Che cos’è l’analisi dimensionale?
Che cosa si fa tramite questo tipo di approccio?
È un tipico approccio in fisica che è molto conveniente, perché permette di capire dal punto di vista globale alcuni fenomeni. Ha diverse declinazioni, non esiste solo un tipo di approccio, ma esistono diversi approcci.
Se proviamo a pensare ad un tipico esperimento che si può fare in fluidodinamica, cioè l’esperimento di un flusso di un fluido dentro ad un tubo. Uno guarda questo esperimento e potrebbe pensare a quali sono i parametri liberi. Prima di tutto semplifichiamo il fenomeno e diciamo che la parete del tubo è liscia.
Il diametro del tubo è un parametro libero, rimane la velocità media o la differenza di pressione all’estremità del tubo e poi rimane almeno la viscosità cinematica. Di questi se uno volesse fare degli esprimenti, potrebbe pensare di variarli di almeno 10 passi per ciascuno, 10 diametri, quindi partiamo da 5 cm fino a 15 cm. Per fare questo studio che comunque è limitato, mi servono 1000 esperimenti.
L’analisi dimensionale riconosce la similitudine, cioè che si possono trovare gli stessi fenomeni in tubi percorsi da fluidi diversi o in tubi di dimensioni diverse con tubi con differenze di pressione ai capi del stesso tubo diverse, ammesso che si possa stabilire una similitudine tra questi due fenomeni. Esiste un numero adimensionale per il flusso dentro un tubo, che si chiama numero di Reynolds e che è l’unico parametro dimensionale di quel caso, che significa che per estendere i risultati di un esperimento ad altri casi, è sufficiente che il numero di Reynolds che misuro, sia uguale e a quel punto se posso davvero fare 1000 esperimenti, farà 1000 esperimenti a 1000 numeri di Reynolds diversi e questi popoleranno una regione di studio molto più ampia rispetto a quella che facevo prima. Uno degli aspetti dell’analisi dimensionale ci fa capire se noi individuiamo dei numeri non dimensionali che rappresentano in modo globale gli esperimenti, che vogliamo studiare, questo ci può permettere di studiare gli sforzi di studio.
Un’altra cosa che si può fare con l’analisi dimensionale è di cercare di ottenere delle leggi fisiche quando non si riescono a capire bene le leggi che governano quel fenomeno. Quindi attraverso una serie di esperimenti e i metodi dell’analisi dimensionale, si possono immaginare delle leggi che vigono per certi fenomeni fisici.
Per esempio il flusso dentro un tubo, in regime laminare si sa tutto, addirittura esiste la sua versione analitica. In regime turbolento non si sa niente, nel senso che non esistono delle soluzioni analitiche delle equazioni che lo governano e una delle poche cosa che si può fare a parte gli esperimenti e le simulazioni sempre più dettagliate, è di provare ad immaginare l’andamento dei profili medi di velocità attraverso l’analisi dimensionale. La legge logaritmica di parete deriva da questo tipo di approccio.
Uno dei teoremi più importanti dell’analisi dimensionale si chiama Teorema di Buckingham.
Che cosa dice il teorema di Buckingham (o Teorema π)?
Questo teorema è un’applicazione del teorema di Rouché-Capelli, che parla del numero di soluzioni di un problema di tipo lineare. Ci sono un certo numero di soluzioni che dipendono dal numero di equazioni e dal numero delle incognite e che per il caso omogeneo esiste anche la soluzione d’onda con un’infinità con una dimensione in più.
Immaginiamo di studiare un fenomeno e di essere in grado di individuare m quantità Qj con j che va da 1 ad m, che influenzano il fenomeno. Abbiamo fatto prima l’esempio del tubo; per il tubo esiste o la velocità media o la differenza di pressione ai capi del tubo, il diametro, la viscosità come caratteristica terrifica e quindi troveremmo 3 grandezze. Per il nostro caso immaginiamo di avere m quantità, che verranno espresse con alcune unità di misura, quindi la differenza di pressione in Pa, il diametro in m, la viscosità in m²/s oppure in Pa/s. Di queste scelgo esclusivamente le unità di misura di tipo indipendente, cioè non posso prendere da un lato il m e dall’altro il m², oppure non posso pensare a tre unità di misura indipendenti come il N, il m e il Pa, perché il Pa si forma con il N/m². Non è importante solo scegliere unità di misura di tipo fondamentale nel SI, tipo la massa, il tempo e lo spazio, in altri è la forza.
Dobbiamo prendere unità di misura di tipo indipendente e diciamo che abbiamo n di queste unità di misura di tipo indipendente (indipendenti tra di loro). Se noi vogliamo scrivere un numero non dimensionale, utilizzando le quantità Qj, però non significa che ne vogliamo scrivere uno, ma che il generico numero non dimensionale che si può scrivere utilizzando quelle quantità Qj, sarà scritto come N, il prodotto che va da j = 1 fino ad m, di Qj elevato alla sj. Questo sarà il nostro numero adimensionale.
Quando dobbiamo affrontare un problema fisico, possiamo identificare un numero di quantità dimensionali che influenzano il fenomeno. Come si fa a definirle? Con degli esperimenti, ad esempio il flusso nel tubo, accendo la luce o spengo la luce, non cambia niente. Se cambia il diametro nel tubo, le cose cambiano.
Quindi si determinano le quantità che alla fine verranno espresse nel nostro sistema di unità di misura con alcune unità di misura. Bisogna scegliere nella collezione di queste quantità, un certo numero di unità di misura indipendenti che riescono a descriverle interamente. Non è necessario scegliere delle unità di misura di tipo fondamentale nel sistema internazionale, si possono scegliere anche unità di misura di tipo composto, tipo il Pa, l’importante è che siano indipendenti tra di loro.
Avremo un certo numero m di quantità che influenzano il fenomeno; tutte queste quantità possono essere rappresentate da n grandezze o da n unità di misura che sono indipendenti tra di loro. A questo punto si può scrivere una serie di numeri non dimensionali, combinando quelle quantità. I numeri adimensionali che si possono scrivere, si possono calcolare in anticipo, in particolare il generico numero non dimensionale sarà un prodotto delle quantità elevate ad un certo esponente s.
Per il caso del tubo liscio, si scopre che il flusso dentro al tubo viene influenzato dalla velocità media nel tubo o dalla differenza di pressione alle sue estremità; il fenomeno dipende anche dal diametro del tubo e dalla viscosità cinematica. In questo caso m = 3, cioè le quantità che influenzano il fenomeno, n è il numero di unità di misura indipendenti che descrivono completamente le tre quantità e n = 2, perché identifichiamo subito come fondamentali i m/s, ma si potrebbe scegliere anche come unità di misura quella della viscosità e della velocità.
Questo è l’esempio di quello che dicevamo prima; in generale, un numero adimensionale N si potrebbe scrivere come prodotto della velocità media per il diametro per la viscosità, elevato alla potenza di s₁, s₂ e s₃. Questi non sono dei parametri liberi, ma sono dei parametri che hanno un certo grado di libertà e non sono liberi perché devono essere scelti in modo che n sia non dimensionale.
Torniamo al caso generale. Si può scrivere, per imporre che n sia non dimensionale, si può scrivere un sistema con un certo numero di equazioni con un certo numero di incognite, che renda n non dimensionale. Quante equazioni possiamo scrivere? Possiamo scrivere un numero di equazioni pari alle unità di misura indipendenti che sono contenute nelle quantità Qj. Quello è il numero di equazioni perché io voglio, equazione per equazione, eliminare o annullare quella unità di misura dal valore di N. Quindi possiamo scrivere n equazioni e le incognite sono gli esponenti sj di ciascuna di quelle quantità. Ad esempio, la prima equazione serve per annullare la prima delle unità di misura indipendenti. Abbiamo un sistema lineare di n equazioni in m incognite e di tipo omogeneo, cioè la parte destra è uguale a zero.
Questo sistema lineare, ammesso che abbia rango n, nel senso che prima di tutto n deve essere minore e uguale di m. Ammesso che abbia rango n, cioè effettivamente quelle unità di misura sono indipendenti, perché se fossero dipendenti avrei trovato rango n - 1. Quante soluzioni ha? Non ha un certo numero di soluzioni, ha uno spazio di soluzioni che è pari a m - n + 1, perché è omogenea. Quindi il numero di soluzioni è infinito alla m - n + 1. Il +1 deriva dalla caratteristica omogenea del sistema; la soluzione identicamente nulla dove tutti gli s sono zero è buona, ma a noi non ci importa, perché genereremo un numero non dimensionale. Quindi abbiamo m - n numeri adimensionali buoni. m - n infinità di numeri adimensionali, nel senso che ogni volta che identifico come numero adimensionale una certa quantità, per esempio il numero di Reynolds scritto in questa espressione, posso anche prendere Re al quadrato e dire che questo è un altro numero adimensionale.
Allora ci sono m - n + 1 infinità di soluzioni. Il +1 lo tolgo, m - n lo teniamo, ma di quelle scegliamo un numero adimensionale. Quindi non importa se ad esempio scegliamo Re alla dodicesima potenza, importa che quello varrà 1 come quantità importante dal punto di vista fisico.
Questo teorema dice che se io osservo un fenomeno fisico e riesco ad individuare m quantità che influenzano il mio fenomeno fisico, poi queste m quantità si possono descrivere con n unità di misura indipendenti, allora sono sicura che posso, per quel sistema, individuare e definire m - n numeri adimensionali che me lo descrivono secondo lo studio dell’approccio dell’analisi dimensionale. Quindi questo è il teorema di Buckingham.
