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2.7 Fluidodinamica Cinematica

ET
by Emma T.

Che cos’è una particella materiale?

Come si fa a fare un esperimento per determinare una traiettoria?

Queste linee sono diverse e coincidono una con l’altra solo nei fenomeni di tipo stazionario, dove il fenomeno non dipende dal tempo.

Per traiettoria dovremmo definire una particella materiale, che sarebbe un insieme di molecole che sono caratterizzate da una loro identità, una quantità di materia che è distinguibile dal resto, come se fossimo in grado di dare delle molecole ai nomi o fossimo in grado di colorarle con un colore. Riprendiamo l’esempio di un fiume dove uno lascia una goccia di inchiostro ed è in grado per un certo tratto di seguirla, questa si chiama particella materiale.

E la traiettoria è il luogo dei punti che istante dopo istante sono occupati da questa particella. L’insieme di punti rappresenta una particella materiale, dove questo aggettivo ‘materiale’ significa che è formato sempre dalla stessa materiale. Immaginiamo che evolva e che l’insieme dei punti occupati istanti dopo istante sono una traiettoria.

Come si fa a fare un esperimento per determinare una traiettoria? Possiamo prendere un flusso, ad esempio acqua, mettere dentro una particella riflettente, nell’acqua si usa na pallina di vetro cavo ricoperta di argento e poi con una macchina fotografica a lunga esposizione, questa particella, investita dalla luce, lascerà impressa sulla pellicola fotografica la traiettoria, l’insieme dei punti che la particella ha assunto.

Se volessimo con una tecnica analoga disegnare invece le linee di corrente, invece di una particella ne prendiamo diverse e diminuire il tempo di esposizione. A tempo di esposizione diminuito, queste particelle, anziché tracciare un’intera traiettoria, percorrono un tratto piccolo, che potrebbe essere approssimato con un segmento di retta, che potrebbe rappresentare il vettore velocità sia per modulo, sia per direzione e partire da quello con un grafico si potrebbe risalire ad una linea di inviluppo.

Che cos’è un tubo di flusso?

Che caratteristica ha il tubo di flusso?

Come diventa la velocità del fluido se i tubi divergono? E se i tubi si restringono?

Il tubo di flusso. Si prende un dominio di flusso di nostro interesse; immaginiamo di avere una regione bianca dove stiamo studiando il nostro flusso, in cui possiamo scegliere una qualsiasi linea chiusa, è una linea che vive nello spazio tridimensionale, ad esempio una cordicella chiusa lanciata per aria, può avere una forma tridimensionale e poi per ciascun punto di questa linea chiusa, iniziamo a disegnare le linee di corrente.

Una proprietà del tubo di flusso è che si comporta come un tubo, ovvero conservando la massa. Se io ad un certo punto della storia di questo tubo di flusso osservo che lì dentro c’è una certa particella materiale, cioè che la caratteristica di essere identificabile per via dell’inchiostro di prima, la particella è costretta a rimanere nel tubo di flusso per sempre. Come faccio a dimostrarlo? Se non fosse così, ad un certo punto una parte di materiale che era nel tubo di flusso uscisse, significherebbe che su questa materia era applicato un campo  di moto che aveva una componente ortogonale alla superficie del tubo di flusso, il che non può essere, per via della definizione stessa delle linee di corrente. Nelle linee di corrente il campo di velocità è sempre parallelo alle linee di corrente, quindi se una certa particella che sappiamo distinguere per una sua qualsiasi caratteristica, ad un certo punto dentro un tubo di flusso, rimarrà dentro. È una caratteristica importante, perché se i tubi divergono, diventano di sezione maggiore, allora lì il fluido dovrà diminuire la sua velocità. Al contrario, se invece osserveremo che i tubi di flusso cominciano a convergere, a restringersi, lì dovremo osservare che la velocità media aumenta, sempre per via della conservazione della massa.

I tubi di flusso sono una cosa immateriale che definisco a partire da una qualsiasi linea chiusa del mio dominio di calcolo, ma che si comportano come un vero e proprio tubo.

Come può essere il punto di vista?

Che tipo di derivate devo usare?


Facciamo un esempio che ci faccia capire la necessità di fare delle valutazioni rispetto al punto di vista spaziale e quello referenziale. Il punto di vista spaziale è il nostro solito punto di vista, se noi dovessimo descrivere il flusso vicino alla vettura, nel modo più accurato possibile potremmo identificare punto per punto il flusso attorno alla vettura e in ciascuno di questi punti potremmo definire la pressione e il vettore velocità in funzione del tempo.

Facciamo un disegno. Io ho una vettura in una galleria del vento, quindi il sistema di riferimento potrebbe essere il sistema di riferimento dell’operatore della galleria del vento. Identifichiamo un punto, abbiamo il vettore posizione e la conoscenza del campo di velocità di questo punto all’istante t e la conoscenza del campo di pressione in quel punto all’istante t è il punto di vista spaziale sul nostro fenomeno. Uno potrebbe pensare che questa è la conoscenza più completa di cui ho bisogno del campo di moto attorno a questa vettura.

Prendiamo sempre la nostra vettura. Possiamo pensare che ha un basso numero di Reynolds e quindi a bassa velocità, per alcune condizioni, può avvenire che questo flusso sia di tipo stazionario, cioè metto un misuratore di velocità in un punto e valuto che in quel punto la velocità non cambia più nel tempo, quindi ∂*/∂t = 0. Proviamo a pensare alle forze applicate in un punto. Posso applicare sicuramente la seconda legge di Newton, che mi dice che le forze applicate in quel punto F sono uguali alla derivata nel tempo della quantità di moto. La massa di questa particella può essere considerata costante; le forze applicate sono la massa per la derivata della velocità nel tempo. Ho appena fatto l’ipotesi che questo fenomeno a basso Reynolds sia stazionario. Tutte le derivate sono 0? Sì perché è l’ipotesi, la derivata della velocità nel tempo è zero, perché se metto un anemometro, la velocità rimane costante e ottengo che su quella particella non sono applicate forze. Questa particella lungo questa traiettoria rallenterà, ad un certo punto arriverà a velocità nulla sulla parete, poi percorrerà il percorso nella parte superiore e inferiore della vettura. Che cosa ho sbagliato? Newton parla di una particella di piccole dimensioni, ma di massa finita e delle forze applicate su questa particella, m è la massa della particella e questo dv/dt non deve essere interpretato come la variazione locale della velocità nel tempo è uguale a zero, che per definizione è zero. Dobbiamo interpretare quella derivata  nel tempo della velocità, come la velocità della particella. Il punto di vista referenziale, quello a cui siamo abituati non va bene, perché con quello non sono in grado di seguire le particelle.

E’ come se ci fossero due derivate diverse, se ho un campo di velocità v e dico che v la definisco in una certa posizione x e all’istante t, calcolo la derivata nel tempo di v che dipende sempre da x e da t, posso avere valore nullo e ho un caso stazionario, se il valore è diverso da zero, ho un caso non stazionario.

Posso usare questa derivata locale della velocità nel tempo nell’equazione di Newton? No, perché x è fissa. Newton chiede di seguire la particella mentre si fa la derivata della velocità nel tempo.

C’è l’altra derivata indicata con la D maiuscola. Significa che questa derivata non è più la derivata nel tempo del campo di velocità, ma è una derivata seguendo la particella. Si deve dare un’identità alla particella di cui si calcola la derivata nel tempo e l’identità è la sua posizione x₀ all’istante di riferimento t₀, quindi queste derivate d o D si chiamano derivate materiali perché seguono le particelle e si possono usare per scrivere l’equazione di Newton. Le equazioni del moto dei fluidi si scriveranno partendo dalle nozioni base della meccanica.


  • Nel punto di vista spaziale, prendo un campo di moto e lo descrivo con la sua velocità e la sua pressione in ciascun punto del campo.

