adesso abbiamo imparato che l’energia interna è energia complessiva di un sistema e di solito si chiama energia totale. E’ formata da energia interna e in questo caso questa energia interna rappresenta tutta l’energia di tipo microscopico, + l’energia di tipo macroscopico (cinetica, potenziale, e altri possibili contributi come elettromagnetica o elastica). Anche questa si esprime in Joule.
Il 1° Principio della Termodinamica è un’espressione matematica che dice che l’energia totale si conserva. Non dobbiamo pensare che l’energia meccanica si conservi separatamente dall’energia termica. Allora cominciamo a discutere dei possibili scambi di energia tra sistemi.
Come bisogna fare per definire uno scambio di energia?
Per definire uno scambio di energia, dobbiamo introdurre prima di tutto l’oggetto di questo scambio e cioè un sistema. Scegliamo un sistema A e lo indichiamo come un rettangolo, un contenitore con dentro un po’ di fluido in qualsiasi stato di aggregazione. Dallo studio della fisica sappiamo che tra le leggi di Newton esiste una legge che si chiama il principio di azione e reazione, che dice che quando un corpo applica una forza su un altro corpo, avviene anche l’opposto, cioè l’altro corpo applica una forza uguale e opposta al corpo.
Da qui, quando abbiamo parlato di sistemi rigidi o meccanici, per imporre l’equilibrio o per studiare le dinamiche del sistema meccanico, non bisogna considerare le forze interne. Le forze applicate sul sistema sono esclusivamente le forze esterne. Una cosa del genere vale anche per il lavoro, perché vedremo che il lavoro si costruisce moltiplicando una forza applicata su un qualche oggetto, per lo spostamento che questo oggetto compie. Che lo spostamento sia dovuto a quella forza in particolare non importa.
Attraverso che cosa si può trasferire energia meccanica?
A che tipo di forze è dovuto questo scambio di energia?
Quindi, quando vogliamo trasferire energia meccanica e lo facciamo attraverso il lavoro, non dobbiamo considerare il lavoro delle forze interne, perché se c’è un lavoro delle forza interne, questo è dovuto a una forza tra due oggetti. Quando consideriamo l’oggetto A che fa lavoro sull’oggetto B, avremo un certo lavoro di un certo segno e contemporaneamente l’oggetto B farà un lavoro sull’oggetto A di segno opposto, quindi quando parliamo di scambio di energia, scopriamo dalla meccanica che questo scambio se è di tipo meccanico deve essere attraverso il lavoro, che può essere esclusivamente dovuto a forza esterne. E quindi se quindi il nostro sistema ha una certa forma nello spazio, l’unico modo in cui quel sistema può scambiare lavoro con l’esterno è attraverso la deformazione del suo contorno, non c’è altra possibilità. Tutto quello che avviene dentro viene annullato, all’esterno dobbiamo avere una forza, ma a questo deve essere associato una spostamento e quindi l’unica possibilità è quella di deformare il contorno esterno del nostro sistema.
Il lavoro fatto dalle forze esterne deve essere accompagnato da uno spostamento. L’unico modo che un sistema ha per scambiare lavoro con l’esterno è di modificare i suoi contorni.
L’esempio più ovvio è quello del sistema cilindro - pistone. Il pistone muovendosi scambia lavoro con l’esterno.
Come avviene lo scambio di energia di tipo termico tra due sistemi diversi?
Sullo scambio di energia di tipo termico, abbiamo parlato di equilibrio termico e equilibrio termodinamico, e all’interno dell’equilibrio termodinamico esiste l’equilibrio termico e l’equilibrio termico tra due sistemi avviene quando mettiamo vicini i due sistemi, quando la superficie di separazione di questi sistemi è una parete conduttiva e quando questi sistemi mantengono costanti i loro parametri termodinamici nel tempo mentre sono a contatto. E quindi abbiamo anche capito che lo scambio di energia di tipo termico avviene tra due sistemi diversi quando sono separati da una parete di tipo conduttivo e non di tipo adiabatico.
Da che cosa dipendono le caratteristiche energetiche di un sistema?
Che cos’è una funzione di stato?
E una quantità di scambio?
Da che cosa dipendono le quantità di scambio?
Inizieremo a distinguere quelle che sono le funzioni di stato e le quantità di scambio. Le caratteristiche energetiche di un sistema, ad esempio l’energia interna, dipendono esclusivamente dallo stato del sistema, che significa che se io valuto il contenuto energetico di una bottiglia che tiene una certa quantità d’acqua a una certa temperatura fissata, non importa se 10 minuti prima l’acqua era in stato aeriforme o era ghiacciata. Il contenuto energetico non cambia. Quindi l’energia va considerata come una funzione di stato. Una funzione di stato dipende esclusivamente dallo stato del sistema cui si riferisce.
Invece le altre quantità, il lavoro e il calore scambiato non sono funzioni di stato. Sono quantità di scambio. Il calore esiste anche se si parla di energia termica; esiste in quanto è qualche cosa che viene scambiato. Se abbiamo un sistema in due stati diversi, il nostro sistema A ad un certo punto lo troviamo nello stato 1 e in un altro punto lo troviamo allo stato 2, il lavoro che serve per portare il sistema dallo stato 1 allo stato 2, dipende dal percorso, non è determinato dalla differenza dei due stati. I due stati sono fissati.
Che cosa significa intodurre un campo di forze?
Che cos’è il lavoro infinitesimo svolto dal campo di forza sul corpo che si muove da P a P’?
E il lavoro dal punto iniziale al punto finale?
Perché si usa il δ?
Sul lavoro possiamo introdurre un sistema di riferimento x, y, z; introdurre una massa m (un corpo) e dire che questo corpo compie un percorso (nero) nell’ambito del nostro sistema di riferimento e poi introdurre due punti, P e P’ che sono molto vicini; definire questo vettore spostamento infinitesimo dx e poi possiamo dichiarare di voler calcolare in tal modo un certo campo di forze dal punto 1 al punto 2.
Introdurre un campo di forze F significa associare ad un punto del dominio una forza, quindi F sarà funzione della sua posizione. Per esempio in queste coordinate cartesiane F sarà funzione di x e y.
Allora il lavoro infinitesimo che viene svolto dal campo di forza sul corpo che si muove da P a P’ sarà espresso semplicemente come F prodotto scalare dx. A questo punto possiamo calcolarci il lavoro dal punto iniziale 1 al punto finale 2, che è l’integrale da 1 a 2 di δW, che è pari al lavoro del campo di forza vettoriale. Il differenziale viene indicato con d, mentre δ si usa per sottolineare il fatto che questa qualità (il lavoro) non è un differenziale esatto, che alla fine significa che il lavoro dipende dal percorso, in particolare se volessimo immaginare tra il punto 1 e il punto 2 un percorso alternativo del nostro corpo (azzurro), otterremmo un valore diverso del lavoro che abbiamo appena definito. E’ importante non dimenticarsi mai il segno di vettore e i prodotti scalari.
Come si può scrivere il lavoro svolto dal sistema pistone-cilindro?
Come sono dirette le forze di pressione?
Che tipo di trasformazione è?
Si può scrivere W₁₂ come W₂ - W₁?
Adesso facciamo l’esempio del sistema cilindro e pistone. Proviamo a calcolare il lavoro che uno spostamento del cilindro, che le forze del nostro sistema svolgono, quando definiamo il sistema come il gas contenuto in questo cilindro. Quindi il lavoro svolto dal sistema all’esterno, nello spostamento di questo pistone tra due punti, 1 e 2. Nella figura il cilindro viene colto in un momento intermedio tra il punto 1 e il punto 2.
Ci sono delle forze applicate dal nostro sistema verso l’esterno e queste forze sono le forze di pressione del gas che abbiamo disegnato in azzurro. La pressione è dovuta attraverso gli urti delle molecole del gas sulle superfici che limitano il gas. Quello che possiamo scrivere è qualcosa di simile a quello che abbiamo scritto prima, cioè che il contributo infinitesimo di lavoro è pari al prodotto scalare tra la forza che il sistema in azzurro applica sull’esterno, per lo spostamento dx.
Dobbiamo definire una coordinata x e scoprire che, visto che le forze di pressione sono sempre dirette in direzione ortogonale alla superficie su cui vengono applicate, queste forze di pressione locali e quindi anche la forza complessiva applicata sul cielo del pistone, sarà diretta in direzione x. Quindi lo spostamento per via della geometria del tutto è anch’esso in direzione di x e quindi questo prodotto scalare è molto semplice.
Abbiamo detto che stiamo calcolando il lavoro fatto dal nostro sistema verso l’esterno. Lo spostamento è concorde alla forza, quindi verrà una quantità positiva. Più avanti forniremo delle regole per le convenzioni di segni; in questo caso siamo fuori dalle convenzioni. Sappiamo che il sistema in ogni passettino tra la configurazione in cui il cielo si trova in corrispondenza di 1 e la seconda di 2, in ogni punto di questo percorso, dovrà essere in equilibrio, perché stiamo parlando di termodinamica di equilibrio.
Questo tipo di trasformazioni esistono e vengono denominate trasformazioni di tipo quasi-statico e si deve immaginare che questo sistema evolva tra lo stato in cui il pistone è al livello 1 e il pistone è al livello 2, attraverso una serie infinita di stati all’equilibrio. Dal punto di vista pratico, dovremmo spostare per una quantità davvero piccola il pistone, aspettare che il sistema torni all’equilibrio, e poi fare un altro spostamento, e così via. Quando si fa in questo modo, quello che succede è che all’interno del pistone vige in ogni tratto un unico livello di pressione e quindi questo ci permette di scrivere questa formula.
Possiamo calcolare il lavoro compiuto da un sistema verso l’esterno anche scrivendo il valore di pressione che dipende dalla posizione (x), per la superficie del cielo del cilindro, per dx. A questo punto abbiamo scritto in modo abbastanza esplicito il lavoro in termini differenziali e tra la configurazione 1 e la configurazione 2 possiamo calcolare il lavoro compiuto dal sistema verso l’esterno.
A • dx in questo caso rappresenta la forza differenziale della variazione di volume nei piccoli tratti infinitesimi in cui suddivido questo integrale. W₁₂ significa lavoro svolto nel percorso durante l’integrazione. Se, invece di una variazione di lavoro, avessimo calcolato una variazione di energia per il nostro sistema, avremmo dovuto scrivere qualcosa del tipo U₂ - U₁. Il contenuto di energia interna allo stato 1 e allo stato 2 è determinato esclusivamente dallo stato. Invece, quando calcoliamo il lavoro non andiamo a scrivere W₂ - W₁, perché il lavoro e il calore esistono solo in quanto esiste uno scambio di energia termica e non esiste un livello di lavoro di un sistema. Sarebbe come chiedersi qualcosa del tipo, quando vediamo il mare dire ‘Ma quanta pioggia c’è in quel mare?’. Una è una cosa che viene scambiata, e l’altra è la quantità.
Questo tipo di considerazioni si riflettono anche nella notazione.
Che segno ha il lavoro di espansione?
E quello di compressione?
Abbiamo accennato prima al fatto che questo tipo di espressione si chiama lavoro di compressione e lavoro di espansione di un gas improprio. Abbiamo studiato un caso di espansione, in cui le forze che il nostro sistema applica sull’esterno, le forze del sistema applicato al cielo del pistone e lo spostamento del pistone sono nello stesso verso, nella stessa direzione e quindi il lavoro risulta positivo. La pressione ha la caratteristica di poter solo spingere e significa che se noi facciamo il calcolo del lavoro del nostro sistema con l’esterno quando avviene una compressione, troveremo che la forza e lo spostamento sono discordi e il lavoro di compressione sarà di segno negativo. Questo tipo di convenzione, questo modo di trattare il lavoro è un modo di trattare il lavoro tipico della fisica, ma nell’ambito delle macchine termiche, adotteremo una particolare convenzione di segni per il lavoro e per il calore.
Che cosa dice la convenzione dei segni per il lavoro e il calore delle macchine termiche?
La termodinamica classica è nata nel periodo della Rivoluzione Industriale. In quel periodo lo scopo della termodinamica era quello di capire come funzionavano le macchine a vapore e lo scopo era di alleviare l’uomo dal lavoro che dovevano fare e assegnarlo alle macchine, è un obbiettivo importante. Quindi la termodinamica è nata lì e le convenzioni sui segni per gli scambi di calore e gli scambi di lavoro, derivano dalle macchine termiche.