Tornando all’esempio di prima, noi abbiamo individuato 3 quantità, velocità, diametro e viscosità, abbiamo 2 unità di misura indipendenti m/s e quindi allora basta solo un numero adimensionale che mi descrive tutto il fenomeno. Se dovessi fare una campagna di esperimenti sufficientemente accurata, variando queste 3 quantità semplicemente variando in 10 valori diverso il diametro, la velocità e la viscosità, mi troverei a fare 1000 esperimenti e indagherei una regione minuscola delle cose che devo conoscere.
Invece con questo teorema basta variare un parametro e applicare la teoria della similitudine, quindi tutti i tubi lisci a numero di Reynolds uguale, si comporteranno allo stesso modo e il teorema di Buckingham dice quanti di questi parametri non dimensionali posso determinare per applicare la teoria della similitudine. Sono necessari molti meno esperimenti rispetto ai 1000 iniziali.
Quindi scriveremo un’equazione per i metri, che sarà s₁ 1 perché i metri compaiono alla prima potenza nella velocità + s₂ 1 perché i metri compaiono alla prima potenza nel diametro + s₃ 2 = 0.
Facciamo l’equazione per i secondi. Risolvendo, si troverà un’infinità di soluzioni, possiamo fissare s₁ = 1 e si otterrà che si trova che s₃ deve essere pari a -1 e così si risolve anche s₂ = 1.
Nella prima equazione abbiamo imposto che il numero adimensionale che stiamo cercando sia neutro rispetto ai metri, nella seconda equazione abbiamo imposto che non abbia le dimensioni dei secondi. Visto che sono le uniche due dimensioni che descrivono le m quantità, da lì si può dedurre che quel numero sarà non dimensionale e da l’ si deduce che il numero non dimensionale è il numero di Reynolds o una sua potenza. Questo è un esempio di applicazione di questo teorema.
È un teorema base, poi più avanti quando studieremo il diagramma di Moody, quindi applicheremo il teorema di bilancio dell’energia meccanica ai casi pratici.
In che cosa si divide la meccanica dei fluidi?
Che caratteristica ha un fluido?
La meccanica dei fluidi si divide in due discipline, una si chiama statica dei fluidi e l’altra è la dinamica dei fluidi:
La statica dei fluidi parla delle forze che si misurano e che si osservano nei fluidi, quando i fluidi sono fermi.
La dinamica dei fluidi parla delle forze che si osservano nei fluidi e che i fluidi scambiano con i contorni solidi, quando i fluidi sono in movimento.
Liquidi e aeriformi sono fluidi; il fluido ha una cosa caratteristica, cioè se si osservano i fluidi fermi, allora deve essere vero che gli sforzi di tipo tangenziale su di loro sono nulli.
Un fluido è un materiale tale che, quando è in condizioni statiche, significa che gli sforzi di tipo tangenziale applicati sono nulli; appena si applica uno sforzo tangenziale su un fluido, questo comincia a muoversi, il che non è vero per i solidi.
Che cos’è la densità?
Che cosa significa fare l’ipotesi del continuo?
Parliamo dell’aria. Che cos’è la densità? È il rapporto tra la massa e il volume di una sostanza, anche se una sostanza non ha di per sé una massa e un volume; devo prima scegliere un campione di questa sostanza, attribuirgli una massa e un volume e poi fare il rapporto e dire che quella è la densità.
Immaginiamo di avere a che fare con l’aria. Ci sono delle molecole che si muovono con moto browniano, che è descritto come casuale, il moto per cui queste molecole si muovono, hanno delle collisioni tra di loro, oppure se l’aria di una stanza, essendo delimitata da pareti solide, ha anche delle collisioni con pareti solide. Quando si parla di pressione, si dice che la pressione è il risultato delle collisioni del moto browniano delle molecole.
Proviamo ad applicare la definizione di densità. La densità è il rapporto tra la massa e il volume di un campione di una sostanza. A questo punto ci viene il dubbio di sapere quanto grande deve essere il campione. Non può essere grande delle stesse dimensioni del cammino libero delle molecole, che è la distanza che statisticamente una di queste molecole riesce a percorrere prima di andare verso un’altra collisione, è una lunghezza di riferimento che descrive il fenomeno del moto browniano. Questo campione su cui calcolare la densità non potrà essere dello stesso ordine di grandezza del cammino libero, perché se la prendo così piccola, immagino di prendo una sfera di una decina di nanometri e dico che lì calcolo la densità. Se la calcolo in un certo istante di tempo, per motivi statistici, trovo 12 molecole e 3 secondi dopo ne trovo 0, perché sono nelle stesse dimensioni del cammino libero delle molecole. Questo tipo di definizione ha bisogno di altro.
Non può essere neppure che io scelga un volume o un campione d’aria troppo grande. Ad esempio, se considerassi un corridoio, ci sono delle zone attraversate dal sole e delle zone in ombra. Potrei definire una densità, perché non avrei il problema degli effetti microscopici ma potrebbero entrare in gioco degli effetti macroscopici. Cioè se prendessi un grosso volume, avremo un risultato di densità, ma questa risulterebbe la media dei valori dove l’aria è più fredda, lontana dal sole e dove l’aria è più calda. Quando si definisce la densità, bisogna definire delle dimensioni di questo campione, che non siano né eccessivamente piccole, così piccole da avere dei fenomeni microscopici che vanno ad influenzare questa misura. Quindi dobbiamo avere ordini di grandezza più grandi del cammino libero, ma non posso scegliere un volume così grande da includere dei fenomeni macroscopici che non vorrei nel mio fenomeno.
La densità è il rapporto tra la massa di un certo campione del fluido che sto analizzando e il volume, scelto in modo da essere più piccolo delle scale macroscopiche del mio problema e molto più grande delle scale microscopiche.
In fluidodinamica, si fa l’ipotesi del continuo. Questa ipotesi ha che fare con il problema delle scale microscopiche di prima. Una volta definita la densità in questo modo, dal punto di vista matematico sarebbe utile poter definire una funzione che sia una funzione dello spazio e del tempo di tipo continuo, nel senso che abbia valori in ogni punto del nostro sistema di riferimento (senza buchi). Questo conoscendo la struttura della materia dei gas, ma ci sono problemi analoghi nei liquidi; non è possibile finché non si fa l’ipotesi che possiamo trattare i fluidi come dei mezzi continui e non come dei mezzi ci sono delle particelle con elevata densità che si muovono in uno spazio vuoto. Quindi questo discorso si può estendere per tutte le grandezze, facendo l’ipotesi che si possono definire delle funzioni continue di queste grandezze, anche se una volta che abbiamo in mente la descrizione microscopica di questi fluidi, questo non potrebbe essere possibile. L’ipotesi del continuo ci permette di definire il vettore velocità del fluido in ogni punto e in ogni istante e la viscosità in ogni punto e in ogni istante in modo continuo, senza la rappresentazione discreta che è legata alla descrizione chimica e microscopica della struttura dei gas.
Che cos’è la viscosità?
Quando il comportamento di un fluido si dice newtoniano?
Da che cosa dipendono la densità e la viscosità?
Che cos’è il numero di Mach?
Che cosa definisce il numero di Mach?
Che ipotesi possiamo fare?
Nel caso della dinamica dei fluidi, possiamo immaginare che regioni di fluido si spostino o si deformino. Ad esempio, se fossimo in grado di identificare all’interno del primo fluido, colorando le particelle con inchiostro, se fossimo in grado di identificare una regione ad esempio inizialmente rettangolare, possiamo immaginare come effetto dello spostamento del fluido, quindi come effetto delle forze applicate su quel fluido, anche di tipo tangenziale e potremmo osservare che questo elemento fluido, che inizialmente ha questa forma regolare, potrebbe in un istante successivo potrebbe trovarsi traslato, ma anche deformato in un secondo istante.
A parte la traslazione, si può dire che questo oggetto nel frattempo si sia deformato. La viscosità è una quantità che lega gli sforzi che sono stati necessari per ottenere questa deformazione con la deformazione.
La viscosità è una quantità che lega gli sforzi applicati su un elemento fluido, alle deformazioni dell’elemento fluido. Quando il legame tra gli sforzi e le deformazioni è di tipo lineare e il coefficiente di proporzionalità tra questi sforzi e le deformazioni si chiama viscosità ed è una quantità costante, allora il fluido o il comportamento del fluido si chiama di tipo newtoniano. La maggior parte dei fluidi che hanno interesse dal punto di vista tecnico, sono di tipo newtoniano. Ci sono alcuni fluidi che sono comunque importanti, ad esempio le vernici, i fanghi, i fluidi trattati nell’industria alimentari, il sangue, che non hanno comportamenti newtoniani.
Per adesso ci accontenteremo di studiare la meccanica dei fluidi di tipo newtoniano. Possiamo andare a vedere le quantità; la densità e la viscosità. Per fluidi isotermi, dove noi non siamo interessati esattamente alla distribuzione della temperatura e allo scambio termico dentro qui fluidi, queste sono le uniche proprietà fisiche che sono rilevanti nei fluidi. In generale, la densità e viscosità sono entrambe quantità che dipendono da due parametri, cioè dalla pressione e dalla temperatura. C’è un parametro, che si chiama numero di Mach ed è definito come una velocità di riferimento, diviso la velocità di trasmissione delle onde di pressione nel mezzo di cui si sta parlando.