  • Nel punto di vista referenziale faccio riferimento ad una configurazione dell’istante t₀, l’istante t₀ è l’istante in cui io dò i nomi a tutte le particelle attraverso le loro posizioni all’istante t₀ e poi descrivo il campo a seconda della posizione, della velocità e l’accelerazione delle particelle in tutti gli istanti successivi.


Come faccio a scrivere in termini matematici una derivata nel tempo che sia sufficiente per scrivere la legge di Newton?

Si dimostra che la derivata dello scalare 𝜑, seguendo la particella, immaginiamo che 𝜑 possa essere la densità della particella, quindi valuto la variazione della densità di questa particella materiale mentre evolve; è diversa rispetto alla variazione della densità locale. Quindi D𝜑/Dt è uguale alla derivata locale della quantità scalare + il vettore v che moltiplica il gradiente 𝜑. Quest’ultimo termine è il prodotto scalare del vettore velocità che è composto da tre componenti per il gradiente di 𝜑 che è composto da tre componenti.

Ma noi avevamo bisogno dell’accelerazione, l’accelerazione è uguale, nel senso che  sostituisco a 𝜑, volta per volta, ciascuna delle componenti del campo di velocità. Posso scrivere per la u, per la generica componente i-esima di u con i che va da 1 a 3, oppure l’accelerazione della particella è pari alla derivata locale del vettore velocità. Questa nuova equazione, a differenza delle altre, è un’equazione vettoriale ed è composta da tre componenti + una notazione che significa che il gradiente viene applicato volta per volta alle tre componenti del campo di velocità.

Torniamo al caso della particella vicina alla vettura. Lì il caso è stazionario. Posso dire che la sua accelerazione è 0? Vado a vedere l’espressione dell’accelerazione secondo il punto di vista referenziale è osservo, il primo termine, quello della variazione locale nel tempo del campo di velocità sarà zero, perché il caso è stazionario. Il secondo termine, che ha a che fare con il gradiente del campo di velocità, che si chiama il termine di trascinamento ed è quello che fa la differenza tra la derivata locale e la derivata materiale, fa 0, perché lì il gradiente di velocità sarebbe uguale a zero. La particella mentre si avvicina a questa vettura ad un certo punto dovrà rallentare e dovrà deviare, scegliere se andare sulla superficie superiore o su quella inferiore della carrozzeria, quindi ci sarà una derivata del campo di velocità, quindi quel gradiente di velocità sarebbe uguale a zero.

Per la derivata materiale, quindi seguendo le particelle, con i mezzi del punto di vista referenziale, quindi con i nostri mezzi matematici e fisici, dove per noi noi la velocità è definita in un certo istante e in un certo punto, quegli strumenti ci possono servire anche per rappresentare la derivata materiale, cioè fatta seguendo le particelle. 

Che differenza c’è tra volume materiale e volume di controllo?

Cosa succede se applico al volume di controllo l’idea che i suoi contorni si muovono con il campo di velocità del fluido?


  • Identifichiamo nel nostro campo di moto una regione fatta di particelle con tutte una certa velocità e seguiamo l’identità di queste particelle mentre evolvono in un campo di moto. Prendo un volume all’istante t₀, dopo un po’ queste stesse particelle con le loro identità si trovano in un’altra posizione all’istante t₀ + Δt e questa è la definizione di volume materiale, cioè una regione che mantiene la sua identità con il progresso del tempo. Il volume materiale è impermeabile, nel senso che non passa nessuna materia attraverso i suoi contorni.

  • Il volume di controllo è definito come una regione del nostro campo di interesse che può avere una qualsiasi forma, uno potrebbe disegnarlo come un cubo o una pietra. È una certa regione di spazio del nostro dominio di interesse che è permeabile, che rimane in una posizione e le linee di corrente lo attraversano senza essere influenzate dalla presenza di questo volume. Il volume di controllo è come se dovesse avere per forza le pareti fisse nel tempo, in realtà si possono anche muovere con una certa legge. Si determina una regione del nostro dominio di flusso e quello è il mio volume di controllo. Dal punto di vista pratico, si potrebbe delimitare una regione con delle lame di luce, con 6 luci laser a formati lama, si può delimitare un parallelepipedo. La presenza di questa luce non influenza il flusso e attraverso queste 6 lame di luce, il flusso può passare. 

Se decidessi di applicare ad un volume di controllo l’idea che i suoi contorni si muovono con il campo di velocità del fluido, avrei definito un volume di controllo che è impermeabile è che è un volume materiale.

Che cos’è il flusso?

Come si scrive il flusso di massa attraverso una superficie?

Che cosa succede quando v ed n sono allineati?

Che cosa succede quando sono ortogonali?

E se sono opposti?

Il volume di controllo è permeabile e quindi si può calcolare la quantità di massa per unità di tempo che passa per le sue superfici. Questo si fa attraverso un’operazione matematica che si chiama flusso.

Definiamo una superficie che può avere una forma qualsiasi, ma immaginiamo una forma tridimensionale nello spazio, non deve per forza essere contenuta in un piano. In ciascuno dei punti di questa superficie possiamo definire il vettore normale, caratterizzato da un modulo unitario e direzione ortogonale alla superficie.

Il flusso di massa attraverso questa superficie avrà questa espressione matematica, integrale sulla superficie S di ρ v n dS e si misura in kg/s. Il significato è che punto per punto prendo il campo di velocità, la normale, li moltiplico scalarmente, moltiplico per la densità e per la superficie infinitesima e lì calcolo il contributo infinitesimo al passaggio della massa nella superficie.

Se v ed n sono perfettamente allineati, tutta la velocità contribuisce a trasportare massa, se sono ortogonali, il campo di moto non trasporterà in effetti massa da una parte all’altra della superficie, semplicemente la fa scorrere lungo la superficie.

Se sono opposti avrò una quantità negativa e quindi significa che la definizione della definizione della normale è una questione importante, perché se definisco la normale in un certo senso, la portata in massa diventerà positiva, se la definisco in un altro senso, avrò tutti i segni cambiati.

Nei volumi di controllo la normale viene definita sempre come diretta verso l’esterno. Il volume di controllo è una superficie chiusa, di cui so distinguere bene l’interno e l’esterno, la normale del volume del controllo è sempre definita verso l’esterno.

Come si scrive il flusso di azoto attraverso una superficie?

E quello di energia termica?

E quello di quantità di moto?


Posso costruire altri di questi flussi? Sì, potrei definire una grandezza scalare 𝜑 come la concentrazione di un componente nella mia miscela. Per esempio, l’aria è una miscela di vari gas, c’è azoto, ossigeno, argon, elio; se la concentrazione locale 𝜑 in massa fosse la concentrazione di azoto (N₂), potrei calcolare il flusso di azoto attraverso questa superficie, facendo l’integrale sulla superbie di ρ 𝜑 v n dS. 𝜑 è il rapporto tra la massa di azoto e la massa totale e ρ sono i kg totali o il volume dell’aria.

Potrei calcolare il flusso di energia termica attraverso una certa superficie per effetti convettivi. Quindi è l’integrale sulla superficie di ρ c T v n dS, dove c è il calore specifico e T è la temperatura e si misura in W (J/s) ed è l’energia termica che nell’unità di tempo passa attraverso quella superficie attraverso lo stesso passaggio di materia.

Tutti questi flussi sono flussi di tipo scalare; posso definire anche un flusso di tipo vettoriale che si chiama per esempio flusso di quantità di moto. La quantità di moto è il prodotto della massa per la velocità, è una quantità vettoriale e il flusso di quantità di moto attraverso la superficie S è ρ v per la quantità di moto specifica v per n in dS. 

Ora che abbiamo definito queste quantità e la differenza tra volume di controllo e volume materiale, possiamo vedere se c’è una relazione tra i flussi attraverso volumi di controllo e le variazioni delle quantità misurabili in un volume materiale.