Se vogliamo far funzionare una locomotiva, dobbiamo introdurre calore con carbone nella caldaia per estrarre calore. La convenzione per il lavoro e per il calore delle macchine termiche sui segni deriva da questa esperienza, ovvero si considera sempre:
Positivo il calore che entra in un sistema, negativo il calore che esce da un sistema
Positivo il lavoro che esce da un sistema, negativo il lavoro che entra in un sistema.
Abbiamo un oggetto che chiameremo sorgente, ad un livello di temperatura T₁ più elevato del livello T₂, quindi due corpi a livelli determinati di temperatura. Tra questi due corpi possiamo immaginare di introdurre una macchina termica che disegniamo come circonferenza, ci sarà uno scambio di calore tra la sorgente a temperatura T₁ e il corpo a temperatura T₂. Obbligatoriamente ci sarà un analogo scambio di calore tra la macchina e la sorgente a temperatura T₂ e questo sarà accompagnato dalla produzione di calore.
Secondo queste convenzioni, nel nostro sistema macchina sarà positivo il calore che entra, negativo quello che esce e positivo il lavoro prodotto dal sistema. Il punto di riferimento per questo tipo di cose è da ricercarsi nella storia di questa disciplina, che risale al periodo della Rivoluzione Industriale.
Come si calcola il lavoro in forma generale?
Come si scrive il differenziale del lavoro?
Cosa succede se facciamo tendere m all’infinito?
Come si ottiene la potenza scambiata dal sistema con l’esterno?
Prima abbiamo calcolato il lavoro di compressione e di espansione di un cilindro. Andiamo a vedere se si può fare qualcosa di generale, per un sistema A nella configurazione 1 e poi abbiamo il sistema A nella configurazione 2 (in azzurro). Il sistema si è deformato e quindi siamo nelle condizioni di scambiare lavoro con l’esterno. Sarebbe interessante vedere se si riesce a calcolare il lavoro scambiato dall’esterno tra la condizione 1 (in nero) e la condizione 2 (in azzurro).
Il primo pensiero è quello di fare riferimento ad una forza, ad un calcolo di tipo differenziale. L’idea è che possiamo suddividere questa superficie di forma complessa in tante superfici piccole, in modo che ciascuna di esse sia approssimabile ad una superficie piana. Una volta fatto questo, saremo in grado di calcolare il lavoro che ci viene richiesto, un po’ come abbiamo fatto sul cilindro.
Suddividiamo questo grosso sistema in tante regioni discrete di dimensioni finite sul bordo e ne scegliamo 1 e la chiamiamo regione j. Possiamo definire un’areola j d’interesse (tridimensionale, come se fosse una mattonella) e la pressione dentro al nostro sistema è una pressione che, istante dopo istante, nel senso di grado di evoluzione della trasformazione è sempre uguale, perché siamo nella meccanica classica e abbiamo l'ipotesi di equilibrio e quindi siamo costretti a descrivere una trasformazione quasi-statica, che passa attraverso infiniti stati di equilibrio. Quindi la pressione lì dentro è sempre la stessa, quella è l’area j-esima e poi dovremmo calcolare il lavoro che compie quell’area j-esima.
Definiamo un versore nj che va nella direzione della deformazione. Allora possiamo scrivere che il contributo del pannello j-esimo al pannello complessivo, sarà pari alla forza che il nostro sistema applica, per lo spostamento.
La pressione agisce sempre nella direzione normale della superficie e quindi la forza sarà pari alla pressione per la normale della superficie e poi dovremo scrivere per lo spostamento.
Il differenziale di lavoro complessivamente lo possiamo scrivere secondo la formula. m è il numero di pannelli. Possiamo rendere sempre più piccoli questi pannelli e far tendere m all’infinito e troveremo che il lavoro compiuto nella compressione o nella trasformazione di questo sistema, sarà l’integrale tra 1 e 2 di p • dV, dove dV è la variazione infinitesima del volume.
In più, uno potrebbe pensare di valutare il lavoro anche considerando l’intervallo di tempo impiegato, e quindi calcolare anche una potenza, il che significa che al posto di questi infinitesimi di vettori di spostamento, potremmo mettere delle velocità e si può anche ottenere in modo analogo, la potenza scambiata (W con un punto sopra) dal sistema con l’esterno mentre questo evolve, come l’integrale sulla superficie di contorno di p per v, moltiplicato scalarmente per la normale di dS.
Quanto vale il lavoro di un sistema formato da un gas, in una trasformazione isoterma?
Che cosa dice la legge di Boyle?
Che segno avrà il lavoro?
Il primo esempio riguarda il lavoro scambiato da un sistema che è formato da un po’ di gas, quando questa trasformazione è di tipo isoterma. Faremo più avanti la legge dei gas perfetti, però per ora non ci serve. Per una trasformazione di tipo isoterma ci basta conoscere la legge di Boyle, che dice che per un gas rarefatto il prodotto della pressione per il volume rimane costante. Grazie alla cosa che abbiamo appena dimostrato, all’estensione del lavoro di compressione per un pistone, non siamo costretti a specificare la geometria della trasformazione del nostro gas, perché la dimostrazione ci dice che la geometria può essere qualsiasi. Allora abbiamo del gas, attraverso una trasformazione isoterma, questo espande, cambia la sua forma o si contrae, cambia il suo volume e mentre il volume cambia, la pressione può modificarsi. Quello che chiediamo è che la temperatura rimanga costante durante la trasformazione.
Semplicemente dovremmo riprendere i nostri risultati. Abbiamo un sistema che inizialmente è allo stato 1, poi poco dopo si troverà allo stato 2. Nel passaggio di stato tra lo stato 1 e lo stato 2 abbiamo che T₁ = T₂ e ci chiediamo quanto sia il lavoro di questo sistema formato da un gas, dove vale il fatto che il prodotto della pressione per il volume rimane costante, secondo la legge di Boyle. Se p • dV rimane costante, significa che per ogni evoluzione della nostra trasformazione, che sarà caratterizzato dalla pressione p e dal volume V, il prodotto di p per V è uguale a p₁ • V₁.
Se dobbiamo eseguire l’integrale, quello che conviene fare è sfruttare questa uguaglianza per far sparire la p e far comparire magari la variabile di integrazione. p sarà quindi pari a (p₁ • V₁)/V. La primitiva di 1 sulla funzione è il logaritmo della funzione. Quindi avrei ln (V₂) - ln (V₁), cioè ln (V₂/V₁).
Non siamo costretti ad indicare prima se si tratta di un’espansione o di una compressione. Il segno di questo risultato è:
Positivo quando si tratta di un’espansione.
Negativo quando si tratta di una compressione.
Quanto vale il lavoro di un sistema formato da un gas, in una trasformazione isobara?
L’esercizio uguale quando la trasformazione è isobara da fare a casa. E’ una trasformazione a pressione costante.
Che cos’è una trasformazione politropica?
Quanto vale il lavoro di un sistema formato da un gas, in una trasformazione politropica?
Una trasformazione politropica è una trasformazione con certe caratteristica di generalità che si usano per i gas e vengono descritte come le trasformazioni dei gas, caratterizzate dal prodotto p • V elevato ad un certo esponente n. Vogliamo calcolare lo stesso integrale di prima per una trasformazione politropica, cioè quando il prodotto p • V elevato all’esponente n è costante.
Se n = 1 siamo nel caso di prima, se n tende ad infinito siamo nel caso di un’isocora. Dobbiamo calcolare questo integrale.
Che cos’è un sistema chiuso?
E un sistema aperto?
E un sistema isolato?
Qual’è la differenza tra un sistema aperto e uno chiuso?
Perché l’universo è un sistema isolato?
Si chiama sistema chiuso un sistema impermeabile al trasporto della materia, nel senso di un sistema chiuso, esso ha sempre la stessa materia dentro.
Un sistema aperto invece ammette lo scambio di materia con l’esterno.
Un sistema isolato è un sistema che da un lato è chiuso e in più, oltre che essere chiuso, non ammette lo scambio di energia con l’esterno.
Quando parleremo della 2ª Legge della Termodinamica, vedremo l’universo come un sistema isolato, dove per universo non si intende qualcosa di astrofisico, ma piuttosto qualcosa di concettuale. Queste nuove definizioni ci fanno capire qualcosa di più. Abbiamo un sistema e lo disegniamo come un contorno chiuso dove dentro c’è della materia e lo chiamiamo con un certo nome, ad esempio sistema A. L’unico modo per scambiare energia meccanica, ossia lavoro con l’esterno è attraverso la deformazione dei suoi bordi. Ci possiamo rendere conto, visto che abbiamo capito che l’energia è in parte una proprietà della materia, nel senso che tutta l’energia interna è proprietà della materia, immaginiamo di trasformare questo sistema in un sistema aperto con magari un ingresso e un’uscita o più o un sistema con i contorni che non sono neanche fisici, a quel punto, possiamo capire che lo scambio di energia può avvenire attraverso lo scambio di materia stessa. Io metto dentro 1 litro di acqua in più, quindi la massa aumenta, ma nel frattempo aumento il contenuto energetico di quel sistema. Immaginiamo che questo sistema rappresenti una pentola mezza piena di acqua a 90°C, aggiungo acqua a 10°C e ho aggiunto energia, anche se è più fredda, perché comunque il contenuto energetico di quell’acqua a 10°C è sempre positivo. Quindi ci servirà questa osservazione per cui il lavoro dipende dal percorso.
Quindi la differenza tra un sistema chiuso e un sistema aperto è nello scambio di materia. Un sistema isolato oltre a non poter scambiare materia, non può neanche scambiare energia attraverso o le deformazioni delle sue pareti o attraverso le pareti conduttive. Quindi un sistema isolato è un sistema con solo pareti adiabatiche che lo contornano, in più le pareti sono rigide o comunque non scambia calore, lavoro e materia con l’esterno. L’universo è un sistema isolato perché ogni volta che immaginiamo un bordo, l’universo deve essere più in là di quel bordo.
Come si rappresenta graficamente il lavoro per portare il sistema 1 al sistema 2?
Quanto vale il coefficiente n nel caso di una trasformazione isoentropica o una trasformazione adiabatica reversibile (politropica)?
Come si rappresenta graficamente una trasformazione isoterma?
Come si rappresenta graficamente una trasformazione isobara? Questa trasformazione ha deformazione dei bordi?
Come si rappresenta graficamente una trasformazione isoentropica? Che scambio di lavoro ho rispetto alle altre trasformazioni?
Possiamo pensare di assumere un punto di vista grafico e disegnare il grafico p-V e ci saranno due punti che il nostro sistema occuperà in due momenti successivi. Alla fine quel lavoro può venire rappresentato graficamente come l’integrale della trasformazione per portare il sistema 1 al sistema 2. Se decidessi di compiere questa trasformazione, l’integrale sarebbe l’area.
Esiste la trasformazione adiabatica reversibile oppure trasformazione isoentropica per cui l’esponente n assume un valore che è dato dal rapporto tra cp e cv.
Il primo esempio che abbiamo fatto era l’isoterma, dove pV rimane costante. Questo è vero per i gas solo nel caso di gas rarefatti. Quando Boyle lavorava non era in grado di cogliere con sufficiente accuratezza le divergenze nei gas ideali. Abbiamo quindi delle iperboli nel piano che stiamo disegnando e quindi possiamo disegnare delle isoterme. Lungo un’isoterma potremmo decidere di introdurre due punti. La trasformazione è isoterma, c’è un’espansione. Secondo l’interpretazione di prima, per la trasformazione isoterma, il lavoro è rappresentato dall’area colorata in azzurro.
L’isobara non ci porta direttamente da 1 a 2. Partiamo dal punto 1, procediamo con un’isobara a pressione costante, arriviamo al volume del sistema del punto 2 e dopo scendiamo con una trasformazione isocora (volume costante). L’area sottesa da questo grafico è già molto diversa. Il lavoro è pari al prodotto della pressione iniziale per la differenza di volume. Essendo l’isocora una trasformazione a volume costante, non c’è scambio di lavoro. Un sistema chiuso non può scambiare lavoro con l’esterno, se non attraverso la deformazione dei bordi e qui una trasformazione a volume costante non ha una deformazione dei bordi.