Per esempio, se volessimo calcolare il numero di Mach di un veicolo da record, calcoleremo la massima velocità di questo veicolo, 100 m/s, diviso la velocità del suono dell’aria, che dipende dalla temperatura ed è di 330 m/s. Questo numero distingue i fenomeni subsonici dai fenomeni sonici, supersonici e ipersonici.
Se il numero di Mach è minore di 0.3, siamo nel campo subsonico. Il campo subsonico è il campo di cui ci occuperemo in queste lezioni e nel campo subsonico si può dire che sia la viscosità, sia la densità dipendono dalla pressione, ovvero per velocità che sono paragonabili ad ⅓ della velocità del suono, la viscosità e la densità variano con la pressione, ma le variazioni sono così piccole da non intaccare i risultati dei nostri studi. Se la viscosità e la densità dipendono da due parametri, dalla pressione e dalla temperatura, tratteremo esclusivamente moti subsonici, quindi con velocità minori di 100 m/s, cioè 360 km/h. Trattando questo tipo di moto, potremmo dire che per i moti subsonici, quindi Mach minore di 0.3, la densità sarà al più una funzione della temperatura e la viscosità sarà al più una funzione della temperatura. Inoltre faremo anche l’ipotesi che i nostri flussi siano di tipo isotermo, quindi la temperatura sia uniforme dappertutto e quindi assumeremo alla fine densità e viscosità come quantità costanti.
Nel caso di flussi isotermi e subsonici, la densità è costante a anche la viscosità. Per ciascun flusso che tratteremo, dovremmo scegliere il valore adatto della viscosità e della densità.
Come varia la temperatura con la densità e la viscosità nell’aria e nell’acqua?
Quanto valgono i valori di densità e viscosità nell’aria e nell’acqua?
Parliamo un attimo delle variazioni con la temperatura delle varie quantità. Facciamo due colonne; la colonna dell’aria e la colonna dell’acqua, quindi un fluido che rappresenta i gas e l’altro i liquidi.
La viscosità dell’aria diminuisce con la temperatura, ha la derivata prima negativa e la derivata seconda anche. La temperatura aumenta l’agitazione delle molecole, aumento il numero di collisioni, quindi aumenta per l’aria. Nei liquidi abbiamo delle molecole che sono molto più a contatto tra di loro, si stabiliscono dei legami tra molecole, a temperatura maggiore queste molecole tendono a distanziarsi e questi legami ad indebolirsi, quindi la viscosità a diminuire con la temperatura. Quindi questa caratteristica distingue bene i gas dai liquidi. L’acqua ha un comportamento speciale riguardo alla densità, il massimo della densità dell’acqua non è quando diventa solita, ma è attorno ai 4°C e l’andamento della densità dell’acqua diminuisce, dove il massimo per il legame idrogeno è a 4°C.
Per quanto riguarda i valori, la densità dell’aria attorno a 17°C è di 1.2 kg/m³, la densità dell’acqua sempre a temperatura ambiente è di circa 999 kg/m³.
La viscosità cinematica dell’aria, che sarebbe μ/ρ è 15 • 10⁻⁶ m²/s. La viscosità dinamica dell’aria è pari a 18 • 10⁻⁶ Pa • s, invece per l’acqua la viscosità è 1.08 • 10⁻³ Pa • s e la viscosità dinamica è circa 1 • 10⁻⁶ m²/s.
Queste quantità sono da sapere.
Che cos’è un tensore?
A che cosa serve il tensore degli sforzi?
Che cos’è un tensore? Che differenza c’è tra un tensore e una matrice? Si scrive come una matrice, ma nella fisica un tensore è una specie di estensione del concetto di vettore. Se noi dovessimo descrivere la temperatura in una stanza, basterebbe associare ad ogni punto del volume un valore scalare e quel valore scalare rappresenterebbe la temperatura in quel punto dell’aria. Questo si chiama campo scalare.
Se dovessimo descrivere la velocità dell’aria in una stanza, uno strumento di questo tipo non sarebbe più sufficiente; in ogni punto dovremmo definire non uno scalare, ma tre scalari, un vettore tridimensionale e in ogni punto saremo in grado di definire la velocità come espressa rispetto a tre componenti cartesiane, espresse in un certo sistema di riferimento.
Il tensore è un’ulteriore estensione. La velocità è una grandezza più complessa della temperatura, ugualmente gli sforzi sono una grandezza più complessa di un vettore, perché non dipendono esclusivamente dal punto dove sono applicati. In ciascun punto la tensione dipende anche dalla giacitura, cioè dal piano su cui voglio vedere applicati gli sforzi. Se fletto una piastra, gli sforzi che vedo tagliando con un piano verticale saranno di un certo tipo. Nello stesso punto, ci sono degli altri sforzi e il tensore serve per rappresentare gli sforzi, tenendo conto della giacitura e il teorema del tetraedro di Cauchy ci dice questa cosa e ci dice anche come calcolare a partire dal tensore degli sforzi in quel punto e sul piano normale al punto.
Dal punto di vista formale un tensore è una matrice, dal punto di vista fisico dobbiamo pensare che un campo tensoriale è un’estensione del campo vettoriale, più o meno come un campo vettoriale è un’estensione di un campo scalare e il campo tensoriale ci interessa perché ci permette di scrivere formalmente uno stato tensionale di un qualsiasi continuo e per continuo si intende che queste cose sono vere per i fluidi, ma sono vere anche per i solidi, infatti si chiama meccanica dei continui in generale.
Che cosa dice il teorema del tetraedro di Cauchy?
Verso la fine del 18° Secolo alcuni fisici inglesi soprattutto, si sono messi a scrivere le equazioni di Navier-Stokes, che sono le equazioni del bilancio della quantità di moto dei fluidi. Quando hanno scritto queste equazioni, si sono posti il problema di dover rappresentare gli sforzi dentro ai fluidi. Questo problema al loro sguardo era molto complicato, proprio per la proprietà degli sforzi di prima. Se io devo conoscere gli sforzi in ogni punto di un fluido che sto studiando, in ogni punto non basta che io conosca un vettore, devo conoscere un vettore per ogni giacitura, un vettore per ogni superficie su cui vorrei conoscere questo sforzo e per ogni punto. Il conto è molto complesso. Cauchy si è posto il problema di semplificare questi calcoli e si è posto il problema di riuscire a determinare lo stato tensionale di un punto su qualsiasi superficie, a partire dalla conoscenza dello stato tensionale del corpo in quello stesso punto, lungo tre direzioni coordinate.
L’idea del tetraedro di Cauchy è la seguente; Cauchy dice di supporre di conoscere in anticipo lo stato tensionale nei dintorni di un punto per tre piani ortogonali tra di loro. Questi piani saranno il piano che contiene l’asse x e y, il piano che contiene l’asse y e z e il piano che contiene l’asse z e x. Io voglio determinare lo stato tensionale su una superficie di quel punto che ha normale n generica. Prima di questo, definiamo un po’ di notazione. Facciamo un disegno e poi possiamo dire che uno sforzo tangenziale come quello disegnato, viene indicato con una t con un pedice, dove il primo indice indica la direzione e il secondo indica la giacitura, cioè la normale al piano su cui è applicato. Alcune volte si usa la convenzione opposta, ma tanto sono simmetrici.
Con questi compongo il tensore degli sforzi, che è quello che dicevano prima, che si indica con T con due sbarrette, che è l’estensione del vettore.
Definiamo un sistema di riferimento cartesiano x, y, z e poi definiamo un piano sghembo, un piano le cui le intersezioni con l’asse xy, yz e zy sono quelle che abbiamo visto prima.
Questo piano come si fa ad identificare nei dintorni del punto origine di questo sistema di riferimento? Lo identifichiamo attraverso la normale del piano sghembo, disegnato tracciando l’intersezione del piano con i piani coordinati.
Cauchy dice che se io voglio conoscere lo stato tensionale sul piano di normale n, la componente i-esima dello sforzo ti è pari alla somma degli Tij, con j che va da 1 a 3 per nj, dove nj sono le componenti della normale. La componente i-esima sarà formata dalle 3 componenti i-esime dello forzo ti, perché il primo pedice è quello che identifica la direzione dello sforzo, pesate con la componente della normale nella direzione j-esima della normale e con il contributo j-esimo degli sforzi, che si vede dal secondo pedice del tensore.
Se voglio conoscere il vettore t degli sforzi applicati su quella superficie, si ottiene con il prodotto del tensore T per n. Questa è la definizione di prodotto di matrice per un vettore.
Che cosa si fa nella statica dei fluidi?
Come si scrive lo sforzo applicato in un certo punto?
Per cominciare a studiare la statica dei fluidi, partiremo dalla definizione di fluido. Ogni volta che un fluido è in quiete, dev’essere vero che gli sforzi tangenziali applicati su questo saranno nulli. Quando si studia la statica dei fluidi, si studieranno le forze applicate ai fluidi in quiete, ma per la stessa definizione di fluido, gli sforzi tangenziali saranno 0.
La statica dei fluidi ci dice che il tensore degli sforzi che è un tensore 3 × 3, nel caso della statica sarà un tensore diagonale, dove avremo i valori sulla diagonale diversi da 0 e poi i valori che rappresentano gli sforzi di tipo tangenziale, tutti nulli. Se vogliamo scrivere in un caso statico, per esempio in un contenitore che contiene del liquido lo sforzo applicato in un certo punto, dobbiamo conoscere il tensore di quel punto e moltiplicarlo per la normale n su cui ci interessa sia applicato lo sforzo.
Come sono gli sforzi in statica?
Che cosa dice il principio di Pascal?