Abbiamo fatto l’esempio con lo scalare 𝜑, dove lo scalare 𝜑 rappresentava la concentrazione di uno dei componenti della nostra miscela di fluidi sul totale. È solo per esempio la concentrazione di azoto nell’aria, può rappresentare una delle componenti di velocità e allora tre di queste equazioni andrebbero a costituire il flusso di quantità di moto attraverso la superficie, 𝜑 potrebbe rappresentare il prodotto del calore specifico per la temperatura e allora avrei il flusso di energia termica attraverso la superficie, oppure qualsiasi altra cosa che viene trasportata dentro ad un fluido.


Che cosa dice il teorema del trasporto di Reynolds?

Che differenza c’è tra l’approccio con il volume materiale e quello con il volume di controllo?

Ora possiamo valutare la relazione che c’è tra la variazione nel tempo di ρ 𝜑, valutata nel volume materiale e la variazione nel tempo di ρ 𝜑 in un volume di controllo. La risposta a questa domanda l’ha data nella metà dell’Ottocento Reynolds, che dice che c’è un legame tra queste due quantità; io valuto la variazione del prodotto ρ 𝜑, che potrebbe essere la variazione della quantità di azoto in un volume materiale rispetto al volume di controllo, la differenza tra i due sarà, visto che uno dei due è impermeabile e l’altro è permeabile sarà il flusso di questa quantità.

Il teorema del trasporto di Reynolds dice che la variazione nel tempo di ρ 𝜑 in un volume materiale è pari alla variazione nel tempo di 𝜑 nel volume di controllo, che all’istante t coincide con il volume materiale di prima + i flussi. Esiste anche una dimostrazione che parte da un teorema che si chiama teorema di Leibniz, però non la facciamo. Prendo una regione di spazio all’interno del nostro volume dove avviene il motto del fluido in un certo istante t.

E dico, questa regione di spazio la considero prima di tutto un volume materiale e quindi seguo la sua evoluzione nel tempo. In un’altra fase, la stessa regione di spazio, nello stesso istante la considero un volume di controllo e quindi è possibile che i flussi di ρ 𝜑 entrino ed escano da questa regione. Io voglio valutare la variazione nel tempo di questa quantità ρ 𝜑, che potrebbe nel nostro esempio rappresentare la massa di azoto nel volume. E dico che differenza c’è tra i due approcci? La differenza è il flusso, perché uno die due volumi è permeabile e l’altro no.  

Che cos’è il tensore della velocità di deformazione?

Quali sono le deformazioni elementari?

La deformazione dei volumi materiali è come si deformano le particelle di fluido quando queste sono nell’ambito di un flusso. Le particelle di fluido, quindi le regioni formate sempre dalla stessa materia, tendono a deformarsi in alcuni modi che possono essere studiati. Anche se queste materie sembrano una staccata dall’altra, in realtà sono strumenti per lo studio della meccanica dei flussi.

Definiremo quindi il tensore della deformazione, come si chiama in italiano. Vedremo dallo studio delle unità di misura che lo descrivono, che si chiama tensore della velocità di deformazione, perché non descrive semplicemente la deformazione di un elemento, ma la deformazione di un elemento per unità di tempo, quindi è più corretto chiamarlo tensore della velocità di deformazione. 

In inglese si chiama rate of deformation tensor, dove rate significa rateo, la quantità per unità.

Si indica con una S maiuscola con sopra due sbarre e ha come unità di misura l’inverso del secondo, oppure a volte anche il rad/s.


L’idea è che proviamo a seguire le evoluzioni, le deformazioni di un elemento che inizialmente ha per esempio la forma quadrata. Significa che prendo un flusso che avviene in un piano e identifico una serie di particelle e le coloro di un certo colore. La deformazione generica può essere varia, però negli studi si suddividono in deformazioni elementari:

  1. Se prendo quel rettangolo e lo fotografo ad un istante t₀, poco dopo lo trovo identico e spostato da un’altra parte, mantenendo le facce sempre parallele a se stesse, la chiamo traslazione pura.

  2. Poi c’è la rotazione pura, dove fisso un punto e vedo che l’elemento si ruota.

  3. Poi ci sono le deformazioni a taglio; gli angoli che inizialmente erano rettangoli cambiano, alcuni angoli diventano acuti, altri ottusi e quindi dal rettangolo di partenza, la situazione successiva sarà una forma a parallelogramma.

  4. Poi ci sono altri tipi di deformazione base e si chiamano dilatazione e la contrazione.

Se ho un elemento fluido all’istante t₀ e un fluido all’istante t₀ + Δt, se il volume dei due elementi fluidi è uguale, potrei dire che lì almeno la densità è rimasta costante, se varia, dovrò dire che la densità è variabile. Per esempio nel primo caso, c’è una specie di compensazione con diminuzione dello spessore in direzione y.

Nel caso più generale, gli elementi fluidi si trasformano sovrapponendo tutte queste cose, ci sarà una rotazione con traslazione e dilatazione tutti insieme.

Come si ottiene un componente del tensore della velocità di deformazione?

Che ipotesi abbiamo fatto?

Definiamo l’asse x e l’asse y e proviamo ad immaginare questo lato che inizialmente era orizzontale, ruoti. La trasformazione del lato può far parte o di una rotazione o di una deformazione a taglio. Studiamo come si può esprimere questa variazione.

Definiamo ϑ₁ costante. Nell’ambito di un sistema di riferimento come quello che abbiamo disegnato, le rotazioni positive sono quelle che sovrappongono l’asse x all’asse y, quindi antiorarie e ϑ₁ è l’angolo che devo studiare. Vorremmo scrivere un legame tra ϑ₁ punto, quindi la variazione nel tempo di quest’angolo e il campo di velocità locale. L’idea è che vorremmo scrivere il tensore della velocità di deformazione

Si definisce deformazione a taglio, per esempio S₁₂ ϑ₁ punto - ϑ₂ punto, diviso 2. ϑ₂ è la variazione del secondo angolo di questo disegno. Vorremo calcolare ϑ₁ punto o ϑ₂ punto. ϑ₁ secondo il disegno sarà pari all’arcotangente di questo tratto che possiamo chiamare Δy, diviso 𝓁, che sarà la lunghezza di questo segmento. Quello che ci siamo proposti di fare è di rappresentare ϑ₁ attraverso il campo di velocità. Se Δy è positivo, sarà dovuto al fatto che c’è un campo di velocità di direzione y, c’è una v, una seconda componente del vettore velocità che è più grande per gli x più grandi rispetto a x = 0.

Vuol dire che v avrà un certo valore e sarà più grande in questa regione, per quello ha cominciato a ruotare in quel modo e allora ci viene in mente di poter utilizzare l’espansione in serie di Taylor, che ci permette di scrivere la differenza tra questi due campi di velocità. Se io devo valutare ϑ₁ punto per sostituirlo in quella definizione, dovrò andare a studiare le variazioni Δy nel tempo. Per fare questo ho espanso che lo strumento ideale è l’espansione in serie di Taylor e allora ho espanso in serie di Taylor la seconda componente del campo di velocità v e ho calcolato la variazione della seconda componente del campo di velocità. A questo punto mi servirà ϑ₁ punto, parto dall’espressione di ϑ₁, dico che faccio queste operazioni per piccoli intervalli di tempo e quindi quelle variazioni di angoli saranno sempre più piccoli.

La tangente di un angolo è circa pari all’angolo espresso in radianti e la variazione dell’angolo è pari alla variazione del campo di velocità diviso 𝓁. A questo punto con conti analoghi possiamo scrivere anche ∂u/∂x.