E poi c’è la possibilità dell’adiabatica reversibile (politropica), quindi in questo caso questa trasformazione è isoentropica. n è sempre maggiore di 1, il che significa che avremo un esponente per il volume maggiore di 1, il che significa che in questo grafico la curva assomiglia a un’iperbole, ma è più pendente rispetto all’isoterma. Quindi partendo da 1 avremo una rappresentazione con un andamento del tipo di quello blu per l’adiabatica reversibile e poi per arrivare al punto 2 dovremo unire con un’isocora. Questa volta l’adiabatica reversibile è quella che implica uno scambio di lavoro più piccolo rispetto alle altre. E quindi abbiamo dimostrato in modo grafico che il lavoro di un sistema dipende dal percorso.
Che cos’è il 1° Principio della Termodinamica?
Quali sono le quantità di stato e le quantità di scambio coinvolte?
E’ la scrittura matematica che descrive la conservazione dell’energia totale. Un sistema in equilibrio contiene una quantità di energia. Il Primo Principio della Termodinamica dice che tutta l’energia si conserva. Nella scrittura di questa formula sono importanti le convenzioni sui segni che abbiamo fatto e la notazione.
Ieri abbiamo detto che nei sistemi di interesse termodinamico si assume la convenzione che le quantità di stato:
U sia l’energia interna in Joule
u sia l’energia interna specifica, misurata in J/kg
E sia l’energia totale, che comprende l’energia interna che racchiude tutta l’energia (J)
e sia l’energia totale specifica (J/kg)
E poi ci sono le quantità di scambio che sono:
Q che è il calore scambiato e si esprime in Joule
W è il lavoro scambiato e si esprime in Joule
Non esistono dei corrispettivi specifici di queste cose, perché essendo quantità di scambio, non sono di tipo estensivo, non dipendono dalla massa del sistema, perché sono qualcosa che il sistema scambia.
Per ripassare quello che abbiamo fatto, le convenzioni sui segni dicono che il calore quando entra è positivo e il lavoro quando esce è positivo. Per indicare questo tipo di convenzioni, dobbiamo disegnare una sorgente a temperatura elevata, una sorgente a temperatura bassa, una macchina termica che produce lavoro e per fare questo assorbe calore a temperatura T₁ e cede calore a temperatura T₂. Il lavoro che entra nel sistema è negativo.
Quali sono le ipotesi del 1° Principio della Termodinamica?
Stabiliamo prima di tutto le ipotesi che stanno alla base di questo principio. Il sistema deve essere in equilibrio. Il sistema deve essere chiuso, perché in questa valutazione non considereremo lo scambio di energia che avviene attraverso lo scambio di massa. Quindi quello non si considera e quindi le ipotesi sono:
Sistema chiuso
Sistema in equilibrio
Come si fa a scrivere dal punto di vista matematico la conservazione dell’energia?
Come si scrive l’enunciato per l’energia totale?
Disegniamo il sistema A nello stato 1, il sistema A nello stato 2. Prendo questo sistema A e dico che per stabilire l’energia di quel sistema si conserva, posso forse dire che l’energia rimane costante nel tempo? No, perché dovrei considerare anche lo scambio di energia con l’esterno, che avviene attraverso gli scambi di calore e scambi di lavoro.
Quindi quello che posso fare è immaginare questo sistema in due stati diversi, 1 e 2 e poi dire che la variazione di energia contenuta nel sistema, può essere solo dovuta allo scambio di energia con l’esterno. Se attribuisco lavoro, l’energia aumenta, se scambio a calore a favore del sistema e se scambio lavoro a favore del sistema, l’energia aumenta.
E quindi si scriverà che il contenuto energetico finale di questo sistema, meno il contenuto energetico iniziale del sistema, è pari a + il calore scambiato, perché per convenzione il calore che entra è sempre positivo, meno il lavoro scambiato, perché per convenzione il lavoro a segno positivo quando esce.
In sede di esame è importante scrivere le ipotesi prima di scrivere l’enunciato.
Possiamo scrivere l’enunciato anche per l’energia totale, che comprende l’energia interna, l’energia potenziale, l’energia cinetica, … Se sappiamo che la variazione di energia cinetica e potenziale del sistema tra lo stato 1 e lo stato 2 è nulla, potremmo scrivere U₂ - U₁ = Q - W, che si esprime come sempre in Joule. Questo è vero solo se i Δ delle energie sono zero. Dentro questa spiegazione c’è quasi una dimostrazione, cioè la volontà di scrivere in forma matematica una cosa che si esprime a parole.
Che cos’è e com’è definita l’entalpia?
Com’è definita l’entalpia specifica?
Come si fa a dimostrare che l’entalpia è una quantità estensiva?
Si introduce l’entalpia H, che è qualcosa di simile all’energia interna ed è utile nel caso in cui la trasformazione avvenga a pressione costante e risulta utile anche quando cominceremo a scrivere il 1° Principio della Termodinamica per i sistemi aperti.
E’ una quantità estensiva ed è una funzione di stato, esattamente come l’energia interna. E’ definita come la somma tra energia interna + il prodotto della pressione per il volume del sistema. Questa si esprime in Joule e visto che è una quantità estensiva, esiste anche la sua forma specifica, l’entalpia specifica, che è uguale all’energia interna + il prodotto della pressione per il volume specifico, in Joule/kg.
Come facciamo a dire che è una quantità estensiva? L’energia interna è una quantità estensiva, il volume è una quantità estensiva. Sappiamo che l’energia è una funzione di stato e quello è il prodotto di p • V, due funzioni di stato che non dipendono dal percorso. La pressione di un sistema non dipende da come ci si arriva in quelle condizioni. È una funzione sia di stato, sia una quantità estensiva.
La differenza di entalpia nel fluido tra ingresso in turbina e uscita in turbina rappresenterà il lavoro che la turbina riesce a recuperare dal fluido, per esempio. Stessa cosa in un compressore; la differenza di entalpia tra ingresso e uscita in un compressore, rappresenta il lavoro che bisogna spendere nel compressore per fare questa operazione sul fluido. In più si riesce a dimostrare che in una trasformazione a pressione costante, il calore scambiato da un sistema chiuso è pari alla differenza di entalpia del sistema tra lo stato iniziale e lo stato finale. E’ una quantità importante che deriva in modo immediato dall’energia interna e dai due parametri che si utilizzano normalmente per rappresentare i parametri liberi di un sistema, secondo la legge delle fasi di Gibbs.
Com’è definito il calore specifico a volume costante?
Com’è definito il calore specifico a pressione costante?
Qual’è il rapporto di cv e cp con la temperatura?
Qual’è l’andamento dell’energia interna con la temperatura?
E l’andamento dell’entalpia con la temperatura?
Si può dire che cv è il calore specifico a volume costante; il calore specifico si esprime in J/(kg • K). Il cv è definito come la derivata parziale dell’energia interna nella temperatura, quando questa derivata parziale è svolta a volume specifico costante. Questa energia interna è un’energia interna specifica e si esprime in Joule/kg. Per sottolineare il fatto che è una definizione, mettiamo il simbolo ≡ invece dell’uguale.
Possiamo definire il calore specifico a pressione costante, cp come la derivata parziale dell’entalpia nella temperatura a pressione costante e anche questo ha la stessa unità di misura, ovvero J/(kg • K).
Disegniamo uno spazio tridimensionale, dove le coordinate sono tutte le quantità che sono coinvolte, quindi il volume specifico, l’energia interna e la temperatura. Il volume specifico e la temperatura sono i due parametri liberi e poi nell’asse verticale mettiamo l’energia interna. Il calore specifico a volume costante è pari alla derivata parziale nella temperatura, a volume specifico costante. Questo significa che nello spazio che abbiamo scelto, dobbiamo isolare un piano perpendicolare all’asse v. In quel piano osserviamo u in ordinata e T in ascissa.
La variazione dell’energia interna per molti materiali (facciamo l’esempio di un gas) con la temperatura è una funzione crescente. Quindi ∂u/∂T è positiva e in più anche la derivata seconda parziale (è una funzione convessa). Con questa definizione di cv ci poniamo ad una certa temperatura, T segnato, e il cv è la pendenza di quella curva in corrispondenza del valore di T segnato. La pendenza (rappresentata dalla retta) cambia con la temperatura. Da questa semplice analisi abbiamo scoperto che cp e cv dipendono dalla temperatura. Queste quantità verranno utilizzate per calcolare il calore o una certa forma di energia che bisogna scambiare per variare la temperatura del sistema di una certa quantità.
Se facciamo delle analisi simili con l’entalpia otterremmo lo stesso risultato, utilizzando la definizione di cp. Quindi metteremmo un grafico con h, T e p, poi sceglieremo un piano ortogonale all’asse delle pressioni, disegneremo h e T su quel piano e scopriremo che l’entalpia cresce con la temperatura, non solo la derivata prima della funzione h è positiva, ma anche la derivata seconda. E quindi cp deve dipendere dalla temperatura.
Che relazione c’è tra cp e cv nei gas?
Quanto vale il rapporto cp/cv nei diversi tipi di gas?
Che valore hanno cp e cv nei solidi e nei liquidi?
I valori di cp e di cv dipendono dal gas. Si può dimostrare che cp è maggiore di cv sempre nei gas e in effetti prima, quando abbiamo definito una particolare politropica (che abbiamo chiamato isoentropica) con n pari al rapporto tra cp e cv, abbiamo stabilito che cp/cv deve essere maggiore di 1 e poi con gli strumenti che vengono sviluppati e studiati nel corso di fisica, si riesce a determinare il valore di cp/cv per diversi tipi di gas.
Si riesce a determinare che cp/cv per i gas mono-atomici è pari a 5/3, cioè 1.6 periodico.
Per i gas bi-atomici cp/cv è pari a 7/5 è sarà 1.4 e anche il cp/cv dell’aria è molto simile a questa quantità.
I gas poli-atomici hanno un valore di cp/cv pari a 4/3, che è 1.3 periodico.
Pensiamo ai solidi e all’acqua ad esempio. Entro variazioni di pressione abbastanza contenute, ad esempio 100 bar, un corpo solido e anche un liquido risentono molto poco nella loro struttura questo tipo di misura e quindi quasi nulla cambia con la pressione.
Abbiamo detto che per i nostri sistemi che dipendono da due parametri, per i solidi e per i liquidi si scopre che la pressione ha poca influenza sullo stato. Si riesce a dimostrare che per un solido e per un liquido il cp e il cv sono uguali numericamente.
Nei gas ha senso fare differenza tra cp e cv e hanno valori diversi, per un solido e per un liquido cp e cv sono uguali e li chiameremo c, è inutile distinguerli.
Come si può rappresentare graficamente un sistema aperto?
Che cosa deve fare il sistema aperto?
Che cosa significa che la massa varia all’interno del sistema?
Adesso si può cominciare a studiare il Primo Principio della Termodinamica per sistemi aperti.
Ad esempio, pensiamo al sistema di raffreddamento di una vettura, composto da una parte di scambio di calore e una parte di scambio di energia meccanica. Molte auto hanno il circuito dell’aria per il raffreddamento del motore a combustione interna, ma può anche raffreddare altri tipi di motori; è fatto con un’apertura nella parte anteriore, l’aria entra nell’apertura, c’è uno o due ventilatori, posti prima della fase di scambio termico e poi c’è la fase di scambio termico. Come si fanno a scrivere delle equazioni simili al 1° Principio, che posso applicare in un sistema che prende massa dentro (e questa massa sarà l’aria nel sistema di raffreddamento), scambia calore con quella, perché la ventola che gira scambia lavoro e poi la sputa fuori un po’ più calda?
E’ un problema che si risolve attraverso lo studio dei bilanci di energia. Si chiama 1° Principio per i sistemi aperti.
Prima di scrivere l’equazione di bilancio, scriveremo anche l’equazione di conservazione delle masse. Per un sistema chiuso la massa era sempre uguale. Invece per i sistemi aperti questa osservazione che la massa si conserva, mette in relazione delle grandezze che sono importanti e attraverso queste relazioni tra le grandezze possiamo determinare delle incognite. La scrittura della conservazione della massa assume un ruolo importante, quindi introduciamo un sistema aperto e subito dopo cominceremo a scrivere il bilancio delle masse per il sistema aperto.