Come si dimostra?
In un fluido in statica, gli sforzi non dipendono dalla giacitura.
Gli sforzi in un fluido in condizioni statiche sono prima di tutto assiali per la stessa definizione di prima, secondo gli sforzi assiali sono isotropi, non dipendo dalla direzione, sono identici in tutte le direzioni. Prima di tutto lo sforzo in un punto si può scrivere in questo modo. Inoltre, visto che sono sicura che su quel piano lo sforzo dovrà essere diretto in direzione normale, potrò scrivere anche che lo sforzo, essendo in direzione normale, dovrà essere proporzionale al vettore normale. α poi potrà essere positivo o negativo di qualsiasi valore, però dovrà essere proporzionale. Imponendo l’uguaglianza di quelle due quantità, T₁₁ = T₂₂ = T₃₃. Visto che queste due quantità devono essere uguali per potersi, scopro che T₁₁ = T₂₂ = T₃₃ = α e in più si dimostra che in ciascuna direzione il modulo del vettore sarà sempre uguale, perché sarà pari a α. Quindi abbiamo nuovamente descritto le convenzioni sui segni per gli sforzi, abbiamo enunciato il teorema di Cauchy e l’importanza di questa espressione che ci perette di ottenere lo stato tensionale di un punto su un piano qualsiasi, a partire dall’espressione del tensore degli sforzi e poi per il caso della statica abbiamo definito il principio di Pascal.
Il principio di Pascal si basa sulla definizione di fluido, sulla definizione di statica e quel risultato che garantisce l’importanza dal punto di vista ingegneristico che è il teorema del Tetraedro di Cauchy.
La definizione di fluido dice che il fluido è un po’ di materia ed ha la caratteristica che se è nella statica, allora non ci saranno sforzi tangenziali applicati su quello. Avremo solo a che fare con sforzi di tipo assiale. Se per assurdo ci fosse uno sforzo di tipo tangenziale, allora avremmo moto e saremmo fuori dal nostro campo di studio. Il risultato del Tetraedro di Cauchy dice che se io voglio sapere lo sforzo t applicato su una superficie di normale n, scritta come versore unitario del piano generico, come se formasse un tetraedro regolare sulla terna di assi cartesiani. Se conosco il tensore T per il punto vicino all’origine di quel sistema di assi, allora posso conoscere gli sforzi applicati sul piano di normale e si moltiplica come se fosse un prodotto matrice-vettore il tensore degli sforzi T con la normale n e si ha questo sforzo t, che è scritto in termini vettoriali.
Il principio di Pascal dice che nelle condizioni statiche gli sforzi applicati ad un fluido sono isotropi, cioè sono uguali in tutte le direzioni. Isotropo = non si modifica al modificarsi della direzione. Quindi se noi prendiamo un fluido in condizioni statiche e per rappresentare quello rappresentiamo un tavolo, poi rappresentiamo una bacinella o un contenitore fluido e lì immaginiamo che ci sia del liquido.
Scegliamo un punto lì dentro e lo scriviamo rispetto ad un sistema di riferimento e questo punto lo chiamiamo vettore x in cui facciamo passare un piano di normale qualsiasi. Lo sforzo che per forza deve essere assiale, per qualsiasi inclinazione della normale è sempre uguale e si chiamerà pressione. La pressione è generata, nel caso dell’aria è più semplice da immaginare. Nel caso dell’aria abbiamo una parete, ci sono le molecole che attraverso le collisioni che avvengono contro questa parete, formano una forza che si chiama pressione che si misura in Pa. In quel punto la pressione è indipendente dalla giacitura del piano su cui la misuro.
Come si dimostra? Scrivo il tensore per il caso specifico della statica, che sarà un tensore di tipo diagonale e mi posso calcolare per il punto x generico lo sforzo e lo sforzo sarà il prodotto del tensore T per la normale n e questo prodotto è un vettore che si scriverà così.
Adesso che sappiamo che secondo Cauchy il vettore è scritto così, possiamo ribadire il fatto che lo sforzo deve essere assiale. Se dev’essere assiale, si scriverà come un certo coefficiente per la normale, perché se non lo posso scrivere come proporzionale alla normale, o lo sforzo non è normale o la normale non è normale. Deve essere scrivibile come un coefficiente per la normale e quindi avremo due modi di scrivere lo sforzo, uno è questo, cioè t = T₁₁ n₁, T₂₂ n₂, T₃₃ n₃. L’altro modo sarà α n, quindi α n₁, α n₂, α n₃. I termini su quella diagonale devono essere tutti uguali; vista la convenzione sui segni per gli sforzi, cioè che gli sforzi positivi sono diretti verso l’esterno; visto che la pressione è una cosa che spinge sempre, sarà definita come - α e quindi il tensore della statica si dovrà scrivere con la pressione sulla diagonale con il meno davanti. La pressione si esprime in Pa.
Il sistema di riferimento in cui scriviamo questa cosa è arbitrario. Già sappiamo che per qualsiasi direzione lo sforzo sarà uguale in qualsiasi direzione. Voglio sapere se nella direzione generica β lo sforzo è uguale alle altre direzioni. Visto che posso scegliere in modo arbitrario il sistema di riferimento per scrivere quel tensore, prendo la x come β, poi voglio sapere nella direzione γ come va, metto la x nella direzione di γ e vado avanti.
Altrimenti, sempre per dire che lo sforzo è indipendente dalla direzione, posso applicare il teorema del Tetraedro di Cauchy e si otterrà che lo sforzo è sempre in modulo pari a - β.
Si può o usare il fatto che il sistema di riferimento in cui scriviamo il teorema di Cauchy è qualsiasi, oppure fissiamo il sistema di riferimento, usare il teorema del Tetraedro di Cauchy e una volta che ho scoperto questo, lo riusiamo e il modulo degli sforzi sarà p e il valore sarà - p n. Quindi abbiamo dimostrato il principio di Pascal.
Che applicazioni hanno gli argomenti della statica?
Che valore di pressione si può assumere?
Questi argomenti della statica servono per esempio per valutare gli sforzi applicati nelle dighe. Quando si dimensiona la struttura di una diga, ci sono dei conti di statica dei fluidi. Per esempio, se riempio la diga fino ad un certo livello, resiste? Quindi questi conti servono per valutare se gli sforzi applicati sulle pareti contengono i fluidi.
Ci serve conoscere la distribuzione della pressione in un bacino e inoltre viene il dubbio se sia possibile lavorare con le pressioni assolute o con le pressioni relative. Se consideriamo gli sforzi applicati dalla presenza di un liquido nei contenitori, uno potrebbe o tener conto di tutte le pressioni applicate, però tiene conto del fatto che l’aria è un fluido e il fatto che siamo immersi nell’aria, significa che è sempre applicata una certa pressione. Poi, all’interno di questo ambiente, prendiamo un recipiente, ci mettiamo del fluido e lì dobbiamo valutare anche la pressione del fluido sul contenitore. In molte semplificazioni, soprattutto negli esercizi si può tenere conto della pressione applicata relativa, quindi depurata della quantità che è dovuta alla pressione atmosferica. I casi in cui questo è possibile, vanno bel distinti e per distinguerli bisogna capire che principio della fisica sta dietro questa possibilità di fare i conti solo per pressioni relative o quando quando bisogna fare i conti con pressioni di tipo assoluto.
Che proprietà ha la pressione?
Il principio della fisica dice che se noi abbiamo un corpo chiuso, cioè un corpo di un certo volume di cui vediamo e conosciamo la superficie che la contorna; un corpo finito, nel senso che ne conosciamo i bordi e ne possiamo misurare la superficie che lo contorna.
Se su un corpo di questo tipo è applicato un campo di forze che per ciascun punto è normale alla superficie, ed è anche un campo di forze uniforme, cioè il modulo è sempre lo stesso, allora quel campo di forze ha effetto dinamico nullo. Abbiamo questo corpo di cui conosciamo la superficie esterna e sappiamo che in ogni punto della superficie esterna viene applicata una forza che ha due caratteristiche: da un lato è sempre normale e in ciascun punto di questo corpo osservo che c’è uno sforzo normale, che quindi potrò scrivere come una quantità γ costante, per n. In ciascun punto c’è lo stesso sforzo, la normale dipende dal punto che si considera sulla superficie. Se è fatto così, il campo di forze uniforme è sempre normale a questo corpo e allora il suo effetto dinamico è nullo.
La proprietà di questo campo di forze è esattamente la proprietà della pressione, perché la pressione che agisce su un corpo in certi casi è da un lato uniforme e dall’altro lato è sempre diretta in direzione normale. Quindi nel caso di pressione uniforme, questo è un caso di un corpo soggetto ad una pressione. Significa che quando io valuto le forze applicate su un corpo qualsiasi, dovute ad una distribuzione di pressioni, posso definire quella pressione a meno di una costante. La risultante di questa forza è zero, è come se non ci fosse ed è come se tutto quel sistema di forze non fosse applicato. Se ci troviamo in situazioni di questo tipo, possiamo calcolare le forze applicate su un corpo o valutando la pressione, tenendo conto della pressione atmosferica, della pressione aggiuntiva, dovuta alla presenza di altri liquidi in statica, oppure togliamo una quantità costante, che potrebbe essere la pressione atmosferica. Anche se non è costante, perché se vado in montagna, in alto fa più freddo ma c’è anche la pressione più bassa, per via della quota. Ma il gradiente di questa pressione è proporzionale alla densità, che significa che se siamo nell’aria la pressione è proporzionale a 1.2 kg/m³, se siamo nell’acqua è proporzionale a 999 kg/m³. È vero che la distribuzione di pressione nell’aria non è uniforme, però questa disuniformità è trascurabile rispetto alla disuniformità che si osserva nell’acqua. Se parliamo di mercurio, è circa 15 volte più denso dell’acqua, quindi avremo un gradiente di pressione 15 volte più grande di questo. La pressione nell’aria non è uniforme, però se parliamo di bacini di liquidi che hanno densità che sono circa 1000 volte più densi dell’aria, l’approssimazione della pressione relativa si può fare sicuramente.