So che ϑ₁ punto è pari a ∂v/∂x e se voglio scrivere ϑ₂ punto, sarà -∂u/∂y. Se ϑ₁ punto che è positivo quando ho rotazioni in quella direzione, è dovuto ad una variazione positiva del secondo componente del campo di velocità in questa direzione, cioè se ϑ₁ è positivo, qui ho un angolo più piccolo, quando considero ϑ₂, avrò a che fare con le variazioni di u. Se ∂u in ∂y è positivo, avrò una rotazione negativa che non esisteste, allora ϑ₂ sarà per forza negativa.

Allora sono riuscita ad andare a costruire il tensore della velocità di deformazione.

Abbiamo scritto che S₁₂, cioè componente nel posto 1ª riga, 2ª colonna del tensore come ϑ₁ punto - ϑ₂ punto, diviso 2. Si fa questa approssimazione che vale per i piccoli angoli e si dice che la tangente dell’angolo è circa uguale all’angolo e a questo punto si perde il significato e anche l’abitudine di scrivere che questa quantità sia espressa in rad/s.

Le ipotesi sono le seguenti, la prima è che gli angoli siano piccoli e che quindi queste deformazioni vengono colte ogni volta nella prima fase del loro sviluppo e quindi sempre in passi di tempo piccoli. Inoltre abbiamo utilizzato anche l’espansione in serie di Taylor troncata al 1° ordine, che significa che abbiamo fatto delle ipotesi per cui il profilo di velocità, in particolare dentro al campo di velocità, ma comunque abbiamo fatto l’ipotesi che il profilo di velocità sia localmente linearizzabile, questo significa usare l’espansione in serie di Taylor. Ogni volta che invece di valutare la variazione di una funzione, si moltiplica la sua derivata per la variazione della coordinata o della variabile indipendente, localmente si linearizza.

I conti che abbiamo fatto valgono per Δt piccoli per via degli angoli e per spazi piccoli per via che solo negli spazi piccoli uno può pensare che il profilo di velocità sia linearizzabile come abbiamo fatto. Queste ipotesi riguardano solo la derivazione di questo tensore e una volta derivato il tensore, l’espressione del tensore sarà vera in generale. 

Con quel disegno bidimensionale che riportava un quadrato che rappresenta il nostro elemento fluido iniziale, poi avevamo definito ϑ₁ e ϑ₂ con la convenzione delle rotazioni positive in senso antiorario ed eravamo riuscivi a scrivere ϑ₁ punto e ϑ₂ punto. La velocità di quell’angolo ϑ₁ punto dipende dalla differenza di velocità tra la regione a sinistra del quadrato e la regione a destra del quadrato, la differenza della componente in x della velocità.

La stessa cosa per ϑ₂ punto, se dobbiamo pensare alla velocità di progresso dell’angolo ϑ₂ che abbiamo disegnato, dovrà dipendere dalla differenza tra la componente x della velocità nella parte più bassa di quel quadratino e la parte più alta e il meno indica il fatto che le rotazione positive, dato che devono essere antiorarie, per avere una rotazione positiva devo avere una velocità più bassa in direzione y.

È ovvio scrivere il tensore della velocità di deformazione, almeno quella componente S₁₂, pari a ½ per ∂u/∂y + ∂v/∂x e in generale il termine Sij sarà come nella formula, quindi possiamo immaginare un altro tensore della velocità della deformazione fatto così.

Come si scrivre il tensore della velocità di deformazione?

Che significato hanno i termini fuori dalla diagonale?

E quelli dentro alla diagonale?

Che cos’è il tensore deviatorico?

Sulla diagonale principale avremo ∂u/∂x, ∂v/∂y e ∂w/∂z, poi al posto 1,2 avremo l’espressione ricavata prima e così via.

Questo tensore ha la proprietà di essere un tensore di tipo simmetrico. Dal punto di vista dell’interpretazione di questo tensore, la prima idea che ci viene in mente è che prima di tutto è un tensore, quindi significa che esprime qualcosa che né uno scalare, né un vettore può esprimere. Quindi esprime deformazioni degli elementi fluidi che non dipendono solo dal punto e dal tempo dove avvengono, dipendono anche dalla giacitura delle superfici su cui si osservano e la giacitura della superficie è rappresentata attraverso un tensore. Si osserva che negli elementi fuori dalla diagonale, che sono simmetrici, si rappresentano le deformazioni dovute agli sforzi per taglio. Abbiamo già capito il significato del termine 1,2; il significato del termine 1,3 e del termine 3,2 o 2,3 è simile, solo che invece che essere osservato nel piano xy, è osservato volta per volta nel piano zx oppure nel piano yz.

Vedremo questo elemento fluido, che inizialmente è quadrato oppure rettangolare, che si deforma. Questo è il significato dei termini fuori dalla diagonale.

I termini dentro alla diagonale hanno un altro significato; prendiamo ad esempio il primo termine ∂u/∂x e immaginiamo di applicare un campo di moto su un elemento fluido. La u sarà il primo componente del campo di velocità nella direzione x e immaginiamo che effetto può avere ∂u/∂x > 0 in un elemento di questo tipo. Significa che nella parte sinistra del nostro elemento, avremo un certo valore del campo di velocità. Nella parte destra avremo una prima componente del campo di velocità un po’ più grande, ∂u/∂x > 0, che significa che quell’elementino dopo un po' tenderà ad estendersi in direzione x, ad allungarsi, poi questa cosa potrà avvenire con densità costante e quindi avremo come configurazione finale qualcosa di questo tipo, dove se la densità è costante, quest’area dovrà essere questa, oppure potrebbe avvenire a densità che diminuisce. Quindi ∂u/∂x positivo significa che c’è una dilatazione nella direzione x. Per ∂v/∂y avremo una dilatazione verso l’alto nella direzione y e dw/∂z avremo una dilatazione nella terza direzione.

Significa che questo tensore che abbiamo costruito, tiene conto di alcune delle deformazioni elementari che abbiamo descritto, in particolare nei termini fuori dalla diagonale ci sono le deformazioni dovuti agli sforzi di taglio, quindi deformazioni di taglio o tangenziali, invece i termini sulle diagonali tengono conto delle deformazioni assiali e quindi degli sforzi di tipo assiale, tipo la pressione, che premono o che tirano in direzione normale alla superficie l’elemento fluido che stiamo considerando.

La matrice diagonale è una matrice che ha tutti i valori zero a parte i valori non nulli sulla diagonale, per il tensore vale la stessa cosa e il tensore deviatorico è un tensore che non serve che abbia ciascun elemento sulle diagonali uguale a zero, ma la somma degli elementi della diagonale, che viene anche detta traccia, deve essere nulla. Qui ci viene il sospetto, se guardiamo la forma del nostro tensore, che ogni volta che questo tensore è deviatorico, la densità sarà costante. Abbiamo questi tre termini sulla diagonale, che rappresentano la deformazione nelle tre direzioni, se io voglio mantenere la densità costante, devo mantenere un bilanciamento tra un’eventuale dilatazione in x con una contrazione in y o in z, che significa che quei tre termini dovranno essere come somma nulli.

Perché serve il tensore della velocità di deformazione?

Perché nei fluidi Newtoniani o in generale nei fluidi, si sospetta che gli sforzi applicati siano legati alle deformazioni che questi provocano e per i fluidi newtoniani, che in realtà sono la maggior parte dei fluidi con cui abbiamo a che fare, le forze applicate siano proporzionali alle deformazioni che si osservano, esattamente come una molla. La legge di Hooke dice che se io applico su una molla una forza, la deformazione di questa molla sarà esattamente proporzionale con la rigidezza della molla come costante di proporzionalità, che moltiplicata per la deformazione mi dà la forza applicata sulla molla. Qui non esiste solo la deformazione assiale, ma esistono anche le deformazioni di taglio, però l’idea è la stessa. L’idea è che si possa scrivere per un fluido una relazione tra gli sforzi e le deformazioni che in caso di fluido newtoniano siano relazioni di tipo lineare. 