Abbiamo parlato di sistema aperto come un sistema che ammette scambi di calore e di lavoro con l’esterno e che ammette scambi di massa con l’esterno.
Abbiamo una sezione d’ingresso (i) in azzurro, una sezione d’uscita (e) in arancio, poi abbiamo tutta una sezione che è composta da una parete impermeabile (una carcassa fatta di metallo) e poi abbiamo in una prima sezione una sezione di scambio termico (le sezioni si possono invertire). Abbiamo uno scambiatore, cioè una serpentina e poi una sezione in cui si scambia energia meccanica, in cui disegniamo una ventola con l’albero che trasmette il lavoro all’esterno. Abbiamo espresso in modo grafico la nostra idea di sistema. Vogliamo che il nostro sistema possa scambiare massa con l’esterno. Il sistema più generale avrà più ingressi e più uscite, avrà più ventole, avrà più scambiatori di calore, delle pareti mobili. Tutte queste eventualità possono essere comunque comprese in questa rappresentazione. Abbiamo una porta d’ingresso e una d’uscita, ma le equazioni le scriveremo in termini più generali per n ingressi e n uscite. Adesso facciamo esattamente come abbiamo fatto prima; quando si devono scrivere le equazioni che rappresentato i principi che noi esprimiamo a parole, bisogna partire dalle parole e cercare di esprimere questo in termini matematici.
Prima abbiamo detto che l’energia meccanica si conserva e significa che se c’è una modificazione, una variazione del contenuto energetico, essa può essere dovuta allo scambio di energia con l’esterno. Secondo la meccanica classica la massa si conserva e allora diremo che se nel tempo osserviamo una variazione di massa dentro quel sistema, che significa che il nostro sistema, che è il liquido o il gas che occupa gli spazi liberi. Se varia la massa del nostro sistema, è perché al netto un po’ di massa è entrata o un po’ di massa al netto è uscita. Per scrivere questo, dobbiamo essere in grado di scrivere il flusso di massa attraverso la sezione d’ingresso o attraverso la sezione d’uscita.
Che cos’è che rappresenta la massa di sostanza che entra o che esce attraverso la superficie?
Che tipo di superficie sarà?
Cosa bisogna fare per esprimere il flusso di massa?
Che cosa succede se la velocità è parallela alla normale?
E se la velocità è ortogonale alla normale?
Quanto vale localmente la massa trasportata?
Che segno ha la portata?
Come si scrive la variazione nel tempo della massa?
Che segno ha questa derivata?
Quindi scegliamo l’apertura k-esima e cerchiamo di valutare il flusso k-esimo di massa che si esprimerà in kg al secondo e questo rappresenterà la massa di sostanza che entra o esce attraverso la superficie S.
Dal punto di vista matematico, bisogna considerare una superficie, ad esempio una bandiera che sventola al vento, quindi una superficie che ha una forma qualsiasi, quindi una superficie in ambito tridimensionale. Diciamo che questa superficie sia permeabile e che quindi un fluido possa attraversarla e in ciascuno di questi punti definiamo una parte interna e una parte esterna di questa superficie e definiamo in ciascun punto una normale alla superficie.
Succede che per esprimere il flusso di massa, dobbiamo confrontare la velocità del fluido locale con quella normale:
In particolare se ho una velocità parallela alla normale e anche nella sua stessa direzione, questa velocità contribuirà completamente nel trasporto di massa attraverso la superficie.
Se in una regione avrò un angolo più piccolo, o al limite se il campo è ortogonale alla normale, non ho scambio di massa, perché ho semplicemente un po’ di flusso.
Allora localmente la massa trasportata sarà pari alla densità del fluido per la superficie (un’areola piccola), per la velocità. Il contributo di φ sarà pari alla densità, per la velocità della normale (prodotto scalare), per la superficie e allora φ sarà pari all’integrale della superficie di una quantità che si chiama portata. La normale è un versore unitario. ρ si esprime in kg/m³, la velocità si esprime in m/s, la superficie si esprime in m².
Se la massa entra dall’ingresso, la portata ha segno positivo.
Se la massa entra dall’uscita, la portata ha segno negativo.
Adesso andiamo a scrivere il bilancio della massa per un sistema aperto. Prima abbiamo scritto un bilancio di energia senza tener conto del tempo, nel senso che prendevamo due stati successivi del sistema, in cui facevamo l’energia allo stato 1 meno l’energia allo stato 2 uguale all’energia scambiata, invece qui è un po’ diverso. Possiamo dire che la variazione nel tempo della massa è pari alla portata netta in ingresso del sistema. Questa derivata sarà:
Positiva se la massa cresce
Negativa se la massa decresce
La massa è il fluido che occupa tutte le zone in bianco e quindi la derivata è uguale alla sommatoria su tutte le aperture, quindi il numero di ingressi e il numero delle uscite di φk, che possiamo scrivere come la portata. Il segno è meno perché le normali sono dirette verso l’esterno; il termine dei flussi è positivo quando della materia esce e quindi mi aspetto che la derivata della massa nel tempo sia negativa perché dentro la massa cala.
Come si scrive φ oer un sistema di forma qualsiasi, con ipotesi che v e ρ sono costanti?
Per un sistema di forma qualsiasi, con l’uscita ortogonale ad una certa coordinata x, facciamo l’ipotesi che un po’ di fluido esca o che comunque in tutte queste regioni ci sia un campo di velocità v uniforme, cioè in tutta la sezione non cambia. Calcoliamo per questo caso semplificato φk, dove k = 1. Se ρ è costante la posso portare fuori dall’integrale, se la v è uniforme (non varia nello spazio) anche quella si può portare fuori. La n, visto che la superficie è piana, anche quella è costante, quindi possiamo fare anche v • n fuori dall’integrale. L’integrale di s • dS fa S.
Adesso possiamo fare l’ipotesi che questa velocità sia fatta come in figura. Dal disegno capisco che globalmente sto perdendo massa, quindi mi attendo un dm/dt negativo, perché un po’ di massa sta uscendo. Però v • n mi dà un prodotto scalare positivo, perché v ha direzione positiva, allora per forza ci deve essere un segno meno. La stessa osservazione si potrebbe fare se la velocità fosse stata messa in un altro modo. Il sistema sta acquistando massa quindi mi aspetto una derivata maggiore di zero, però il flusso che calcolo, visto che per convenzione la normale è sempre verso l’esterno, il flusso che calcolo sarà negativo, quindi per esprimere un dm/dt positivo, dovrò mettere un segno meno.
Che differenza c’è tra bilancio e conservazione?
Si fa la differenza tra le parole bilancio e conservazione, quando una quantità fisica si conserva o meno. Se dovessimo scrivere un’equazione per l’energia meccanica, un po’ di energia meccanica può sparire dal sistema dove siamo, perché si è trasformata in energia termica. In quel caso dire conservazione di energia meccanica sarebbe sbagliato, perché l’energia meccanica non si conserva. Potremo dire che stiamo scrivendo un’equazione di bilancio dell’energia termica. Nell’equazione di bilancio ci dovrebbe essere un termine negativo che sottrae energia dal sistema per darla all’ambito dell’energia termica, per esempio aumentando (attraverso un fenomeno ad esempio di dissipazione viscosa) la temperatura del sistema.
Che direzione ha la normale?
Che ipotesi posso introdurre per semplificare la conservazione della massa per i sistemi aperti?
Il nostro interesse di questi giorni è stato la scrittura dell’equazione di conservazione dell’energia totale per i sistemi chiusi e poi c’è il 1° Principio della Termodinamica per i sistemi aperti che andremo a trattare oggi, che è un’equazione dell’energia. Prima di questo, abbiamo iniziato a trattare l’equazione di conservazione della massa. Abbiamo introdotto un sistema aperto con solo un’ingresso, solo un’uscita, solo una serpentina per lo scambio termico, solo una macchina operatrice che permette lo scambio di lavoro, ma poi nelle equazioni possiamo rendere più generale questo sistema.
Avevamo scritto il k-esimo flusso di massa φk, dove k è un indice che scorre sul numero di ingressi e sul numero di uscite; il flusso di massa è pari all’integrale della densità per v • n (prodotto scalare), dove n è la normale locale alla superficie S. Abbiamo osservato che con le convenzioni del disegno; la normale è sempre diretta verso l’esterno del nostro sistema. Avevamo anche osservato che questo flusso ha dentro di sé una convenzione sui segni, dettata dal prodotto scalare v • n. In particolare, quando la massa esce, il termine è positivo. Se dovessimo scrivere un’equazione di conservazione della massa, diremmo che la variazione della massa nel sistema, e per sistema intendiamo tutto il fluido che sta all’interno del contorno solido che lambisce lo scambiatore di calore, le pareti della turbina o della pompa, fino alla sezione d’uscita.
Quindi scriviamo la conservazione di massa per questo sistema e diciamo che la massa può variare nel tempo. m rappresenta la massa che è contenuta lì dentro; solo ed esclusivamente perché un po’ di massa potrebbe uscire e potrebbe entrare. La convenzione sui segni inclusa in questa equazione prevede che quando la massa esce, il flusso sia positivo. Allora la derivata della massa nel tempo subisce un contributo negativo quando la massa esce e quindi dobbiamo mettere un meno lì davanti. Questa è la forma più generale possibile dell’equazione di conservazione della massa. Non sempre posso calcolare un integrale fatto così; non sempre ho un sistema così complicato che contiene n ingressi e n uscite.
Esistono delle espressioni più semplici, che sono quelle che si utilizzano normalmente. Facciamo un po’ di semplificazioni. Parto dalla semplificazione più ovvia a quella che introduce più errori nell’equazione.
La semplificazione più ovvia è di ritornare al caso più semplice del nostro sistema particolare, e quindi scrivere che dm/dt è uguale alle somme di k da 1 a 2 di φk. Se abbiamo solo due aperture, cioè una in ingresso e una in uscita, l’equazione si semplifica. Potremmo ad esempio sostituire e definire la portata di massa in ingresso e in uscita. Prima ho tolto il segno ai flussi attraverso il valore assoluto, poi l’ho ri-attribuito, distinguendo tra il flusso in ingresso e il flusso in uscita.
Un’altra semplificazione potrebbe derivare dalla stazionarietà del problema. Se stiamo studiando un circuito o un sistema, funzione delle condizioni stazionarie, nel senso che l’energia sottratta dalla turbina o attribuita dalla pompa è sempre la stessa; la portata in massa e tutte le regolazioni dell’impianto non cambiano; il calore rimane sempre lo stesso, possiamo capire che il sistema è in condizioni stazionarie. Quindi qualsiasi derivata nel tempo si annulla e quindi in condizioni stazionarie la portata di massa in entrata è uguale a quella in uscita. Il contenuto della massa del sistema non varia nel tempo. Se mettessimo una vasca nel nostro disegno in basso, che si riempie piano del nostro fluido, a quel punto il sistema non sarebbe più stazionario e l’equazione non varrebbe. Invece io so che il sistema è stazionario, ci può essere anche la vasca ma rimarrebbe sempre piena e scriviamo che un po’ di massa entra e la stessa identica quantità di massa per unità di tempo esce. Tutte queste quantità si esprimono in kg/s.
Come faccio a rendere l’integrale di partenza di conservazione della massa per sistemi aperti più facile da calcolare?
Che cos’è la velocità media sulla superficie?
Come faccio a rendere più facilmente calcolabile questo integrale (di partenza)?
La prima semplificazione che può essere fatta è di ipotizzare che la densità sia uniforme sulla superficie k-esima, allora a quel punto non cambia nello spazio e posso tirare la densità fuori dal segno dell’integrale e quindi attribuire un valore di densità a quella superficie ρk. Se fosse invece la densità uniforme su tutto il sistema, basterebbe scrivere ρ e poi integrale su Sk di v • n in dS.
Un’altra cosa che potrebbe succedere è che la superficie sia piana, cioè la normale non dipende dalla posizione e a quel punto la posso portare fuori dall’integrale, oltre alla densità costante sulla superficie come avevamo detto prima. L’integrale fra parentesi ha come risultato un vettore e questo integrale lo possiamo moltiplicare per la costante normale, che è n.
Possiamo ulteriormente semplificare, perché se facciamo l’ipotesi che la velocità sia ovunque diretta esattamente come la normale, possiamo evitare il prodotto scalare. A questo punto, appena tolgo il prodotto scalare, posso introdurre la convenzione dei segni ±. Ancora questo si scrive in kg/s.