Come si scrive l’equazione fondamentale della statica dei fluidi?
Che ipotesi posso fare?
Disegniamo la nostra situazione con un contenitore con dentro un fluido, per esempio un liquido e fissiamo la nostra attenzione su un punto x vettore in un certo sistema di riferimento. In quel punto possiamo immaginare un piccolo volumetto di materia, quindi isoliamo nell’intorno di quel punto un piccolo volume e scriveremo delle equazioni per la statica dei fluidi.
Ogni volta che si iscrivono equazioni di questo tipo, alla fine scriveremo la 2ª Legge di Newton, scritta per dei corpi di massa di dimensioni infinitesima, che dice che l’accelerazione di questi corpi, moltiplicata per la loro massa, deve uguagliare le forze applicate sulle particelle, oppure la derivata nel tempo della quantità di moto di uno di questi corpi che hanno massa finita ma estensione infinitesima, deve essere uguale alle forze applicate. Qui siamo nelle condizioni della statica, la velocità è 0 e quindi anche l’accelerazione e quindi per quel volumetto, scriveremo che la risultante delle forze applicate deve essere zero. Quindi applichiamo nuovamente la 2ª Legge di Newton che per il caso statico si semplifica e dice che le forze applicate sono zero.
Nei dintorni di x, conviene scegliere un volumetto di una forma cilindrica. Nessuno mi chiede che sia a sezione circolare, ma i conti risultano più semplici con un solido di estrusione che in una certa direzione ha le pareti parallele, quindi un cilindro e diciamo che le pareti piane di questo cilindro sono ortogonali ad una direzione arbitraria j. Dobbiamo immaginare questo cilindro nel punto x, immerso nel fluido e di quello isoliamo una regione di questa forma e individuiamo una direzione generica j. Scriveremo la seconda legge di Newton e che la derivata nel tempo della massa di quel volume per la sua velocità è pari alla somma delle forze applicate sul volume. Non è esattamente la seconda legge di Newton, ma è un’estensione della legge a corpi di una dimensione più grande (infinitesima).
Visto che la velocità è zero, la sua derivata nel tempo è zero e l’equazione si scrive come somma delle forze applicate, è uguale a zero, oppure 0 uguale alla somma delle forze. Abbiamo definito un volume di quella forma con una direzione j preferenziale, visto che j è arbitrario, possiamo dire che F è zero se e solo se F • j = 0, qualsiasi sia j. Quindi, invece di studiare le somme di F vettoriale uguale a zero, posso scrivere somme di F, cioè tutte le forze applicate sul volume, moltiplicate scalarmente per j devono essere zero. Significa che la somma delle forze è un vettore e deve essere nullo, quel vettore è nullo se e solo se tutte le componenti sono nulle.
Facciamo la lista delle forze applicate, quindi la forza di gravità proiettata mg, proiettata nella direzione j e poi le pressioni. m sarebbe la massa di quel cilindro, g l’accelerazione di gravità + l’integrale su tutta la superficie esterna di questo corpo di p n dS, ho fatto l’integrale della pressione nella direzione normale. La normale per convenzione è sempre diretta verso l’esterno di un volume, mentre la pressione si applica sempre diretta verso l’interno, quindi c’è un segno - davanti all’integrale. Tutto questo, moltiplicato per il vettore j dev’essere uguale a 0, che significa che io posso scrivere m per la componente di g lungo la direzione j, che significa la componente dell’accelerazione gravitazionale nella direzione j, poi devo considerare il contributo di quella pressione. Ho scelto questo volume in modo che ci siano solo due facce piane ortogonali alla direzione j, quindi il contributo della pressione sulla superficie curva nella direzione j è nullo, quindi quello posso dimenticarlo. Valuterò solo i contributi di quelle due pressioni, che saranno - p n calcolato in x e l’altro sarà - p n calcolato in x + Δx.
Le normali sono sempre dirette verso l’esterno, che significa che la normale di x + Δx è concorde a j, la normale in x è discorde con j e quindi dovrò mettere un segno -. Ho incluso il prodotto per il vettore j, perché j per n nella prima faccia è -1 e j per n nella seconda faccia è +1.
Il segno - davanti significa che; p n è un modo per rendere la pressione un vettore, - p n è un modo per rendere un vettore nell’altra direzione. Il contributo lungo j della curva è nullo.
Gli integrali che si fanno sulle facce piane all’altezza x e all’altezza x + Δx, nel passaggio dalla seconda riga alla terza vengono semplificati, supponendo che la pressione sia uniforme su quelle facce. Ad un certo punto posso fare l’ipotesi che quelle superfici siano piccoline, così piccole da poter trascurare la variazione su quelle superfici della pressione. E chi mi dice se posso trascurarla? Valuto l’errore che compio e giudico se quell’errore è ammissibile per gli scopi della mia indagine, oppure no.
L’integrale che dovrebbe abbracciare tutte le tre le superfici, alla terza riga è stato semplificato perché ho tolto il contributo della parete curva, perché sapevamo in anticipo che il suo prodotto per j non dava risultato, però bisognerebbe metterci un termine B che rappresenta questa cosa. La 4ª riga tiene conto che B vettore non ha componenti lungo j e sparisce e quindi mi trovo la massa per g nella direzione j e poi i contributi delle pressioni a quelle due facce piane, dove come nel passaggio precedente si fa l’ipotesi che la pressione p(x) e p(x + Δx) sia pari alla pressione media o che rappresenti la pressione uniforme su quelle due superfici.
Il cilindro è una superficie di estrusione, nel senso che in ogni sezione ortogonale all’asse j, la forma di questo corpo sarà sempre uguale ed è ottenuta per estrusione nella direzione j, allora le superfici iniziale e finale saranno uguali e quindi posso raccoglierle nell’equazione. S sarà la superficie infinitesima. x sono le coordinate nella direzione j.
Una funzione definita continua con tutte le derivate che ci servono, può essere definita lungo una direzione x, può essere approssimata in un punto p(x + Δx) attraverso la derivata e posso sostituire quel gruppo nelle parentesi quadrate con dp/dx per Δx e poi commetterò degli errori che sono piccoli se quel volume è piccolo a sufficienza.
Possiamo esprimere la massa m attraverso la densità. Semplifichiamo e possiamo scrivere che per una generica direzione j, la componente in direzione j dell’accelerazione di gravità è uguale alla derivata parziale di p in xj e quindi possiamo scrivere questa equazione, visto che j è generico, come la densità per g, uguale al gradiente della pressione. Si proietta quella lungo tre direzioni ortogonali e si ottiene questo risultato. Sia a sinistra, sia a destra, abbiamo N/m³ e questa è l’equazione della statica dei fluidi.
Il gradiente di pressione è proporzionale all’accelerazione di gravità e la costante di proporzionalità è la densità. L’accelerazione di gravità è sempre diretta verso il basso, verso il centro della Terra e quindi il gradiente della pressione è diretto verso il centro della Terra dentro un fluido in condizioni statiche, che si significa che le linee a pressione costante sono ortogonali all’accelerazione di gravità e la pressione aumenta verso il basso.
Che cos’è il gradiente?
Com’è il profilo di pressione di un contenitore?
Come sarà l’andamento della pressione?
Com’è il profilo di pressione in un grosso bacino riempito d’acqua?
Il gradiente è un vettore definito per un campo scalare con la freccia che punta verso la direzione del massimo locale ed è sempre ortogonale alle linee di livello.
Abbiamo un fluido in un contenitore; qui ci sarà una certa distribuzione di pressione, io so che la g è diretta sempre verso il basso, allora il gradiente di pressione deve essere parallelo a quello e significa che le curve a pressione costante saranno ortogonali alla g e la pressione aumenta verso il basso. Se il gradiente è una costante, perché ρ la possiamo supporre costante nel bacino e g è sufficientemente costante, se il gradiente di p è costante significa che l’andamento della pressione è lineare con z, dove z sarà la coordinata verticale.
Vediamo com’è fatto il profilo di pressione in un grosso bacino riempito d’acqua. Con queste equazioni si possono calcolare tutti gli sforzi, tutte le forze applicate nelle condizioni della statica dei fluidi, che significa che la pressione è definita a meno di una costante. Se da una certa distribuzione di pressione p, ottengo delle forze applicate sulla bacinella, posso aggiungere un’altra costante, p₀, rifaccio i conti, il gradiente di p è uguale identico al gradiente di p - p₀ o p + p₀. Significa che anche dal punto di vista della statica, la pressione è definita a meno di una costante. Questa osservazione non è identica alle cose che dicevamo prima sul fatto che le forze normali applicate su una superficie chiusa o limitata hanno effetto nullo se sono uniformi. Questa equazione mi dice che la pressione la posso definire a meno di una costante, tanto mi interessa solo il gradiente.