Aria, acqua, quasi tutti i fluidi di interesse ingegneristico hanno questa caratteristica e se non ce l’hanno, con ottima approssimazione. È un modello, non è che se prendiamo una molla, lei si comporta in modo lineare. Lei si comporta con approssimazioni in modo lineare, solo che questa approssimazione è così buona che gli uomini si illudono che la legge sia esattamente lineare. Stessa cosa vale per il fluido; anche il fluido newtoniano si comporterà con ottima approssimazione in modo newtoniano e non lo sarà mai, perché stiamo parlando di questioni che avvengono a livello microscopico che sono molto più complesse di una funzione lineare. Ci sono dei fluidi che si lasciano approssimare poco facilmente dal comportamento newtoniano, ad esempio il sangue (flusso del sangue nelle arterie) e poi le vernici, i fanghi e i fluidi che hanno a che fare con l’industria alimentare (miele, farina impastata con l’acqua) non si comportano in maniera newtoniana.

Quali sono le ipotesi di Stokes?

Che espressione matematica si ottiene?

Che cos’è il δ di cronaca?

Che cosa succede nel caso in cui la densità sia costante?

Che cosa significa che il tensore è deviatorico?

Nella fine del 17° Secolo, ci sono stati degli studiosi inglesi e francesi che hanno iniziato a lavorare ad un’espressione del tensore degli sforzi. Come si fa a scrivere il tensore degli sforzi del fluido? Stokes ha stabilito 3 ipotesi (postulati) che dettano le leggi di come dev’essere fatto il tensore degli sforzi. Seguendo questi tre postulati, si può scrivere il tensore degli sforzi. 

  1. La prima ipotesi (postulato) dice che, sono sicuro che il fluido nel caso in cui sia in condizioni statiche, quindi se la velocità è nulla dappertutto, allora il tensore degli sforzi dovrà ricondursi al tensore della statica. Il tensore degli sforzi della statica è un tensore diagonale, con -p nella diagonale principale. Se nel caso dinamico cado nel caso particolare della statica, il tensore del caso dinamico con velocità nulla dovrà ricondursi a questo. Succede così sempre, quando arriva una nuova teoria o può rimpiazzare quella precedente, oppure inglobarla come il caso più generale di quella precedente. Questo è il secondo caso, la teoria della relatività di Einstein non è che dice che la meccanica classica è tutta sbagliata, dice che per basse velocità, la meccanica classica vale. I sarebbe in tensore identità. 

  2. La seconda ipotesi dice che gli sforzi sono una funzione lineare delle deformazioni.

  3. La terza ipotesi dice che il legame tra gli sforzi e le deformazioni non può dipendere dalla direzione, il che significa che il legame tra sforzo (T) e deformazione (S) è di tipo isotropico (non dipende dalla direzione). Dal punto di vista pratico significa che se ho un cubetto di cemento fluido, lo sollecito in una certa direzione e lui si deformerà. Se cambia direzione questo cubetto, lo sollecito, troverò lo stesso legame tra sforzo e deformazione.

Queste tre ipotesi sono sufficienti per ottenere un’espressione matematica univoca del tensore degli sforzi. Il tensore degli sforzi si indica con T con due sbarre sopra e ha come termine generico questo. Il delta di cronaca è un numero con due pedici che fa 0 se i due pedici sono diversi e 1 se i due pedici cono uguali. Questo numero può essere considerato anche il tensore unitario. Quindi questa prima parte dice, il tensore degli sforzi in parte ricalca la statica. Se noi vorremmo tutti i termini che devo raggiungere, il termine che devo raggiungere devono andare a zero per rispettare la prima ipotesi.

Poi abbiamo introdotto la proporzionalità con il tensore delle deformazioni e μ è il coefficiente di proporzionalità che si chiama viscosità (che si esprime in Pa per s) e ha a che fare con il legame tra gli sforzi a taglio e le deformazioni a taglio, cioè gli sforzi assiali e le deformazioni assiali non sono rappresentati da questo termine, nonostante il termine Sii sia diverso da zero. E poi c’è un termine che introduce il secondo coefficiente di viscosità, la divergenza del campo di velocità è definita nel sistema di coordinate cartesiane in questo modo, è pari alla traccia del tensore della velocità di deformazione.

Quindi il terzo termine del tensore degli sforzi include il termine λ, che è il secondo coefficiente di viscosità ed è quello che lega gli sforzi alle deformazioni in direzione assiale, le divergenze del campo di velocità sono quelle espresse in quel modo, pari alla traccia del tensore delle velocità di deformazione e quando la densità è costante, la divergenza del campo di velocità dovrebbe essere nulla e poi c’è δij, il delta di cronaca che può essere interpretato anche come un tensore unitario, che seleziona il fatto che quel termine potrà essere diverso da 0, esclusivamente sulla diagonale del tensore.

E così questa scrittura viene considerata l’unica possibile che rispetta le tre ipotesi. Rispetta il fatto che il tensore diventa il tensore della statica se le velocità sono ovunque nulle, perché il termine con μ e λ spariscono appena tutte le velocità sono uniformemente nulle e rispetta il fatto che c’è proporzionalità tra sforzi e deformazioni attraverso i due coefficienti di proporzionalità μ e λ e rispetto al fatto che il legame tra sforzi e deformazioni è isotropo, perché nessuno ci dice come scegliere il sistema di riferimento e quindi abbiamo scritto il tensore degli sforzi in un fluido, a partire dal tensore delle velocità di deformazione. Questo termine, visto che sappiamo che Sij è pari a ½ per il resto, questo termine sarà pari alla viscosità.

Quando la densità è costante, che è uno dei casi più frequenti per le applicazioni ingegneristiche, a meno che non si tratti di progettare aeroplani. Quando la densità è costante, la divergenza del campo di velocità dev’essere nulla. Il tensore degli sforzi sarà composto da due termini, il termine delle pressioni e il termine degli sforzi di tipo tangenziali. Se pensiamo al fatto che il termine degli sforzi di tipo tangenziale è proporzionale al tensore delle velocità di deformazione, ci rendiamo conto che questo secondo termine è un termine di tipo deviatorico. Sij ha sulla diagonale le derivate ∂u/∂x, ∂v/∂y e ∂w/∂z, sommate queste, fanno la divergenza, ma la divergenza è 0.

Significa che questo tensore è scritto in modo molto preciso e attribuisce tutti gli sforzi assiali alla pressione, mentre se ci sono sforzi assiali dovuti ad una particolare espressione del tensore delle velocità di deformazione, questi sono 0 al netto.

Sulla diagonale principale, abbiamo tre termini che sono le derivate di ciascun componente del campo di velocità nella sua stessa direzione, la somma di quei tre termini è la divergenza, che per densità costante è zero e questo definisce il tensore della velocità di deformazione, come un tensore di tipo deviatorico, cioè la sua traccia è zero. Se S è deviatorico, visto che quella seconda parte del tensore degli sforzi è scritta come qualcosa di proporzionale a S, anche la seconda parte del tensore degli sforzi sarà deviatorico. Questo significa che uno potrebbe avere ∂u/∂x ≠ 0 e ∂v/∂y ≠ 0, l’importante è che quelle tre derivate si compensino e questo significa che tutti gli sforzi netti assiali, sono attribuibili alla pressione. Mentre se ci sono sforzi di tipo assiale che derivano dal secondo termine, quelli sono in un qualche modo bilanciati, al netto sono nulli. Se c’è uno sforzo che si chiama 2μ ∂u/∂x, ce ne sarà un altro uguale e opposto che si chiama 2μ ∂v/∂y, oppure 2μ ∂w/∂z.