A questo punto posso introdurre la definizione di velocità media sulla superficie e dire che la media del modulo della velocità (parentesi quadre = media superficiale) sulla superficie k-esima è uguale all’integrale.
Ho deciso di scrivere queste equazioni in sequenza, perché dipende dall’applicazione. Se abbiamo una misura precisa, ma magari fatta con un metodo ottico, sul profilo di velocità di quella sezione, gli possiamo permettere di calcolare in modo numerico l’integrale. Normalmente non succede così, perché dobbiamo fare dei conti più approssimativi e le approssimazioni dobbiamo regolarle, nel senso che se sappiamo separatamente che il profilo che è piano e che la velocità media è quella, conviene usare questa equazione. Se sappiamo che la superficie d’ingresso e di uscita non è piana, non possiamo usare la semplificazione che abbiamo usato prima, quando abbiamo portato via il prodotto scalare.
Quindi conviene sempre porsi nell’espressione semplificata che sia quella attuabile, ma quella attuabile che è la più vicina all’espressione vera.
Che cos’è il volume di controllo?
Dove avviene la variazione di energia?
In che termini è scritta l’equazione del 1° Primo principio della termodinamica per sistemi aperti?
Come si esprime il termine del flusso di energia?
Che cosa rappresenta il termine Q*?
Possiamo cominciare a scrivere l’equazione del bilancio dell’energia totale, cioè energia meccanica e energia termica per i sistemi aperti, tipo il disegno che abbiamo fatto prima, dove c’è uno o più ingressi o una o più uscite di materia. In altri testi questi sistemi sono chiamati sistemi con il flusso o con deflusso. Nei libri inglesi invece si chiamano volumi di controllo. Il volume di controllo è definito come un sistema aperto, con dei contorni precisi, magari mobili, però la materia può passare attraverso questi controlli.
Abbiamo in mente il principio di conservazione dell’energia e lo vogliamo scrivere per un sistema aperto. Quando lo abbiamo scritto per un sistema chiuso, abbiamo scritto un’espressione dove il tempo non c’era; si esprimeva in Joule anziché in Watt, perché si stabilivano due istanti, l’istante 1 del sistema e l’istante 2 del sistema e si diceva che la variazione di energia totale del sistema è pari all’energia scambiata con l’esterno. Questa energia può essere scambiata attraverso calore o attraverso lavoro; introduco la convenzione sui segni.
Ora dovremo scrivere la stessa cosa, solo che l’energia può entrare o uscire da questo sistema anche attraverso la massa. Esiste un’energia che è associata al mondo microscopico e ogni volta che consideriamo un po’ di massa, quella massa avrà un contenuto energetico, per il semplice fatto che questa materia ha dei legami chimici o delle relazioni tra molecole. Quindi c’è un’energia intrinseca nella materia e dovremo tenere conto di questo. Scriveremo che la variazione di energia sarà dovuta attraverso lo scambio termico che può avvenire attraverso la serpentina, ma nessuno ci impedisce di pensare che avvenga anche attraverso i contorni rigidi e che avvenga anche attraverso la ventola e anche avvenire attraverso un fenomeno che si chiama conduzione, potrebbe avvenire anche attraverso l’ingresso e l’uscita, anche se il fluido fosse fermo all’ingresso e all’uscita. Quindi questo per quanto riguarda l’energia termica.
L’energia meccanica anche, potrebbe passare attraverso la ventola, potremmo avere che i contorni siano mobili, poi abbiamo un po’ di energia che viene scambiata con il sistema attraverso la pressione. Infatti abbiamo calcolato il lavoro fatto da un sistema che si espande ed è quindi associato alla pressione e alla velocità di un fluido. In questi ingressi e in queste uscite ci sarà un po’ di lavoro. Poi dobbiamo considerare il fatto che il fluido che entra o che c’è dentro il sistema porta con sé dell’energia, che può essere energia cinetica. Se all’ingresso arriva un fluido estremamente veloce, con massa e velocità notevole, aggiungerò molta energia al sistema. Allo stesso modo, si può considerare l’energia potenziale. Se il sistema fosse verticale, invece che orizzontale, l’energia del fluido più in alto è maggiore dell’energia del fluido più in basso, ad esempio le turbine in montagna. E poi c’è il termine dell’energia microscopica. C’è un contenuto di energia intrinseco della materia, e quella viene chiamata energia interna. Di tutto questo dobbiamo tenere conto nelle nostre equazioni, in più, se le equazioni per il 1° Principio per i sistemi chiusi erano scritte in Joule, quindi come energia del sistema che varia dallo stato 1 allo stato 2, qui la scriveremo in Watt.
Il significato vero dei termini che spiegheremo è espresso in termini di potenza, perché dovremo introdurre il flusso di energia interna, il flusso di energia potenziale, il flusso di energia cinetica; sono tutte quantità che si esprimono come quantità che variano nel tempo, come rate, cioè derivata nel tempo delle quantità. Scriveremo che (parte sinistra dell’equazione) la variazione di energia totale di questo sistema è pari al calore che entra da qualsiasi parte (Q asterisco), al lavoro che entra da qualsiasi parte e poi flusso di energia interna, cinetica e potenziale. Una cosa importante è di pensare a queste equazioni così semplici che stabiliscono la conservazione dell’energia come dei principi che possono essere espressi in modo matematico.
Nella parte sinistra dovremo scrivere la variazione di energia nel tempo e quindi l’equazione si esprime in termini di potenza, poi scriveremo i flussi di tutte queste quantità, quindi del contributo dell’energia interna, cinetica e potenziale. Per distinguere con la derivata della massa possiamo usare una (E). Il calore potrebbe entrare attraverso tutto il contorno e il lavoro con il segno meno per le convenzioni sui segni che derivano dai pionieri della termodinamica, che hanno vissuto negli anni della Rivoluzione Industriale.
Andiamo ad esprimere il flusso di energia. Devo avere le quantità specifiche delle tre quote, cioè l’energia interna, l’energia potenziale e l’energia cinetica. Quindi inserisco l’energia interna specifica (J/kg) u, l’energia cinetica specifica (m²/s, che sono esattamente pari a J/kg). La velocità al quadrato è pari al modulo del vettore velocità. Rimane solo da inserire l’energia potenziale del fluido, che sarà pari a g per la quota del tratto dell’apertura. L’energia è definita come una costante e in particolare l’energia potenziale, z significa che la nostra coordinata z è verticale e quindi è parallela e discorde alla direzione dell’accelerazione gravitazionale. Visto che l’energia è definita a meno di una costante, qui si fa riferimento ad una quota dove z = 0, dove l’energia potenziale è nulla, ma nessuno ci impedisce di lavorare anche a valori di z negativi.
Il termine Q asterisco può essere diverso da zero su tutte le superfici; è lo scambio termico che avviene quando il fluido è fermo. Questo significa che la quota di scambio di energia interna tra la parte esterna e la parte interna del nostro sistema, viene valutata attraverso l’integrale del prodotto di ρ per l’energia interna u per v • n per dS. Quello sarebbe lo scambio termico di tipo convettivo che è dovuto al moto del fluido. Quello che avviene a fluido fermo e che possiamo immaginare come se si sovrapponessero invece viene valutato nel termine Q asterisco, che tiene conto dello scambio termico tra il nostro sistema e tutte le superfici che lo contornano.
Riguardiamo la nostra equazione. Nella parte sinistra abbiamo la variazione nel tempo del contenuto energetico e nella parte destra i flussi di energia che sono associati ad uno scambio di materia con l’esterno. Poi c’è Q asterisco e W asterisco in cui ci sono tutti i possibili scambi termici e di lavoro con il sistema, eccetto quelli di cui si tiene già conto nei termini del flusso. Il calore scambiato se sarà alle pareti, non sarà per il fatto che il flusso entra o il flusso esce; sarà per il fatto che c’è un calore scambiato indipendentemente dal modulo.
Che valore hanno Q e W nella parete rigida, nello scambiatore di calore, nel ventilatore e nell’apertura?
Che cos’è il lavoro tecnico utile?
Lo scambio di calore e lo scambio di lavoro possono avvenire attraverso qualsiasi bordo di contorno del nostro sistema. Abbiamo la parete rigida, poi lo scambiatore di calore, il ventilatore, apertura verso l’ingresso e verso l’uscita. Quindi analizziamo ciascuno di questi termini (tabella):
Ad esempio, il calore può essere scambiato attraverso una parete rigida? Sicuramente sì.
Può essere scambiato attraverso lo scambiatore di calore? Sicuramente sì.
Può essere scambiato attraverso il ventilatore? Non è un caso frequente, ma potrebbe essere.
Può essere scambiato attraverso l’ingresso e l’uscita? Sì, però si può considerare solo il calore scambiato per conduzione, perché quello per convezione viene già incluso. Tipicamente si fa l’ipotesi che quella quota di scambio termico attraverso queste due rimanenti superfici lo chiameremo Q punto ed è lo scambio termico che resterà nella nostra equazione, perché avremo trascurato gli altri due.
Parliamo del lavoro. Il lavoro potrebbe passare attraverso la parete rigida? Sì però se fosse impermeabile. Può passare attraverso lo scambiatore di calore? Possiamo scrivere uguale a zero.
Può passare attraverso le aperture? Attraverso le aperture noi abbiamo scoperto un’espressione per il lavoro, il lavoro di compressione e di espansione che abbiamo scritto in Joule, che era l’integrale della pressione, per dV, dove V era il volume totale e teneva conto di un sistema che cambia il suo volume. Se non ci sono macchine operatrici che pescano dentro al nostro sistema, l’unico modo che ha il sistema di scambiare lavoro con l’esterno è attraverso la modifica dei suoi bordi.
Avevamo fatto i conti prima con il pistone e poi con altro e avevamo scritto che quel lavoro di emissione e di immissione ha questa espressione. Avevamo preso un sistema di una certa forma che poi si espande o cambia la sua forma in un’altra. Il lavoro scambiato nel tempo è l’integrale di p • dV. Questo derivava dall’idea che per una superficie piana piccola quel lavoro era la pressione per la normale, poi moltiplicato scalarmente per lo spostamento del contorno e moltiplicato scalarmente per la superficie. Poi avevamo capito che n • dx • ΔA faceva la variazione di volume.
Analogamente, si può calcolare la stessa cosa in termini di potenza, e quindi sostituendo quella spaziatura dx con un rapporto dx/dt, quindi con la velocità. E la potenza scambiata agli ingressi e alle uscite W punto, si scrive in questo modo, cioè integrale sulla superficie di p • v • n in dS. Qui abbiamo a che fare con il volume V e la velocità del fluido v. Questo lavoro che sarebbe, nel caso del disegno, la potenza di compressione e di espansione, si ripresenta come il lavoro scambiato agli ingressi e alle uscite, perché alla fine lì la situazione è la stessa. Abbiamo all’ingresso del flusso d’aria una certa pressione, più alta è la pressione in questa sezione nel nostro volume di controllo e magari concorde con la velocità e maggiore è la potenza termica che aggiungiamo al nostro sistema. Invece se il nostro sistema è costretto a far uscire del flusso, contro una pressione piuttosto elevata, a quel punto la potenza diventerà una potenza persa, dal punto di vista del sistema.
Potremmo aggiungere un termine. Nei flussi abbiamo un meno; il termine di lavoro scambiato sarà qualcosa del tipo (e lo indichiamo con il riferimento 1), integrale sulla superficie di quello che abbiamo scritto prima, cioè p v • n in dS. Se v è parallelo e concorde con n, allora il nostro sistema perde energia e deve avvenire il contrario, quindi viste le convenzioni sui segni, questo termine qui, scritto nell’ambito del lavoro, va bene scritto così.
Il ventilatore potrebbe scambiare potenza meccanica, quindi nella tabella potremmo scrivere che sarà W punto e se le pareti sono mobili, allora anche questo contribuirà. Quello che si fa nei testi della fisica tecnica italiana è di dare un nuovo nome a questo lavoro, al lavoro che viene scambiato con il nostro sistema attraverso le macchine operatrici, il lavoro tecnico utile; non perché questo termine 1 non rappresenti lavoro, non perché rappresenti una potenza scambiata con l’esterno, ma non è tecnicamente utilizzabile. Allora la parte su cui i tecnici e gli ingegneri si focalizzano è invece questa quota di lavoro, non l’ultima. Quindi quando scriveremo il 1° Principio per i sistemi aperti, dalla quota con l’asterisco, abbiamo sottratto il lavoro di immissione e di emissione, perché non si considera quel lavoro come utilizzabile. Si chiama lavoro tecnico utile.