Possiamo calcolare la distribuzione di pressione dentro ad un bacino. Questo è il nostro bacino, definiamo z la coordinata verso l’alto, definiamo z₀ la superficie libera e scriviamo la nostra equazione ρ g = grad p. La possiamo proiettare nella direzione z. Se proietto questa equazione nella direzione z, nel lato sinistro avrò - ρ |g| e nel lato destro avrò ∂p/∂z. Se io guardo la derivata della pressione in z, la derivata è negativa perché ρ è positivo, il modulo di g è positivo, significa che la pressione è una funzione decrescente di z, inoltre è lineare. Facciamo l’integrale tra z e z₀ di - ρg in dz e poi l’integrale tra z e z₀ di dp/dx in dz.
Gli andamenti saranno lineari, però possiamo anche per esercizio decidere di fare l’integrale tra una z generica e la coordinata del pelo libero z₀, dove si misurerà la pressione atmosferica. Tipicamente si prende 101 325 Pa come pressione atmosferica di riferimento, 1.01 • 10⁵ Pa. Possiamo osservare che p dipende solo da z e non da x e y, perché z è parallelo a g e quindi quell’equazione anziché con le derivate parziali, si potrà scrivere con le derivate totali.
Posso scrivere che p(z) = p(z₀) + ρg(z₀ - z). Questa è l’espressione dell’equazione lineare che descrive la pressione al contenitore. Quindi la pressione all’altezza z generica è formata da due contributi:
Uno è la pressione atmosferica sul pelo libero.
Uno è il contributo dovuto alla quota. z₀ dentro al contenitore è sempre maggiore di z, quindi c’è un contributo lineare che si aggiunge.
Vediamo come si può fare il disegno.
Avrò una distribuzione lineare della pressione, il trattino sulla superficie libera rappresenta la pressione atmosferica p₀.
Se per esempio calcolassi gli sforzi applicati sul quel corpo, posso valutare la pressione come pressione relativa o devo calcolarla tutta? Visto che l’andamento dentro all’acqua è lineare, mi attendo che appena esco dall’acqua e quindi dalla superficie libera in alto, avrò un andamento lineare con un coefficiente angolare che anziché essere 999 kg/m³ è 1.2 km/m³, quindi è vero che dalla superficie libera in su avrò un andamento di pressione decrescente con la quota che cresce, però sarà con una pendenza molto inferiore.
A che cosa serve il manometro?
Come si fa a fare la misura della pressione?
Quali sono le caratteristiche dei fluidi manometrici?
Avevamo introdotto un modo per costruire un termometro a gas a volume costante, che aveva incluso nella sua configurazione un manometro. Il manometro serve per misurare la differenza di pressione tra il bulbo con il gas e una regione a pressione quasi zero, attraverso le leggi della statica dei fluidi, perché noi misuravamo la differenza di pressione tra le due camere, attraverso la differenza di quota di due menischi in un tubo a U, riempito parzialmente di mercurio. Adesso possiamo fare i conti con maggiore sicurezza.
Il primo strumento di misura che si studia, una volta che si sviluppano tutte le equazioni della statica dei fluidi è il manometro, che serve per misurare la differenza di pressione in una camera.
Facciamo un disegno. Usiamo un manometro a U e diciamo che nell’altro ramo del manometro a U ci sarà un contenitore sferico, dove si cerca di lasciare dentro quel contatore pochissima materia; si pratica il vuoto. In mezzo avremo un liquido manometrico, che molto spesso è il mercurio.
Il manometro è in comunicazione sia con la camera dove si deve misurare la pressione, sia con la camera dove c’è il vuoto.
Come si fa a fare una misura della pressione? Calcolo la differenza di quota tra i due menischi e quella differenza di quota, moltiplicata per la densità del mercurio e per l’accelerazione di gravità, mi darà la differenza di pressione tra le due camere, visto che la pressione da un lato è zero e dall’altra è diversa da zero, quindi dalla pressione assoluta che abbiamo disegnato con il quadrato. Si sceglie una sezione in comune, poi si prende la sezione che è caratteristica del menisco del lato dove si vuole fare la misura che si chiama zm e poi si prende l’altra sezione zR che sarà nulla e applichiamo le leggi della statica tra due equazioni diverse. Prima tra zm e z₀ e poi tra zR e z₀. Una volta scritte queste due equazioni, le si combina in modo da far sparire z₀ perché non serve e quindi avremo un’espressione dove si scriverà la differenza di pressione tra la camera piena di particelle e la camera dove c’è il vuoto, in funzione della differenza di altezza tra zR e zm.
La pressione alla quota z è pari alla pressione sulla superficie libera + ρ g per il dislivello. La pressione in z₀ è uguale alla pressione che voglio misurare zm + il contributo della colonna di liquido, che sarà zm - z₀, che moltiplica la densità di mercurio per il modulo dell’accelerazione gravitazionale e poi scriviamo la stessa identica equazione dall’altro lato. Ne sottraggo una dall’altra e otterrò p(zm) = p(zR) + ρ g(zR - zm).
Perché si usa il mercurio come liquido manometrico? I liquidi monometrici devono avere delle caratteristiche:
Devono essere di tipo stabile, non devono marcire con il tempo, devono avere le stesse caratteristiche immutabili nel tempo.
Dovranno avere una piccola tensione di vapore, cioè alle basse pressioni, perché il mercurio in questa applicazione, nella camera a destra ha una bassa pressione che è esercitata sulla sua superficie libera, alle basse pressioni ha una piccola tensione di vapore, che significa che non ha una tendenza ad evaporare.
Devono avere una densità opportuna, cioè a seconda delle differenze di densità che io devo calcolare, io vorrei leggere un dislivello tra - zm e zm che sia facilmente apprezzabile con una barra graduata (metro con i mm segnati sopra) e che non sia troppo lungo. Il mercurio ha una densità di 13.6 • 10⁶ kg/m³. La densità dell’acqua è di 999 kg/m³. Quindi il mercurio è 13 volte più denso dell’acqua.
Il che significa che misura delle variazioni di pressione di un bar (10⁵ Pa) in lunghezze di 760 mm (¾ di m), quindi userò il mercurio se voglio apprezzare i millesimi di bar, non di meno, perché potrò leggere 1 mm di differenza tra un menisco e un altro. Se mi servono delle misure più accurate, dovrò scegliere un fluido con densità più piccola. Il fluido manometrico va scelto a seconda della sensibilità che si vuole attribuire allo strumento e al fondo scala. Mentre per una colonna di mercurio si riesce a stabilire una differenza di pressione di 1 bar a 760 mm, per l’acqua per fare un bar, 10.33 m.
Che direzione ha il gradiente della pressione?
Per la definizione di fluido, il tensore degli sforzi è diagonale e nella diagonale ci sono gli stessi valori, in ciascun elemento della diagonale c’è lo stesso valore, cioè -p. Il motivo del segno opposto è per il fatto che per definizione gli sforzi positivi sono uscenti e la pressione, vista la nostra descrizione della materia, è sempre qualcosa che spinge.
La prima cosa di statica che abbiamo visto è principio di Pascal, che dice che la pressione è isotropa, cioè uguale lungo tutte le direzioni. La seconda cosa di statica che abbiamo visto è quella cosa che riguarda la distribuzione di pressione dentro un fluido in quiete. Abbiamo scritto l’equazione fondamentale della statica, che dice che il gradiente di pressione è orientato nella stessa direzione dell’accelerazione di gravità, cioè ρ g = grad p. Il gradiente della pressione è nella stessa direzione della gravità.
Possiamo disegnare un contenitore, un pelo libero e un sistema di riferimento con coordinata z verticale e quindi l’accelerazione di gravità è diretta in verso opposto rispetto a z. Il gradiente della pressione lì dentro è pari a ρ g è proporzionale a g con costante di proporzionalità la densità. Il gradiente è un vettore che è sempre ortogonale alle linee a pressione costante, che saranno delle linee orizzontali e il gradiente di pressione sarà un vettore ortogonale a queste linee orizzontali e punterà nella stessa direzione di g, quindi ∂p/∂z sarà diverso da zero e sarà pari a - ρ g. Abbiamo il segno - perché; se g è il modulo di questo vettore, uguale al modulo del vettore g, allora il vettore g si scrive come (0, 0, -g).
Come si misura la pressione con un misuratore di pressione differenziale?
Il manometro differenziale o misuratore di pressione differenziale ha due regioni che rappresenteremo come due sfere, una a una certa pressione p₁ e una ad una certa pressione p₂. Questo tipo di strumento viene applicato nella misura di un flusso dentro ad un condotto, collegato ad un altro strumento di misura indiretto alla portata, che si chiama diaframma o boccaglio. Abbiamo due regioni con due pressioni diverse, possiamo collegarle attraverso un tubo a U, nel tubo mettiamo un po’ di mercurio, il mercurio avrà menischi a livelli diversi. Definiamo un sistema di riferimento che punta verso l’alto, chiameremo questa altezza l’altezza z₁ e l’altra altezza z₂. Inoltre avremo l’altezza z₀ e potremo imporre questa equazione che dice che siccome il sistema è in condizioni statiche, all’altezza z₀ devo misurare un unico livello di pressione, che lo posso misurare facendo le considerazioni con il braccio di sinistra, quello contrassegnato con il pedice 1 e facendo le considerazioni sul braccio di destra, quello contrassegnato con il pedice 2.
Scriverò p₁ + ρ g(z₁ - z₀), deve essere uguale a p₂ + ρ g(z₂ - z₀). In questa equazione c’è nascosta un’ipotesi; la densità è la densità del fluido manometrico. Il sistema è simmetrico, però nel ramo p₁ c’è un fluido, perché sia in uno sia nell’altro non c’è il vuoto, c’è un po’ di materia; c’è un fluido che comunque costituisce una piccola pressione. Noi non stiamo misurando esattamente la pressione a questo livello, stiamo misurando alla parte sinistra la pressione al livello z₁ e alla parte destra la pressione al livello z₂.