È importante guardare questo argomento, pensando al teorema del Tetraedro di Cauchy. Cauchy diceva che se prendo un sistema di riferimento cartesiano, scelgo un piano orientato in maniera qualsiasi, questa è la normale, e se io voglio scrivere lo sforzo applicato su quel piano nel dintorni del punto origine degli assi, lo chiamo t ed è pari al tensore degli sforzi che moltiplica la normale n. Adesso so che se voglio sapere dentro ad un fluido che sforzi sono applicati in un fluido e su un piano che ha una certa normale, posso prendere il tensore degli sforzi in quel punto, lo moltiplico per la normale e ho un vettore t e questo vettore rappresenta gli sforzi applicati su quel piano. Questo vettore si potrà proiettare in due direzioni, nella direzione ortogonale al piano e quello sarà il contributo della pressione, il contributo degli sforzi normali e nella direzione tangenziale al piano e questo sarà il contributo degli sforzi tangenziali, che sono legati alla viscosità.

Come si ottiene l’equazione di conservazione della massa, usando il teorema del trasporto di Reynolds?

Che ipotesi devo fare?

Come si dimostra il risultato ottenuto?

Come diventa l’equazione nel caso di densità costante? Come sarà il campo di velocità?

Che cosa ottengo, recuperando il 1° Principio della termodinamica per sistemi aperti? Che differenza c’è?

L’abbiamo già scritta nella prima parte del corso, quando facevamo i sistemi aperti. Avevamo disegnato quel sistema con due regioni, dove nella prima parte c’era lo scambio termico e nella seconda lo scambio di energia meccanica. Avevamo scritto la derivata nel tempo della massa, contenuta in un volume di controllo, è pari a meno il flusso di massa uscente. Il risultato è uguale, solo che quello che scriviamo adesso è un risultato più generale e lo otterremo tenendo a mente il principio di conservazione della massa, cioè l’idea che la massa non si può né creare né distruggere in meccanica classica. Quindi prenderemo quel principio e lo applicheremo a delle equazioni che abbiamo già scritto, in particolare per la prima parte ci servirà il teorema del trasporto di Reynolds che abbiamo scritto.

Nella parte sinistra dell’equazione del teorema del trasporto di Reynolds, c’è la derivata materiale di D/Dt, integrale sul volume materiale di ρ 𝜑 in dV, uguale … Se fissassimo 𝜑 = 1, otterremmo la derivata materiale della massa contenuta nel nostro volume materiale. Questo integrale rappresenta l’integrale della densità nel volume materiale, quindi rappresenta la massa del volume materiale.

Come si può esprimere matematicamente questa idea della conservazione della massa? Possiamo usare l’idea del volume materiale come un volume che è caratterizzato dal contenere sempre la stessa materia, sempre le stesse molecole. Se il volume materiale ha questa proprietà, allora la derivata di integrale dev’essere zero, perché se non fosse 0 significherebbe che in questo volume impermeabile è sparita della massa, senza che abbia potuto attraversare i contorni di questo volume oppure si è aggiunta della massa senza che questa sia potuta arrivare attraverso i bordi. Quello che sappiamo dire a parole, ‘la massa non si crea e non si distrugge’ può essere espresso in forma matematica in questo modo.

Rimane l’espressione matematica che stava alla destra di quella equazione del teorema del trasporto di Reynolds e il fatto di essere certi che l’espressione a destra debba essere uguale a zero, per il fatto che a sinistra abbiamo riconosciuto, attraverso l’applicazione del principio, che la parte sinistra è uguale a zero. La parte destra del teorema del trasporto di Reynolds diceva che la derivata nel tempo dell’integrale sul volume di ρ (𝜑 = 1) dV + il termine dei flussi, che era l’integrale sulla superficie che contorna questo volume di ρ v • n dS e questa somma deve essere uguale a zero. 

Ora possiamo fare l’ipotesi di volume V fisso e possiamo introdurre questa derivata nel tempo dentro all’integrale, che si chiama proprietà di inversione dell’ordine di derivazione e integrazione. Visto che gli estremi sono gli stessi e poi le funzioni devono avere delle caratteristiche di regolarità, si può invertire e risulta questo. Possiamo applicare il teorema della divergenza a questo termine evidenziato con la parentesi e scrivere così.

A questo punto potremmo scrivere tutta l’espressione sotto un unico segno di integrale e con un teorema della matematica; da questo integrale uguale a 0, per via del volume d’integrazione, cioè il fatto che non abbiamo mai deciso in partenza di che forma e che qualità deve avere il volume di integrazione, vale che dev’essere zero anche l’argomento dell’integrale. E quella è l’equazione di conservazione della massa in termini differenziali, per densità costante o variabile.

Cerchiamo di capire come avviene questo passaggio. Abbiamo scritto queste equazioni su un volume qualsiasi, non abbiamo specificato in anticipo che forma o che caratteristiche debba avere questo volume. Quindi nel nostro dominio di interesse, quel V è arbitrario, oppure è generico. Allora arriviamo a dimostrare che l’integrale su un V generico è zero. Abbiamo concluso che allora anche l’espressione matematica dev’essere zero. Questo è vero non appena la funzione che stiamo integrando, quindi la derivata della divergenza ha delle caratteristiche di continuità, quindi dev’essere almeno continua.

Come si fa a dimostrare questo teorema? La dimostrazione come idea la facciamo con una funzione monodimensionale f(x) con le caratteristiche che f(x) è continua e si dimostra per assurdo.

Sappiamo che nel nostro intervallo, l’integrale di f(x) tra il limite inferiore e il limite superiore dell’intervallo è uguale a zero. Si può dimostrare per assurdo, cioè che io dovrei essere in grado di concludere che allora f(x) = 0 per ogni x. È vero? Si può provare a dimostrare per assurdo, quindi io nego la tesi, allora dico che c’è un x dove questa funzione è diversa da zero. Siccome la funzione è continua, devo ammettere che non solo in quel punto, ma in un intorno di quel punto la funzione sarà positiva per esempio.

Quindi lì intorno la funzione non può fare dei salti, quindi dovrà essere continua. Se è continua, allora posso individuare un intorno del punto dove ho ipotizzato che la funzione è diversa da zero, allora scelgo quel volume per fare l’integrale. Gli estremi di integrazione sono s (sinistro) e d (destro). Potrei scegliere questo intervallo per fare l’integrale e otterrei un valore diverso da zero e quindi sono caduta in contraddizione. Il fatto di contraddire la tesi, mi ha fatto contraddire l’ipotesi.

Quindi è vero che a partire dall’integrale di quell’espressione uguale a 0, l’espressione deve essere zero in ogni punto del nostro dominio. La prima cosa che ci interessa controllare è se è vera l’ipotesi di quell’idea che ci eravamo fatti che nel caso in cui la densità è costante, allora la divergenza del campo di velocità è nulla.

Prendiamo questa espressione e andiamo a studiarla. Nel caso in cui la densità sia costante, ∂ρ/∂t = 0. Inoltre, se la densità è costante, io posso prendere la densità, tirarla fuori dal segno della divergenza. Quindi se la densità è costante, l’equazione di conservazione della massa si scriverà come la divergenza del campo di velocità uguale a zero. Tutte quelle intuizioni che avevamo avuto, erano giuste. L’idea che la densità sia costante o l’ipotesi di densità costante, porta, insieme al principio di conservazione della massa, a concludere che il campo debba essere a divergenza nulla o di tipo solenoidale, cioè un campo caratterizzato da non avere delle linee del campo che si incontrano.

Inoltre, possiamo recuperare anche l’espressione che avevamo scritto quando trattavamo il primo principio della termodinamica per sistemi aperti. Avevamo preso un volume di controllo di questa forma, con un’ingresso e un’uscita, avevamo definito delle normali sempre dirette verso l’esterno nelle aperture e avevamo introdotto uno scambiatore di calore e una ventola, per attribuire un significato tecnico a questo volume di controllo. Avevamo detto che scrivere che la massa si conserva, si scrive con la variazione di massa del nostro sistema dev’essere pari alle somme dei flussi di massa, dove i flussi di massa si scrivono con la convenzione che la normale è sempre diretta verso l’esterno del volume di controllo.