Come posso riscrivere l’equazione di bilancio, utilizzando il lavoro tecnico utile e anche l’entalpia?
Quali sono i termini che rappresentano lo scambio di potenza meccanica complessivo?
Quando il termine di accumulo di energia è diverso da zero?
Che significato assume l’entalpia?
Come diventa l’equazione di bilancio, facendo tutte le ipotesi?
Che segno assume il flusso quando entra? E quando esce?
Che semplificazioni ulteriori posso fare?
Quindi adesso possiamo scrivere un po’ di equazioni. Il calore lo andiamo a scrivere senza l’asterisco, perché abbiamo trascurato una quantità. Il lavoro si differenzia perché non abbiamo messo un termine e quindi lo dobbiamo aggiungere adesso.
C’è una somiglianza tra i due integrali (quello che abbiamo scritto e quello indicato da 1). Da una parte abbiamo la densità, dall’altra non c’è; abbiamo da entrambe le parti la velocità, poi la normale, e la pressioni. Si prende il termine del lavoro di immissione e di emissione, lo si moltiplica per la densità e lo si sottrae dalla densità. Lo moltiplico e lo divido per la densità e questo termine lo posso includere nel termine dei flussi.
Andiamo a riscrivere. La pressione diviso la densità dobbiamo metterla, la velocità c’è già, la normale c’è già, l’integrale sulla superficie k-esima c’è già e il segno meno c’è già. Quindi dobbiamo mettere p su ρ.
Questi due termini segnati nella relazione, costituiscono lo scambio di potenza meccanica complessivo e W punto è il lavoro tecnico utile. Possiamo individuare in quel termine la definizione di entalpia, che è la somma dell’energia interna specifica o totale che sia, + il prodotto della pressione per il volume specifico (oppure la divisione tra la pressione e la densità). Solo che il volume specifico è l’inverso della densità e allora u + p v può essere incluso in un solo termine che si chiama entalpia. L’entalpia acquisisce un’importanza tecnica notevole.
Abbiamo imparato che questo bilancio è fatto a sinistra dal termine di accumulo di energia che è diverso da zero solo se il sistema è non stazionario, ad esempio sta accumulando o sta perdendo energia.
Nella parte destra abbiamo i soliti termini del primo principio della termodinamica, cioè il calore scambiato dal sistema e il lavoro scambiato dal sistema, però ci siamo resi conto che quel lavoro scritto con W non è tutto il lavoro possibile scambiato dal sistema, ma solo il lavoro che si compie, perché da quello abbiamo sottratto il lavoro di immissione e di emissione, calcolato come integrale che adesso è incluso nel cammino dell’entalpia. E l’entalpia adesso acquista il significato di energia interna all’ingresso e all’uscita, + il lavoro di immissione e di emissione all’ingresso e all’uscita.
Adesso quello che potremmo fare è di prendere quell’integrale e lo scriviamo in forme più normali. Questa volta è più complicato di prima, perché prima avevamo semplicemente l’integrale del prodotto tra due cose e la densità si può considerare costante. Sezione per sezione, in un tubo d’ingresso di un fluido, la densità potrebbe rimanere costante, la velocità probabilmente no, così come l’entalpia e l’energia cinetica locale, così come la quota rispetto ad una stazione di riferimento. Per scrivere quell’equazione in termini più semplici, si fanno delle ipotesi che introducono più errori rispetto a prima.
Diremo nelle ipotesi che la densità sia costante sulle aperture, che l’entalpia sia costante (uniforme) sulle aperture, che la velocità sia uniforme sulle aperture. In questi casi possiamo prendere quelle parentesi, compresa la velocità e la densità e le si va a tirar fuori dall’integrale. Una volta che i tre termini sono uniformi nella sezione, possiamo farli uscire dall’integrale, che sarebbe l’integrale della portata in massa con il segno. Se togliamo la scrittura vettoriale, dobbiamo regolare noi i segni. Dovremmo scrivere ± somme e sta a noi regolare i segni. Abbiamo l’entalpia specifica dell’apertura k-esima, la velocità k-esima, e l’energia potenziale k-esima. Questa è già un’equazione molto più utilizzabile. Sceglierò il segno + quando il flusso entra e il segno - quando il flusso esce. L’integrale è positivo quando il flusso esce, però c’era il meno davanti e quindi quando entra devo mettere il +. L’entalpia che contiene energia interna più altra energia (cinetica e potenziale), è ovvio che quando entra, andrò ad arricchire il mio sistema in energia e quindi devo metterci un +, così contribuirò in modo positivo alla variazione nel tempo dell’energia totale.
A questo punto, possiamo fare un sacco di semplificazioni; se la velocità del fluido in ingresso e in uscita è uguale, possiamo togliere il termine dell’energia cinetica. Se il sistema è orizzontale, possiamo togliere la variazione di energia potenziale, se il sistema è adiabatico, possiamo togliere il termine Q punto. Se sappiamo che il lavoro scambiato attraverso macchine operatrici, quindi il lavoro tecnico è nullo, possiamo togliere il W punto, ma non abbiamo tolto il lavoro di emissione e di immissione. Possiamo fare un po’ di esempi che sono molto significativi e che ci dicono qualcosa sul perché l’entalpia riveste questo ruolo così importante nella fisica tecnica.
Come diventa l’equazione del bilancio dell’energia meccanica per una turbina?
Facciamo l’esempio di una turbina. Togliamo lo scambiatore di calore nel disegno di prima. Immaginiamo un sistema che lavora in condizioni stazionarie, cioè abbiamo sempre lo stesso flusso in ingresso e lo stesso flusso in uscita. Se il tubo d’ingresso e il tubo d’uscita non sono tanto diversi, l’energia cinetica all’ingresso e all’uscita non sono tanto diversi, questo termine se ne va. Se nel tratto dove ci sono le palette della turbina abbiamo un tratto un pochino orizzontale, la quota non varia tanto. Le turbine idrauliche sono tipicamente caratterizzate da uno scambio termico nullo.
Come diventa l’equazione del calore per gli scambiatori di calore?
Facciamo un altro esempio, uno scambiatore di calore. Abbiamo un flusso che entra con la sua tubazione, caldo, gli sottraiamo calore ed esce freddo e quindi nel disegno di prima togliamo la ventola e manteniamo la serpentina. Facciamo l’ipotesi che il flusso sia di tipo stazionario, che lo scambiatore di calore sia un oggetto orizzontale, che il tubo d’ingresso sia pari al tubo d’uscita, la densità non vari tanto, che l’energia cinetica d’ingresso sia pari all’energia cinetica di uscita. Lo scambiatore di calore non è fatto per scambiare lavoro tecnico utile.
Le convenzioni sui segni dicono che il calore in ingresso è positivo, quindi se l’entalpia in uscita è maggiore dell’entalpia d’ingresso, significa che il fluido ha più contenuto di energia interna quando esce, il che significa che abbiamo aggiunto calore al nostro sistema e quindi il segno del calore è quello che ci aspettavamo per la nostra convenzione. Quindi c’è questa flessibilità della quantità di entalpia per un semplice scambiatore di calore, oppure per una semplice turbina, di valutare sia il calore scambiato, sia il lavoro scambiato. Queste quantità sono sempre espresse in Watt.
Che tipo di processo è la laminazione?
Nei cicli frigoriferi c’è una sezione in cui il fluido deve perdere pressione, da una pressione elevata ad una pressione più bassa. Potrei metterci una turbina e sfruttare questo. In realtà questo non è possibile, perché nel frattempo il fluido cambia di fase ed è complicato da fare, quindi si preferisce buttare via quell’energia; si prende il fluido e lo si introduce in una piccola sezione di una certa lunghezza. Dietro al frigo c’è un tubo di rame sottile. Questo tubo serve per la laminazione; quello che si fa, introducendo delle perdite che si chiamano dissipazioni viscose, si riesce a diminuire il contenuto in energia meccanica, trasformandolo in parte in energia termica, attraverso il passaggio attraverso una tubazione. Questo tipo di valvola è usata in un sistema che funziona in modo stazionario, quindi il primo termine va via. Non produce lavoro termico, perché è un tubo.
Possiamo dire che il calore scambiato è trascurabile, la quota non varia tanto, l’energia cinetica non varia per niente, perché la sezione è costante e quindi la velocità d’ingresso è pari alla velocità media di uscita. Possiamo capire che la laminazione è un processo a entalpia costante. Abbiamo eliminato tutti i termini. La laminazione è isoentalpica.
Come si esprime il lavoro tecnico utile per una particella materiale, assumendo un sistema chiuso, costituito da un tubo con un’ingresso e un’uscita e all’interno una turbina/pompa?
Un’altra cosa che possiamo fare è quella di provare una valutazione per alcuni sistemi specifici del lavoro tecnico utile. In particolare per un sistema che sia composto da una turbina o da un ventilatore/compressore. La turbina estrae calore dal flusso, la pompa, il compressore e il ventilatore aumentano l’energia meccanica del fluido. Il punto di partenza è quello della turbina. Vogliamo esprimere il lavoro tecnico utile. Per avere un’espressione del lavoro tecnico utile, in funzione dell’entalpia all’ingresso e all’uscita del nostro sistema, dovremo fare le ipotesi che il caso è di tipo stazionario, che la variazione di quota non è significativa, che la variazione dell’energia cinetica all’ingresso e all’uscita non è significativa e che il sistema è adiabatico, quindi non c’è scambio di calore.
La stessa equazione che abbiamo scritto per la turbina vale anche per la pompa, solo che nella pompa l’entalpia di uscita è maggiore dell’entalpia d’ingresso e il lavoro diventa negativo. Quindi per arrivare ad un’espressione per il lavoro tecnico utile, cioè lavoro per unità di tempo e quindi potenza meccanica, partiamo da questa espressione, nell’ipotesi di sistema adiabatico.
La situazione dal punto di vista fisico, sarà una situazione di questo tipo; avremo un tubo con sezione d’ingresso I, con sezione d’uscita E, e in mezzo ci sarà una ventola. Quello che si fa è che si applica il 1° Principio per sistemi chiusi. Si prende una particella materiale, una certa massa di sostanza che è caratterizzata dall’essere composta sempre dalla stessa materia. Immaginiamo nella sezione I di avere un po’ di colorante, in modo che una parte di quella materia si colori ed evolva verso l’uscita. Quella macchia colorata la chiamiamo particella materiale. E questo è un sistema chiuso, nel senso che essendo formato sempre dalla stessa materia è impermeabile e possiamo applicare il 1° Principio della Termodinamica per sistemi chiusi.
Quindi ho questa espressione per il lavoro tecnico utile, attraverso la variazione di entalpia io posso calcolare la variazione di entalpia con delle considerazioni sul 1° Principio per sistemi chiusi. Si scrive prima di tutto il 1° Principio, poi lo possiamo scrivere in termini differenziali, quindi la variazione di energia interna è uguale ad una piccola quantità di calore scambiato in quel tratto di quella trasformazione, meno una piccola quantità di lavoro scambiato in quel tratto di quella trasformazione.
La si può scrivere in termini specifici. Stiamo parlando di una massa che conosciamo (che abbiamo colorato con il colorante) e quindi possiamo scriverlo in termini specifici. Per il lavoro, visto che in questa massa possiamo valutare esclusivamente il lavoro scambiato attraverso le variazioni di forma del contorno, al posto del differenziale del lavoro, possiamo scrivere pdv. Il nostro sistema in realtà è adiabatico, e quindi per ipotesi possiamo dire che il ∂Q è uguale a zero.
Ora ci ricordiamo della definizione di h, definita come u + p v, dove v è il volume specifico. Allora il differenziale di h sarà uguale a du + pdv + vdp, poi sostituiamo l’espressione indicata con la freccia nella parte sinistra dell’equazione.