Se voglio interpretare il dato come la differenza di pressione p₁ p₂, dovrei aggiungere la colonna di fluido tra z₂ e z₁ del fluido numero 1 o se i due fluidi sono così diversi da avere densità diversa, dovrei aggiungere entrambe le colonne di fluido. Perché ci si può permettere di fare questa ipotesi? Perché il mercurio è pesantissimo, però questo errore dobbiamo essere consapevoli che c’è.
A che cosa serve il barometro di Torricelli?
Com’è fatto?
Perché non si usa l’acqua come fluido barometrico?
Torricelli ha invitato il barometro, il misuratore di pressione atmosferico.
E’ una bacinella che contiene un liquido, il liquido manometrico e poi un tubo con un estremo aperto e l’altro stremo chiuso. Quello che si deve fare è di ottenere qualcosa di simile al vuoto, cioè approssimare il vuoto in alto e quindi la pressione atmosferica si misura attraverso il dislivello tra la superficie libera dal mercurio e il menisco del mercurio dentro al tubo che ha un’estremità chiusa e dove da quella parte viene praticato il vuoto.
La pressione atmosferica si misura come ρ g h e quindi possiamo calcolare quanto è alto per il mercurio quel tubo. La densità sarà la densità del liquido barometrico e h dovrà essere pari a 101 325 Pa (pressione atmosferica standard), diviso la densità per g. Ottengo circa 0.76 m, 760 mm. Questo è un altro motivo per cui il mercurio è molto utilizzato come liquido per misurare le pressioni, perché l’ingombro di un manometro di questo tipo non è elevatissimo. Uno potrebbe scegliere di usare l’acqua al posto del mercurio e visto che la densità dell’acqua è più piccola, otterrebbe uno strumento molto più lungo, di 10.3 m, avremo uno strumento molto più sensibile, nel senso che potremo misurare delle variazioni di pressione più piccole, 1 mm di differenza di menisco corrisponde ad una differenza di pressione più piccola, però devo occupare 3 piani di edificio per poterci mettere il barometro, non ha senso. Inoltre il mercurio è molto stabile, mentre l’acqua evapora.
Come si determina la risultante e il suo punto di applicazione nell’esempio di un fluido in una diga?
Abbiamo il terreno, poi c’è la paratia e qui abbiamo un liquido. Introduciamo un sistema di riferimento. Visto che abbiamo disegnato in due dimensioni, stiamo trattando un caso che è omogeneo nella terza direzione, quella ortogonale, il che significa che la risultante, anziché essere misurata in Newton, sarà misurata in N/m, perché il mondo tridimensionale lo trattiamo come un problema bidimensionale.
Facciamo delle considerazioni di tipo intuitivo; vediamo com’è fatta la distruzione di pressione dentro alla figura. Sarà decrescente con z, che al pelo libero sarà pari alla pressione atmosferica e in fondo sarà pari alla pressione atmosferica + ρ g per l’altezza del livello, che chiamiamo H.
Avremo la pressione atmosferica che insisterà su tutta la paratia e poi la pressione che viene aggiunta dal fluido, quindi a ciascuna altezza z avremo una pressione che è proporzionale a questo segmento, dove c’è un contributo della pressione atmosferica e un contributo della pressione che sta costruendo il fluido. Dall’altra parte della paratia avremo solo la pressione atmosferica. Possiamo utilizzare in modo rigoroso la pressione relativa per fare i conti? Se abbiamo una superficie chiusa, che avvolge un corpo e su questa superficie viene applicata una forza normale che è uniforme, questa forza ha un effetto dinamico nullo.
Qui possiamo eliminare la pressione atmosferica da una parte e dall’altra e ragionare solo con pressione assoluta? No, perché la parte destra l’ho tracciata quasi come una pressione uniforme, invece non è uniforme, cresce un po’ quella quota. Dall’altra parte il contributo della pressione atmosferica si blocca sopra e contribuisce in modo costante a costruire la pressione della parte sinistra dove c’è il liquido, quindi non possiamo fare così. Dobbiamo fare la considerazione che la densità del liquido (immaginiamo che sia acqua) è 1000 volte più grande della densità del fluido che la circonda, allora possiamo dire che la pressione atmosferica a sinistra e a destra è quasi perfettamente uguale e occuparci solo della pressione dovuta alla presenza del liquido, che è quel triangolo. Quello che si chiede è:
Quant’è la risultante.
Qual’è il punto di applicazione della risultante, che sarà la risultante delle forze di pressione applicate su quella paratia ed essendo una forza, dovremmo fornire modulo, direzione e verso.
Direzione e verso le possiamo subito individuare. La risultante sarà diretta da sinistra verso destra, perfettamente ortogonale alla paratia, perché la pressione lì è normale alla superficie sulla quale è applicata. La risultante R sarà pari al modulo della risultante, per la normale n. Posso dirlo perché so che la pressione agisce in ogni punto in modo ortogonale alla superficie su cui è applicata.
Come faccio a calcolare il modulo della risultante? Definisco un’ulteriore coordinata y che ha valore 0 al pelo libero e che punta verso il basso e per cui posso scrivere che la pressione relativa, quella dovuta al liquido, avrà una pressione del tipo ρ g y, con y che va da 0 ad H. Allora per calcolare la risultante dovrò integrare, farò il modulo della risultante uguale all’integrale tra y = 0 (in alto, al pelo libero), fino a y = H di ρ g y dy. ρ e g si possono supporre costanti e si possono portare fuori dall’integrale e poi fare l’integrale di y, che sarebbe y²/2, calcolata tra H e 0, quindi sarà H²/2. Abbiamo calcolato in realtà l’area di un triangolo. Questo si esprime in N/m, in effetti ρ sarebbe massa diviso m³ e poi moltiplichiamo per m².
Come si calcola il punto di applicazione della risultante? Il punto di applicazione della risultante deve essere tale che il sistema di forze complessivo, anche dal punto di vista dei momenti, rispetto a qualsiasi polo, può essere sostituito dalla risultante applicata nel punto di applicazione della risultante. Che equazione posso scrivere per imporre la veridicità di questo? Posso scrivere che la risultante per il braccio incognito rispetto al polo y = 0 è uguale alla coppia generata da tutte le forze. Scrivo la definizione di punto di applicazione della risultante e cioè scrivo che la coppia rispetto a y = 0 deve essere pari alla risultante, per il punto di applicazione yc e questo dev’essere uguale all’integrale da y = 0 e y = M di ρ g y² dy. Il braccio è y. In termini di z, yc varrà ⅔ perché appena sostituisco il modulo di R, mi verrà ρ g H²/2 e a sinistra, l’integrale farà ρ g H³/3 e quindi se parto da z l’altezza è H/3, se parto da y = 0 l’altezza è ⅔ H.
Come si determina la risultante e il suo punto di applicazione nell’esempio di una paratia inclinata?
Cerchiamo come prima la risultante e il punto di applicazione della risultante. Si può definire una coordinata aggiuntiva y che corre lungo la paratoia. La risultante sarà pari al modulo della risultante per la normale n. La normale n sarà ortogonale alla paratoia e sarà pari a sin α, - cos α.
Il contributo all’aumento di pressione alla quota y. Dobbiamo fare l’integrale tra y = 0 e y = 𝓁. Sull’areola di y insisterà una pressione p che è pari a ρ g y sinα dy. Alla seconda espressione saremmo arrivati se non avessimo introdotto questa nuova coordinata obliqua y.
Che cosa sono i fenomeni di galleggiamento?
Per fenomeni di galleggiamento si intende quello che avviene in un fluido quando la densità non è uniforme; i moti convettivi dentro alla Terra, dentro ad una pentola riscaldata. Noi abbiamo a che fare con fenomeni di galleggiamento di corpi solidi immersi o parzialmente immersi in un liquido.
Il primo scopritore di queste cose fu Archimede nel 200 a.C. e veniva da Siracusa. Era un filosofo e un matematico e la leggenda vuole che qualcuno volesse sapere se la corona che gli avevano costruito fosse fatta completamente di oro oppure se fosse di un altro metallo meno nobile. Archimede aveva riempito un contenitore d’acqua fino al bordo, aveva preso la corona, l’aveva immersa e aveva misurato l’acqua che ne era uscita. Poi aveva preso oro vero della stessa quantità della corona, l’aveva pesato, in modo che fosse esattamente lo stesso peso, poi aveva immerso il pezzo d’oro dentro l’acqua e ne usciva fuori un’altra quantità di acqua. Se esce la stessa quantità di acqua è oro puro, se ne esce diversa, c’è qualcosa che non va.
Che cosa dice il principio di Archimede?
Questo non c’entra niente con il galleggiamento, ma c’entra con il concetto di volume specifico, solo che quando si parla di Archimede e della sua scoperta, nei fenomeni di galleggiamento c’è questo esempio. In quello stesso ambito, si dice che Archimede abbia scoperto il principio di Archimede, che dice che su un corpo immerso in un fluido, il fluido agisce con una forza che ha come modulo lo stesso del peso del fluido spostato, direzione uguale alla gravità e verso opposto alla gravità. Se un fluido è in quiete, la distribuzione di pressione non dipenderà dalla presenza o meno di un corpo all’interno di esso, quindi su quel corpo viene applicata la stessa forza che ci sarebbe, se al posto del corpo ci sarebbe l’acqua, cioè se ci fosse il liquido invece. E quel liquido che ho sostituito con il corpo di che cosa ha bisogno per stare lì? Ha bisogno di una forza che in modulo è pari al peso del liquido spostato, che in direzione è parallela ala direzione della gravità e in verso è opposta.