Vediamo se riusciamo a scrivere quest’equazione, a partire da quella che abbiamo ottenuto oggi. L’integrale rappresenta la massa del volume di controllo, poi abbiamo la derivata nel tempo della massa del volume di controllo; c’è la derivata parziale perché così sono stata in grado di metterla dentro all’integrale, però dipende solo con il tempo. Questo primo termine lo posso scrivere dm/dt, la variazione della massa del volume di controllo e gli altri termini = - integrale sulla superficie, che sarebbe tutta la superficie di contorno, di ρ v • n dS e l’unica differenza che c’è con questa espressione è che nell’espressione del primo principio della termodinamica per sistemi aperti, avevamo spezzato l’integrale, riconoscendo che non c’è contributo all’integrale su questi contorni solidi.

Sui contorni solidi, essendo impermeabili, è inutile scrivere il flusso di massa, scelgo di scriverli esclusivamente attraverso le aperture. E allora l’integrale che c’è scritto ora, rappresenta tutto il flusso di massa su tutta la superficie; se io riconosco che sono solo le aperture, farò una somma sui piccoli integrali, fatti solo sulle aperture, delle stesse cose. E quindi quell’espressione che avevamo ricavato attraverso l’intuizione, è la stessa che abbiamo ottenuto oggi, utilizzando il teorema del trasporto di Reynolds e il principio che dice che la massa si conserva.

Abbiamo scritto finalmente l’equazione di conservazione della massa per i fluidi e in particolare l’equazione di conservazione della massa ha questa espressione per il caso di densità non costante e per il caso di densità costante, dice che il campo di velocità deve essere a divergenza nulla, oppure è un campo di tipo solenoidale. Questa non è l’unica equazione di governo dei fluidi, esiste un’altra equazione, che si chiama equazione del bilancio della quantità di moto o equazione di Navier-Stokes.

Come si scrive la 2ª legge di Newton, estesa ai mezzi continui?

Le forze interne sono incluse? E quelle esterne?

Che cosa sono le forze di superficie? E quelle di volume?

Come si scrive l’equazione del bilancio della quantità di moto in forma globale? E in forma locale?

Se c’è un’equazione più importante di tutte nella meccanica, è la 2ª legge di Newton, che dice che per un punto materiale, cioè per un corpo di estensione infinitesima ma di massa finita, quindi un piccolissimo corpo però con una massa misurabile, le forze applicate sono pari al prodotto della massa per l’accelerazione, oppure le forze applicate sono pari alla derivata nel tempo della quantità di moto di questo corpo. Per scrivere l’equazione del bilancio della quantità di moto di un fluido, si parte da lì.

Non siamo davanti ad un corpo di estensione infinitesima e di massa finita, siamo davanti a qualcosa di molto più complesso che è un fluido e l’estensione di quella legge di Newton ai mezzi continui, tra cui i fluidi con l’ipotesi del continuo, dice che la derivata materiale dell’integrale della quantità di moto su un volume materiale, è pari a tutte le forze applicate su quel fluido. Stiamo scrivendo qualcosa di simile alla seconda legge di Newton, anche se la seconda legge di Newton è molto limitata, perché fa l’ipotesi di punto materiale. Quindi si scrive che la derivata nel tempo del prodotto di m v è pari alla somma delle forze applicate sul punto materiale, l’estensione ai mezzi continui dice che la derivata nel tempo; abbiamo imparato quando abbiamo parlato del punto di vista spaziale e referenziale, che in altri contesti viene chiamato punto di vista galileiano o lagrangiano, abbiamo imparato che per applicare le equazioni di Newton, non ci basta esprimere la derivata nel tempo locale di qualcosa, ma dobbiamo scegliere di esprimere la deriva materiale di qualcosa, quindi la derivata seguendo le particelle.

Quindi abbiamo scritto la derivata nel tempo materiale seguendo le particelle della quantità di moto specifica ρ v, integrata sul volume materiale, quindi della quantità di moto. Le due equazioni sono perfettamente sovrapponibili; la seconda è la versione estesa di questa legge di Newton. Nella parte destra dovremmo scrivere tutte le forze applicate sul nostro volume e le potremo suddividere in forze di superficie e forze di volume.


Dobbiamo includere in questa equazione anche le forze interne, cioè le forze che all’interno di questo volume di controllo che abbiamo scelto, che una parte del fluido applica su un’altra parte del fluido entrante interna? No, perché il principio di azione e reazione che se c’è un corpo, oppure anche un gruppo di molecole che applica una forza su un’altro corpo, quest’altro corpo reagirà con una forza uguale e opposta. Significa che a due a due queste forze interne si elidono tra di loro e quindi non vengono incluse. Allora su queste forze dovremo scrivere che sono tutte forze esterne.

Adesso cerchiamo di capire il significato di questa suddivisione tra le forze esterne di volume e le forze esterne di superficie. Abbiamo un volume, questo volume che nella parte sinistra dell’equazione viene indicato come volume materiale e stiamo considerando le forze applicate nel fluido, che è contenuto in questo volume materiale. Quando si parla di forze di superficie, si intende dire le forze che sono applicate sulla buccia, sulla superficie esterna. Quando si parla di forze di volume, sono forze e quindi dovrebbero essere espresse con dei vettori, sono forze che agiscono direttamente all’interno del fluido. Che forze dovremo includere nelle forze di volume?

La forza peso agisce a distanza, anche noi siamo soggetti alla gravità, ma questa è una forza che viene applicata sul nostro corpo senza avere a che fare con la nostra superficie esterna e non è una forza interna, è una forza esterna, perché ha bisogno di un’enorme massa che ci attira verso il centro, quindi la forza di volume sarà la forza peso. Potremo scrivere come l’integrale sul volume di ρ g dV.

Ci sono altre forze di volume di cui possiamo tener conto? Le forze inerziali potrebbero essere delle buone candidate, in realtà sono delle forze che ci siamo inventati per poter esprimere delle equazioni in sistemi di riferimento non inerziali. Si può fare a meno di quelle forze, scegliendo un di sistemi di riferimento in moto accelerato rispetto a un sistema di riferimento inerziale.

Potremmo mettere per esempio l’influenza del campo magnetico. Immaginiamo di avere un fluido con delle proprietà magnetiche, formato da un materiale ferromagnetico liquido. Anche un campo magnetico influirà sul flusso e se fosse così, dovremo aggiungerlo, ma anche qui siamo in contesti in cui possiamo supporre che non li tratteremo. Quindi nelle forze di volume ci accontentiamo della forza peso.

Le forze di superficie sono quelle dovute agli sforzi viscosi e agli sforzi di pressione che sono applicati sul nostro volume proprio sulla buccia. Questi sforzi si scrivono come il tensore degli sforzi T con la doppia sbarra,  moltiplicato per la normale n. Questa cosa sarà lo sforzo su una piccola superficie del nostro volume, quindi andrà dopo integrato su tutta la superficie esterna. Quindi possiamo scrivere come F di superficie delle forze esterne uguale all’integrale sulla superficie di T, tensore degli sforzi e questo termine include sia il termine degli sforzi viscosi, sia degli sforzi di pressione, che moltiplica n senza il punto in mezzo, perché non è un prodotto scalare, è un prodotto tra un tensore e un vettore, che fornisce un vettore, in dS.

E quindi scriviamo la derivata nel tempo materiale sul volume materiale di ρ v dV = forze di superficie, che sono integrale sulla superficie di T n dS e le forze di volume, che sono l’integrale sul volume di ρ g dV. 

Ora la parte sinistra la possiamo riscrivere, utilizzando il teorema del trasporto di Reynolds, che diceva che la derivata temporale di ρ 𝜑, qui al posto di 𝜑 abbiamo un vettore, ma quel vettore sarà composto da tre componenti e quindi componente per componente, possiamo interpretare la 𝜑 come componente x, componente y, componente z del nostro campo di velocità, quindi si può applicare anche qui il teorema del trasporto di Reynolds. Allora si può scrivere il flusso della quantità di moto al secondo termine secondo il teorema del traporto di Reynolds, ρ v v • n dS e poi alla parte di sinistra c’è l’integrale di T, n in dS e le forze peso.