Possiamo integrare questo differenziale tra l’ingresso e l’uscita, seguendo la nostra particella. Il lavoro però è pari a m punto per h d’ingresso meno h d’uscita. E quindi si può capire che il lavoro tecnico utile è uguale alla differenza di entalpia tra l’ingresso e l’uscita. Si usa un’espressione del 1° Principio della Termodinamica per sistemi chiusi per valutare la variazione di entalpia in un sistema aperto.
Il lavoro dipende dal percorso, quindi quell’integrale non è che può essere fatto su qualsiasi percorso, dove ho una certa variazione di v e p che mi sembra sensata. Magari potrei usare la legge dei gas perfetti per rendere quell’integrale magari dipendente da una sola variabile, magari con ipotesi di flusso a temperatura costante. Bisognerebbe scegliere esattamente la trasformazione fisica perché quell’integrale abbia un risultato che abbia senso. Se voglio calcolare questo lavoro tecnico utile per scopi tecnici va bene, però quell’integrale non è facile da calcolare, tuttavia abbiamo trovato un’espressione.
Quando abbiamo discusso della turbina, abbiamo fatto l’ipotesi di variazione di energia cinetica tra l’ingresso e l’uscita del fluido della turbina sia trascurabile, così come quella potenziale e che il sistema sia adiabatico, nel senso che non scambia calore.
Che cos’è un gas perfetto o ideale?
Perché si chiama legge dei gas ideali?
Nei primi anni dell’800 ci sono stati diversi fisici del nord Europa, ad esempio van der Waals (olandese), che si sono occupati di studiare la trasformazione dei gas. Quello che hanno scoperto è che tutti i gas si comportano in modo diverso, però a basse pressioni e con piccoli valori della densità del gas che si sta studiando, quello che succede è che quei gas cominciano ad avere tutti un comportamento molto simile. La legge più generale di tutti, la legge dei gas perfetti, è stata scoperta per passi. Prima di tutto hanno studiato che cosa fanno i gas nelle trasformazioni isoterme, poi nelle trasformazioni a volume costante e poi alla fine hanno dato luogo a questa legge. Hanno iniziato a studiare il comportamento dei gas, hanno visto che i gas in condizione di rarefazione (bassa pressione) o quando ci sono poche molecole di gas a occupare l’ambiente dove si fanno gli esprimenti, si iniziano a comportare tutti nello stesso modo e alla fine si definisce il gas perfetto o ideale, come il gas che si comporta sempre nelle condizioni dei gas reali in condizione di rarefazione. Quindi si prende il comportamento ideale più generale dei gas (rarefazione) e lo si estende a tutte le condizioni, però quando lo si estende bisogna essere consapevoli che non c’è un gas reale che si comporti così e quindi si chiama legge dei gas ideali.
La legge degli stati corrispondenti è una teoria che fa capire entro che limiti e con che tipo di errori si possono utilizzare le leggi dei gas perfetti.
Che cosa si può scrivere per un gas reale?
Che cos’è il fattore di compressibilità?
Si può scrivere che per un gas reale il limite per la pressione che tende a zero della pressione per il volume molare, diviso una costante universale dei gas ℛ e diviso la temperatura espressa in gradi Kelvin, è uguale a 1. Questa quantità si chiama fattore di compressibilità. Questo segno di limite non va inteso come qualcosa di matematico. Qui si dice che se io proseguo con degli esprimenti a livelli di rarefazione sempre maggiore, quella quantità assumerà valori sempre, in modo monotono, vicini a 1.
Come sono definiti i gas ideali?
Quali sono le unità di misura nella legge dei gas ideali?
Per un gas ideale il prodotto della pressione di questo gas per il volume molare, diviso una certa costante e la temperatura espressa in gradi Kelvin, è uguale a 1. I gas ideali vengono definiti come i gas dove il fattore di compressibilità è esattamente uguale a 1 a qualsiasi valore del campo di pressione.
La nostra termodinamica è una termodinamica di equilibrio, perché queste equazioni vengono scritte come se la pressione di un gas fosse possibile rappresentarla con un solo numero. La realtà dei sistemi reali (che non sono in equilibrio) in cui la temperatura varia parecchio, e quindi anche tutto il resto cambia. Quelle espressioni sono scritte per gas in equilibrio. Immaginiamo questo gas chiuso in un contenitore con la stessa temperatura da un sacco di tempo, a temperatura uniforme.
Ora introduciamo le varie grandezze. La p è la pressione espressa in Pascal, la v con il cappellino è un volume specifico, ma non è un volume specifico della massa. E’ un volume specifico del numero di moli, quindi è il volume di una mole di gas. Una mole di gas è definita come una quantità di gas che contiene quel numero di Avogadro di molecole. Il numero di Avogadro è 6 • 10²³.
Poi c’è la temperatura in gradi Kelvin. ℛ è la costante universale dei gas. pv si esprime in Joule. Quindi pv molare sarà in J/mol, la temperatura si esprime in Kelvin, quindi ℛ si esprimerà in J/(mol • K). Questa costante universale vale 8.31 J/(mol• K).
Come si fa ad esprimere la legge dei gas ideali attraverso il volume specifico?
Come si calcola la Ra dell’aria?
Si può esprimere la stessa legge attraverso il volume specifico, anziché il volume molare. Questo avviene attraverso una quantità che si chiama massa molare, che è la massa di una mole di una sostanza. Questa massa molare viene espressa in g/mol. La massa molare delle sostanze è una quantità costante, che non dipende dalla condizione della sostanza e per alcuni gas, ad esempio l’aria, vale circa 30 g/mol. Quindi 1 mole di aria pesa 30 g. E quindi uno può prendere la legge di prima e scriverla in un altro modo. ℛ va diviso per M, che sarebbe la massa molare in kg/mol. A questo punto, visto che la massa molare dipende dal gas, il rapporto ℛ/M dà una nuova costante dei gas che si scrive in stampatello, R, che è tipica dei gas, quindi non è più universale, perché è derivata da una quantità universale, diviso la massa molare che invece vale per il gas specifico.
Se ad esempio calcolo la Ra (dell’aria), dobbiamo prendere ℛ dell’aria (8.31) e dopo dobbiamo dividere per la massa molare dell’aria (28.96), però dobbiamo fare attenzione che questi sono grammi su mole e per ottenere una quantità espressa più correttamente, dobbiamo moltiplicare il tutto per 1000 e quindi questa operazione fornisce la costante dell’aria che è 287 J/(kg • K).
Se vogliamo trovare le costanti degli altri gas, dobbiamo conoscere la massa molare.
L’idea fisica secondo cui questa legge si applica ai gas rarefatti, ma non a gas reali quando sono in presenza abbondante nel nostro sistema, deriva dal fatto che questa legge varrebbe se le particelle dei gas non interagissero tra di loro e non occupassero, in quanto materia, il volume totale a disposizione del gas.
Perché la legge dei gas perfetti si applica solo ai gas rarefatti?
Come si scrive l’equazione di van del Waals dei gas reali?
Che cos’è il covolume?
Van der Waals ha scritto un’equazione dei gas reali che approssima in modo migliore rispetto a quella dei gas reali il comportamento dei gas reali. Devo aggiungere un termine alla pressione che tiene conto dell’interazione tra le molecole e aggiunge una costante diviso il volume molare al quadrato, poi devo togliere una quota del volume, perché una quota è occupata dalle molecole e chiamo questa quota covolume, b.
Da questa equazione si riesce a capire la legge degli stati corrispondenti, in particolare si riesce a determinare una forma non dimensionale della pressione e della temperatura, che chiameremo pressione ridotta e temperatura ridotta, e attraverso l’espressione delle proprietà del gas, vedremo che tutti i gas tenderanno a comportarsi nello stesso modo. Quindi andremo non a conoscere un’espressione generale del comportamento dei gas, però troveremo una forma non dimensionale della pressione e della temperatura attraverso cui tutti i gas avranno lo stesso comportamento.
L’equazione che c’è scritta è una correzione per il caso dei gas reali, che è stata scritta da van der Waals. L’idea che c’è dietro a questa espressione per i gas reali è che il punto di vista teorico per cui la legge dei gas perfetti vale per i gas perfetti è che le stesse molecole non occupino spazio, allora la correzione sul volume tiene conto del fatto che c’è una piccola parte del volume complessivo che viene occupata dalle particelle del gas (covolume, v) e il fatto che occupi lo stesso spazio di molecole dentro al gas, contribuisce ad aumentare la pressione con un termine che è proporzionale all’inverso del volume molare al quadrato.
Com’è il grafico p-v dell’acqua?
Che cos’è la campana di Andrews?
Che cos’è il punto critico?
Che cosa succede se applichiamo l’equazione di Van der Waals sull’isoterma critica?
Se andassimo a vedere come si comporta l’acqua, che può essere osservata e studiata in diversi stati di aggregazione; esiste l’acqua in stato solido, in fase liquida e in fase vapore. L’acqua in fase vapore ad elevato grado di rarefazione si comporta come un gas perfetto. Prendiamo l'esempio dell’acqua e osserviamo che il suo grafico in un piano pv presenta una campana, che si chiama campana di Andrews. La campana suddivide le regioni dove c’è solo liquido, dove c’è solo solido, dove c’è compresenza di liquido e vapore e dove c’è vapore e dove c’è gas. In particolare, esiste una linea importante che si chiama isoterma critica e il punto individuato si chiama punto critico (c).
Quell’isoterma è una linea a temperatura costante e ci dice che, al di sopra di quella temperatura, il vapore comincia a compattarsi e quindi le isoterme successive hanno l’aspetto delle curve che abbiamo disegnato. Nel punto critico, l’isoterma ha delle caratteristiche matematiche ben precise; e la prima caratteristica matematica è che la sua derivata prima è nulla. Infatti c’è una zona a pressione costante, mentre il volume varia, in corrispondenza del punto c. Inoltre il tratto a sinistra della curva ha una derivata seconda di tipo positivo, il tratto a destra della curva ha una derivata seconda di tipo negativo e quindi quel punto corrisponde ad un punto di flesso.
La derivata seconda è positiva, quindi in effetti scrivere un’equazione che sia valida per un gas, tipo quella che abbiamo scritto prima di van der Waals in quell’isoterma critica, in corrispondenza della temperatura critica, ci permette di avere due equazioni aggiuntive. Se vediamo l’espressione dell’equazione di van der Waals, ci sono due quantità a e b che non sono determinate. L’applicazione di questa equazione esattamente su quell’isoterma ci permette di avere due equazioni aggiuntive e di poter definire queste due quantità di valore incognito. Attraverso questa osservazione, si arriva all’equazione che c’è scritto di seguito.
Che cosa dice la legge degli stati corrispondenti?
Che cos’è la pressione ridotta?
E la temperatura ridotta?
Che cosa stabilisce il parametro Z? Da che cosa dipende?
Quando due gas si dicono corrispondenti?
Quando si può utilizzare la legge dei gas perfetti?
Dove vale la legge dei gas perfetti in un diagramma p-v?
Z è il fattore di compressibilità, che vale 1 per un gas che si comporta esattamente come un gas perfetto. In questa equazione che deriva dall’applicazione dell’equazione di van der Waals sull’isoterma critica, Z compare come primo termine, al denominatore del secondo termine e al denominatore del quarto termine. E poi c’è la pressione ridotta e la temperatura ridotta.
La pressione ridotta, pR è definita come la pressione del gas, diviso la pressione critica dello stesso gas.
La temperatura ridotta, TR è definita come la temperatura in K del gas, diviso la temperatura critica del gas.
Allora si osserva che Z, che sarebbe il fattore di compressibilità, che è un parametro che stabilisce come si comporta un gas, dipende esclusivamente da queste due quantità. Se van der Waals fosse stato corretto nell’universalità delle costanti, a e b, potremmo ricavare che Z, cioè il comportamento di un gas reale, dipende esclusivamente dalla pressione ridotta e dalla temperatura ridotta. Noi possiamo perdere quanto tempo vogliamo a esprimere il comportamento del gas con la pressione e con la temperatura, ma la cosa più intelligente sarebbe guardarli con la pressione ridotta e la temperatura ridotta, che sarebbe una pressione resa non dimensionale con la temperatura critica.
Andiamo a vedere un grafico. Abbiamo il fattore di compressibilità (asse verticale), in funzione della pressione ridotta. La pressione ridotta è fissa e la temperatura ridotta è caratterizzata da diversi valori. Vediamo gli esperimenti fatti da van der Waals; tutti questi gas si comportano nello stesso modo.