Facciamo il disegno. Abbiamo il pelo libero di un liquido, abbiamo il corpo immerso in condizioni statiche e su questo corpo verrà applicata la pressione tipica della statica. In ogni punto verrà applicata una forza diretta ortogonale al corpo con modulo che si calcola con la statica. Questo insieme di forze applicate costituirà le stesse forze che garantirebbero che al posto di quel corpo ci starebbe del liquido in condizioni statiche, quindi valgono le cose di prima.
Adesso proviamo ad immaginare dov’è applicata la risultante delle forze che il fluido applica sul solido. Sarà nel centro di massa del fluido che non c’è; dovremmo immaginare che lì ci sia il fluido.
Che cos’è il centro geometrico C?
Se abbiamo una regione geometrica che può essere bidimensionale o tridimensionale e reintroduciamo un sistema di riferimento x, y, z, dove il vettore x è il vettore posizione, per esempio all’interno di questa regione tridimensionale, allora possiamo definire come centro geometrico xc l’integrale della x su tutto questo volume; il pezzo lo chiamiamo Ω e il volume della regione Ω è pari a V.
Quindi integrale di tutta la regione Ω di x in dV, diviso l’integrale su tutta la regione Ω di dV; il denominatore è pari al volume. Questo integrale risulterà come le coordinate del centro. Questo non è il centro di massa, è il centro geometrico.
Che cos’è il centro di massa G?
In che caso il centro geometrico corrisponde con il centro di massa?
Facciamo lo stesso disegno di prima. xG è definito come l’integrale su Ω di ρ x dV, diviso l’integrale su Ω di ρ in dV. Il denominatore è la massa del pezzo.
In che caso il centro geometrico corrisponde con il centro di massa? Quando la densità è uniforme, perché anche dal punto di vista matematico posso prendere due densità, portarle fuori dagli integrali ed eliminarle.
Dov’è applicata la forza che il fluido applica sul corpo?
Cosa succede se la densità del fluido è costante?
Cosa succede invece quando non lo è?
La forza che il fluido che applica su quel corpo, è applicato sul centro di massa del fluido che è stato spostato per lasciare spazio al corpo.
Se la densità del fluido è costante, quella forza verrà applicata nel centro di massa del fluido, che coincide con il centro geometrico del fluido spostato, che coincide con il centro geometrico del corpo.
L’altra possibilità è che la densità non sia uniforme e quindi la densità non può essere distribuita in modo qualsiasi, perché dopo poco avremo movimento nel fluido per via della disuniformità della densità. L’unica possibilità è che sia stratificata e che quindi il fluido più denso sia in basso e il fluido leggero sia in alto, a strati. In questo caso, la forza del fluido sul corpo viene applicata nel centro di massa del fluido spostato, che si pone più in basso rispetto al centro geometrico. Può essere che il fluido si stratifichi con il fluido più denso più in alto e quello meno denso in basso? Può succedere, però è un sistema così instabile che è praticamente irrealizzabile. In teoria potrebbe succedere, però basta un’infinitesima perturbazione del sistema. È come dire, riesco a mettere una penna in bilico in verticale? Sì, c’è una posizione, però è quasi impossibile realizzarlo.
Quando siamo in una situazione di equilibrio stabile?
Immaginiamo un solido parzialmente immerso o totalmente in un liquido. Ovviamente anche il solido potrebbe essere non omogeneo, caso delle barche. Le barche sono parzialmente immerse in un liquido e non sono omogenee, nel senso che sono fatte di diversi materiali e quindi le densità saranno tra loro diverse.
Possiamo fare dei casi e il caso più banale era quello che dicevamo prima. Facciamo l’ipotesi che la densità del fluido sia costante. Abbiamo questo corpo immerso o parzialmente immerso, sul corpo viene applicata la forza peso del corpo sul centro di massa del corpo e se la densità del fluido è costante, ci sarà la forza di galleggiamento s, applicata nel centro geometrico del corpo. Questa situazione si chiama situazione stabile, nel senso che se perturbo di poco il sistema, cioè se facessi ruotare il sistema in una delle due direzioni, succederebbe che la coppia formata dal peso e dalla spinta non sarebbero più allineate, tenderebbero a raddrizzare il sistema. Questa è una condizione di equilibrio stabile.
Quando siamo in una situazione di equilibrio indifferente?
Sempre se la densità del liquido è costante, se il centro geometrico coincide con il centro di massa e qui potrebbe essere anche il solido a densità costante o comunque tutti i casi in cui il centro geometrico coincide con il centro di massa, avremo due forze applicate su questo. Nello stesso punto una sarebbe la forza peso e l’altra sarebbe la spinta. Questo è un caso di equilibrio indifferente, nel senso che se io facessi ruotare il sistema, non si creerebbe nessuna forza, almeno non inizialmente che tenderebbe a ruotarlo nella direzione originale.
Quando siamo in una situazione di equilibrio instabile?
Adesso faremo un esempio di equilibrio non stabile, in cui abbiamo il centro di massa e quindi il centro dove viene applicata la forza peso del corpo che è più elevato rispetto al centro geometrico e nel centro geometrico, visto che la densità è costante, viene applicata la spinta. Ogni piccola rotazione viene applicata dalla coppia che si aggiunge a questa rotazione, quindi questo è un caso di equilibrio instabile.
Esempio di stabilità delle barche.
Ci sono due tipi di barche. Il bulbo della barca a vela viene introdotto per dare delle caratteristiche di stabilità alla barca, mentre la deriva serve per bilanciare almeno in parte le forze applicate che sono applicate sulle vele.
Nella situazione della barca a vela, quella più in alto, è la situazione di equilibrio stabile, perché c’è il centro di massa che è più basso del centro geometrico del fluido immerso e quindi quando c’è una tendenza al ribaltamento o c’è un’inclinazione laterale della barca, subito si genera una forza o una coppia che si contrappone a questo ribaltamento e questa coppia cresce con l’angolo di inclinazione, perché con l’angolo di inclinazione aumenta il braccio della coppia.
Il secondo caso è il caso in cui abbiamo un altro tipo di barca, dove il centro geometrico è più basso del centro di massa del liquido spostato, cioè C è più basso di G. Queste non si ribaltano perché sono fatte in modo per cui quando vengono inclinate, il centro geometrico del liquido spostato si sposta e sposandosi genera una coppia raddrizzante. Dobbiamo considerare solo il baricentro del liquido spostato, dobbiamo calcolare il baricentro della regione azzurra e diciamo che corrisponde con il punto C. Quando si inclina la barca, la zona azzurra cambia forma e diventa questa nuova azzurra, che ha un altro centro geometrico e questa volta il centro geometrico dev’essere perfettamente allineato con il centro di massa e si posta in modo da mantenere il tutto dritto.
Quali sono le forze applicate su una boa che galleggia?
Facciamo un conto dove c’è una boa che galleggia in parte fuori dall’acqua di forma prismatica. Un prisma è un solido corpo che è formato da una certa forma che viene proiettato in una direzione ed è come se fosse ottenuto per estrusione, per esempio un cilindro è un prisma con base circolare, questo è un prisma con base irregolare. Immaginiamo una boa fatta in questo modo, di altezza H e di sezione A e quindi possiamo fare un disegno in cui abbiamo la quota z, abbiamo il pelo libero, poi la boa parzialmente immersa di una certa quantità che chiameremo h. Poi possiamo fare l’ipotesi che la densità del liquido sia uniforme e la densità del solido sia informe.
Per determinare h, basta scrivere un’equazione, cioè la seconda legge di Newton, cioè tutte le forze devo essere pari alla massa della boa per l’accelerazione della boa, solo che siano in condizioni statiche, quindi la velocità e l’accelerazione saranno zero, perciò la somma delle forze applicate sulla boa deve essere uguale a zero perché siamo nel caso statico.
In più, visto che già osservo che quelle forze saranno applicate in direzione z, io posso, anziché scrivere quell’equazione vettoriale, proiettarla lungo la direzione z. Quindi scriverò la somma delle componenti in z deve essere uguale a 0. Che forze sono applicate sulla boa in direzione z? La forza peso, quindi - ms g + la spinta.
La spinta è dovuta solo al liquido spostato, quindi è pari alla densità del solido che è costante, per il volume del liquido spostato e finalmente sono riuscita ad esprimere l’unica equazione che dovevo scrivere, attraverso la mia incognita. Se la esprimo attraverso una sola incognita, avrò facilmente la soluzione. Quindi avrò ρ𝓁 per l’area A per h g + ρa A(H - h) g = 0. La densità dell’aria è trascurabile rispetto alla densità del liquido. Ora posso introdurre la densità del solido e sostituire quella massa del solido con la densità del solido e quindi scriverò ρ𝓁 A hg = ρs A H g, il che ci fa capire che il rapporto tra H e h è pari a ρ𝓁/ρs. Da questa equazione, per la nostra costruzione geometrica, è ovvio che H deve essere più grande di h. Quindi H/h > 1, è vero che ρ𝓁 > ρs, perché altrimenti non avremmo che la boa sbuca dall’acqua, è solo parzialmente immersa per il fatto che la densità del solido sarà più piccola della densità del liquido.
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