La prima cosa che si riesce ad imparare con la legge degli stati corrispondenti, cioè che tutti i gas si comportano nello stesso modo e anziché parlare di pressione e temperatura, si parla di pressione ridotta e di temperatura ridotta. Quindi due gas che hanno coordinate termodinamiche in forma ridotta uguali, sono corrispondenti.
Possiamo capire quando è valida l’equazione dei gas perfetti, cioè quando Z è uguale a 1 e allora tutti i gas per una pressione ridotta minore di 0.2 o di 0.3, hanno Z che è quasi 1, cioè tra 0.9 e 1, quindi dovremmo tenere la pressione più bassa di 0.3 volte la pressione critica. Per fortuna, la pressione critica, per esempio per l’acqua o per il gas ottenuto dal vapore d’acqua, è molto alta, cioè 22 MPa.
E quindi se abbiamo pressioni molto più piccole della pressione critica, Z tende a 1 per tutti i gas e in effetti i gas si comportano come gas perfetti. In alto c’è un’altra possibilità che è quella di lavorare a temperatura ridotta vicino a 2 o maggiore. Siamo molto vicini a Z = 1.
Questa teoria la possiamo usare come un’indicazione chiara su quando si può utilizzare la legge dei gas perfetti con una certa sicurezza. Qui ci dice o una temperatura molto elevata, (temperatura maggiore di 2 volte la temperatura critica), oppure una pressione molto bassa (0.3 o 0.1 volte la pressione critica).
Prendiamo il grafico di prima (quello disegnato negli appunti). Per l’acqua abbiamo la pressione critica indicata dalla linea orizzontale in celeste. Ammesso che l’andamento di questo grafico sia lineare, se vado ad una pressione ridotta minore di 0.1, dovrei scegliere un decimo di questo spessore e sembra che nei gas che stanno sotto la linea orizzontale più bassa e nella parte destra del diagramma, lì posso pensare che la pressione sia più piccola di una frazione della pressione critica e allora avrò un comportamento simile a quello del gas ideale. E poi posso giocare con le isoterme; abbiamo l’isoterma critica, questa sarà un’isoterma che è pari ad una temperatura che è uguale a due volte l’isoterma critica, che per l’acqua sono 647 K. E’ fondamentale fare i conti con la scala di temperatura giusta.
Se facciamo la trasformazione in gradi centigradi e poi facciamo il doppio, viene un’altra quantità.
La legge dei gas perfetti varrebbe sotto e in alto a destra (evidenziata dal celeste).
Come si fa l’esperimento dell’espansione libera di un gas?
Che cosa ottengo se applico il 1° Principio della termodinamica tra lo stato iniziale e lo stato finale (risultato teorico)?
Qual’è il risultato sperimentale che si osserva con il termometro?
Di che cosa può essere funzione l’energia interna?
Da che cosa dipende l’energia interna?
Che cos’è l’energia interna?
Il gas perfetto deriva da un esperimento che è stato fatto da Joule e che si chiama espansione libera di Joule o espansione libera di un gas. Joule ha pensato di fare un esperimento in un contenitore cilindrico (la forma del contenitore non conta) che inizialmente è suddiviso in due parti da un setto, cioè una parete divisoria. In una delle due parti abbiamo un po’ di gas all’istante iniziale.
I puntini stanno ad indicare che lì ci sono delle particelle di gas. Mentre dall’altra parte c’è il vuoto, inoltre questo contenitore è adiabatico, cioè è fatto da pareti che non scambiano calore con l’esterno. Inoltre, nel contenitore, per fare l’esperimento si introduce un termometro.
L’esperimento prevede di rompere o di togliere improvvisamente il divisorio, in modo che il gas occupi tutto lo spazio libero.
Possiamo applicare il 1° Principio della Termodinamica tra lo stato iniziale e lo stato finale, che dice che la variazione di energia interna del gas sarà pari ad una somma algebrica del calore e del lavoro scambiato nel processo. Siccome le pareti sono di tipo adiabatico, il calore scambiato sarà nullo.
Le pareti di tipo adiabatico si tracciano con un tratteggio. Dall’altra parte abbiamo calcolato il lavoro di espansione di un gas e abbiamo osservato che il valore di espansione di un gas è legato alla pressione che vige dove si sta espandendo, però abbiamo anche capito che la pressione ha le origini nelle collisioni tra le molecole e le collisioni delle molecole con le pareti. A sinistra c’è il vuoto e quindi non ci sono molecole. Quando apriamo la porta, quando si distrugge la parete, il gas non compie lavoro; si chiama espansione libera, è un’espansione tipica che avviene senza scambio di lavoro. Allora il 1° Principio della Termodinamica dice che la variazione di energia interna è nulla. L’energia interna dello stato iniziale è uguale all’energia interna dello stato finale.
Con il termometro, Joule aveva misurato che questo fenomeno, soprattutto con gas rarefatti nella zona destra, questo fenomeno avviene a temperatura costante. Quindi abbiamo un risultato di tipo teorico, che dice che applico il 1° Principio e osservo che ΔU = 0 e questo deriva dal 1° Principio della Termodinamica, d’altra parte, osservo che la differenza di temperatura è circa zero, soprattutto per gas rarefatti e questo è un risultato sperimentale.
La regola delle fasi di Gibbs ci dice che il numero di componenti è 1, il numero delle fasi è 1, + 2, che significa che abbiamo 2 parametri liberi, che possiamo scegliere liberamente tra pressione, temperatura e volume.
L’energia interna potrebbe essere una funzione della pressione e della temperatura, potremmo anche scegliere che l’energia interna sia una funzione del volume e della temperatura. Ho scritto le quantità non specifiche, che si esprimono in Joule, però la stessa cosa potrebbe essere fatta con quantità specifiche. La matematica ci dice che per una funzione continua quelle derivate di questo tipo, possiamo scrivere il differenziale dU, che potrebbe essere scritto con la derivata fatta a temperatura costante, + la seconda derivata a pressione costante. Con la seconda possibilità che ci fornisce lo stesso Gibbs, possiamo scrivere la derivata a temperatura costante, + la derivata a volume costante.
Di queste equazioni di sicuro sappiamo che entrambe valgono zero, perché abbiamo osservato che in questo fenomeno la variazione di energia interna vale zero. Quindi per ogni tratto si suppone uguale a zero. D’altra parte, i riferimenti ci dicono che anche la variazione di temperatura è nulla. Il contributo del secondo termine al differenziale è nullo.
Se un gas si espande, avrà un volume maggiore, se un gas si espande, la pressione diminuirà. Quindi ∂p e ∂V sono diversi da zero. Essendo diversi da zero, possiamo dedurre con dei semplici ragionamenti che le due derivate sono uguali a zero.
Ci sono 3 parametri liberi, posso sceglierli tra pressione, volume o temperatura, però queste due equazioni ci dicono che la U non può dipendere dalla pressione, non può dipendere dal volume; dipenderà dalla temperatura. Secondo gli esperimenti di Joule questa cosa è tanto più vera, quanto più rarefatto è il gas. I gas rarefatti, hanno la caratteristica, nel caso dell’espansione libera, di evolversi in un modo per cui l’energia interna dipende esclusivamente dalla temperatura. Questa stessa osservazione può essere estesa a tutte le trasformazioni, per il semplice motivo che l’energia interna è una funzione di stato e quello che abbiamo scoperto per una particolare trasformazione deve essere vero in generale. Il valore dell’energia interna non può valere per il percorso e quindi potrò sempre sostituire la vera trasformazione, in un verso o nell’altro, con un’espansione libera. Quello che risulta dall’esperimento di Joule è che per un gas perfetto in modo generale U è una funzione esclusiva della temperatura e la stessa cosa vale per la quantità specifica.
E’ abbastanza naturale pensare che questa proprietà si possa estendere in modo analogo alla definizione di un gas perfetto. Il risultato della teoria viene aggiunto alla definizione di gas perfetto. Nel senso che il gas perfetto non ha solo la caratteristica di avere il coefficiente di compressibilità pari a 1, ma ha anche la proprietà di avere l’energia interna che dipende esclusivamente dalla temperatura. In questa espressione c’è un piccolo contributo matematico e anche uno di ragionamento.
Che cosa vale per un gas perfetto?
Che ipotesi facciamo?
Quanto vale la differenza cp - cv per un gas perfetto?
Quanto vale il rapporto cp/cv per l’aria?
Abbiamo definito il calore specifico a pressione costante, cp come la derivata dell’entalpia specifica nella temperatura, quando questa derivata viene fatta a pressione costante e abbiamo definito il cv come la derivata dell’energia interna nella temperatura a volume specifico costante.
La prima cosa che abbiamo appena osservato è che u per un gas perfetto è funzione solo della temperatura. Invece h l’abbiamo definita come energia interna + il prodotto p v. Per un gas perfetto però, p v è uguale al prodotto della costatante dei gas, o di quel gas specifico, per la temperatura. Allora anche p v dipende dalla temperatura, così come h. Per un gas perfetto, non solo l’energia interna è funzione della temperatura, ma anche l’entalpia. Allora per un gas perfetto, anziché scrivere cp e cv in quel modo come abbiamo scritto con le derivate parziali, abbiamo dei differenziali esatti, e quindi si può integrare per calcolare una variazione di entalpia e una variazione di energia interna. Le energie in generale sono definite tutte a meno di una costante, un valore di riferimento. Allora possiamo pensare che la temperatura di 0 K, l’energia interna u sia pari a zero, così come l’entalpia.
Osserviamo che le derivate che erano le derivate parziali qui diventano delle derivate totali, quindi si possono integrare attraverso la separazione delle variabili. L’energia è definita a meno di una costante; possiamo scegliere un’energia di riferimento, l’energia alla temperatura assoluta pari a zero, u = 0 e possiamo definirla u di riferimento. Nell’ambito dei gas perfetti, essendo che l’entalpia è definita come u + p v, ed essendo che p v alla temperatura assoluta è uguale a zero, si può dedurre che anche allo stesso valore di riferimento, sarà nulla. Quindi queste equazioni si semplificano molto.
A questo punto cv e cp, p, h e v non sono più alla temperatura assoluta zero. Possiamo sottrarre queste due equazioni, poi dividiamo a sinistra e a destra per la temperatura assoluta, perché nelle condizioni fisiche la temperatura assoluta è sempre maggiore di zero, otteniamo che questa differenza è uguale ad R, dove R sarebbe non la costante universale, ma quella specifica dei gas.
In tutta questa dimostrazione, abbiamo fatto un’ipotesi che tipicamente non viene inclusa nelle ipotesi del gas perfetto, per cui cv e cp non variano con la temperatura.
Quindi un’ipotesi che abbiamo fatto è che cp non è una funzione della temperatura, così come cv. Ci sono diverse conseguenze che derivano da questa espressione; la prima è che siccome sappiamo che R è un valore positivo, da qui possiamo dedurre che vale sempre che il calore specifico a pressione costante è maggiore del calore specifico a volume costante. cp per un gas perfetto è maggiore di cv.
Vedremo più avanti che si possono definire delle trasformazioni isoentropiche, che sono caratterizzate dalla legge di stato che vuole che la pressione per il volume elevato ad un certo esponente k sia costante, dove k è il rapporto di cp su cv. E quindi questa espressione ci dice che questo esponente sarà sempre maggiore di 1.
Per i gas biatomici, cp/cv è 1.4 cioè 7/5.
L’aria, essendo soprattutto formata da azoto e da ossigeno, perché sono entrambi gas biatomici, hanno un rapporto cp/cv molto vicino a 1.4. Adesso mettiamo in sistema due equazioni, dove R dell’aria è 287. Qui abbiamo due equazioni in due incognite e possiamo direttamente ricavare il valore di cv e cp per l’aria.
Osserveremo delle tabelle che descrivono gli effettivi valori di cp e cv per l’aria e come questi valgono per la temperatura e troveremo che per temperature prossime a temperatura ambiente, questi valori di cp e cv sono molto simili a quelli dell’aria, ma l’errore è dovuto all’approssimazione del gas perfetto, perché l’aria non è un gas perfetto. Entrambe le ipotesi sono state utilizzate; l’ipotesi dell’aria per la caratteristica biatomica e per il valore della costante specifica dei gas e l’ipotesi di gas perfetto per l’espressione di cp - cv.
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