Qui abbiamo già scritto tutta l’equazione, questa è già l’equazione del bilancio della quantità di moto per i fluidi, solo che è scritta in forma macroscopica o integrale. Non si applica localmente, come l’equazione di conservazione della massa che abbiamo scritto che si applica punto per punto nel nostro dominio di interesse. L’equazione integrale (la prima) ha bisogno di un volume e di essere espressa attraverso integrali sul volume. Quindi quella di sopra si chiama equazione integrale o equazione globale di conservazione della massa, quella di sotto equazione differenziale o equazione locale di conservazione della massa.

Qui, per l’equazione del bilancio della quantità di moto, possiamo fare la stessa cosa. L’abbiamo scritta in forma globale e attraverso lo stesso teorema di prima, quello che si basa sull’arbitrarietà della scelta del volume di controllo, possiamo scriverla come un’espressione differenziale locale. Si applica prima di tutto l’inversione dell’ordine di derivazione per volumi fissi, poi si può applicare il teorema della divergenza su questo integrale, che è un flusso, poi si applica il teorema della divergenza anche sugli sforzi di superficie e poi si somma ancora il termine gravitazionale, integrale sul volume di ρ g dV.

Nella parte azzurra ho applicato il teorema di divergenza per un tensore, che si chiama prodotto disdico e si applica tra due vettori, per esempio a e b, pari al tensore che ha come termine generico ai bj.

Quello che si riesce a fare è descrivere ciascun termine dell’equazione del bilancio della qualità di moto, come un integrale su un volume arbitrario. Esattamente con lo stesso passaggio che abbiamo fatto prima per la conservazione della massa, potremo scrivere la stessa equazione, togliendo quegli integrali sul volume e avremo l’equazione del bilancio della quantità di moto nella sua forma locale.

Che significato ha il termine advettivo?

Che ipotesi possiamo fare?

Che casi avrò?

Com’è diretto il flusso rispetto alla normale? E la variazione di quantità di moto?

In conclusione, che segno ha la variazione di quantità di moto?

A che cosa si può applicare questa equazione?

Soffermiamoci sul primo termine a destra, che è il termine advettivo. Questa equazione la possiamo pensare applicata ad un volume, ad una forma a piacere, oppure per esempio a quel volume che avevamo introdotto  nel primo principio per i sistemi aperti, che era un volume abbastanza generico, dove c’è un flusso in ingresso e un flusso in uscita di un qualche fluido, poi una sezione dove avviene scambio termico e una sezione dove avviene uno scambio di energia meccanica.

Il flusso di quantità di moto nel volume di controllo è quella quantità di moto che viene trasportata all’interno, viene introdotta nel volume di controllo, oppure trasportata all’esterno, quindi liberata dal volume di controllo, attraverso quelle due aperture. Quel termine significa quanta quantità di moto specifica trasporta all’interno o all’esterno di questo volume.

Avevamo denominato ingresso con la I, uscita con la E. Su una di quelle aperture, possiamo immaginare che la densità sia costante. A quel punto il nostro termine, integrale sulla Sk di ρ v v • n dS si distingue per il valore di quelle tre quantità sotto parentesi graffa. In particolare facciamo l’ipotesi che la velocità sulle aperture sia parallela alla normale sulle aperture.

Le ipotesi servono per arrivare ad un’equazione algebrica da utilizzare negli esercizi, ma tutte queste ipotesi si possono negare per rifare i conti in modo più preciso, quindi queste ipotesi non sono necessarie. Significa che avremo due casi, devo scegliere il volume di controllo ortogonale al flusso, poi avremo che la velocità è parallela e concorde alla normale, quindi è una velocità in uscita.

L’altro caso è che la velocità è parallela e discorde alla normale e quindi ho un flusso in ingresso.

Studiamo il termine ρ v v • n nel caso d’ingresso e nel caso di uscita.

Nel caso di uscita, succede che la velocità può anche scriversi come modulo della velocità per la normale.  n • n fa 1 e lo possiamo eliminare e significa che per l’uscita il flusso di quantità di moto è diretto come la normale. La variazione della quantità di moto sarà sempre diretta come - la normale, perché il flusso della quantità di moto sarà diretto così. All'ingresso la normale e la velocità sono discordi.

Sia agli ingressi, sia alle uscite il flusso di quantità di moto è sempre diretto come la normale. Il flusso di quantità di moto è una quantità vettoriale, che è sempre diretto come la normale, sia che il flusso della quantità di moto sia in uscita, sia che sia in ingresso. Quando calcolo la variazione della quantità di moto per il sistema, devo ricordarmi che c’è un - davanti, quindi il flusso è sempre diretto come la normale, la variazione di quantità di moto è sempre diretta in direzione opposta alla normale.

Facciamo degli esempi. Se abbiamo per esempio una lattina di Coca-Cola e la vogliamo far volare, o ci mettiamo un esplosivo dentro, che generi un flusso di quantità di moto in uscita. Avrà un flusso uscente di quantità di moto. L’effetto sarà che la lattina avrà un aumento della quantità di moto in direzione opposta alla normale.

Un altro modo per far volare la lattina è con un soffio generato da una macchina tipo compressore. Abbiamo un flusso di quantità di moto che entra e il flusso della quantità di moto del sistema è diretta come la normale, mentre la variazione della quantità di moto è diretta in direzione opposta alla normale.

Oppure si può prendere come esempio un’automobile a jet, che si muovono per via di un palloncino gonfiato e poi lasciato andare. Si può ottenere la stessa cosa soffiando su una vela applicata sull’automobile giocattolo. L’idea fisica è che la variazione di quantità di moto del sistema ha sempre lo stesso segno, perché in un caso si aggiunge quanti di moto in una direzione, nell’altro caso tolgo quantità di moto nella direzione opposta. Adesso possiamo prendere quei termini per riscriverli in modo semplice per fare i conti.


Queste equazioni possono applicarsi in qualsiasi volume di controllo. Può essere comodo pensare a due volumi di controllo o come una regione di spazio, oppure come un tratto di tubo di raffreddamento di una vettura, dove la ventola è quella che sta davanti al radiatore e lo scambio termico sarebbe il radiatore. Quando scriviamo queste equazioni e si indica S o V, significa tutto il volume che contorna il volume di controllo che ho scelto e V è il volume di controllo che ho scelto e P è la quantità di moto contenuta nel volume di controllo che ho scelto.

Che tipi di superfici abbiamo?

Che valore assumono i termini advettivo, della pressione e della viscosità dell’equazione del bilancio della quantità di moto in tre tipi di superfici diverse?

Facciamo uno schema. Visto che devo fare questi integrali su tutte le superfici, suddividiamo le superfici in superfici di natura diversa. Prima di tutto, diciamo che il nostro volume di controllo che ci è comodo scegliere è quello che ha i bordi che si interpongono tra le superfici solide e il fluido dentro al nostro sistema.

Non è obbligatorio scegliere quello, ma spesso conviene scegliere quello perché vogliamo conoscere le forze che si scambiano il fluido e questa buccia di metallo dove il fluido sta. Ad esempio le forze applicate in una vettura, in un condotto di raffreddamento. Concentriamoci su questo tipo di approccio, che ero ha delle caratteristiche di generalità. Possiamo distinguere 3 tipi di superfici:

  • Le aperture (vent)

  • le pareti solide (wall)

  • Le pareti mobili (moving wall), cioè quelle che scambiano lavoro con il nostro sistema, che è il fluido lì dentro, attraverso il movimento.

E poi suddividiamo i vari termini che appaiono, cioè quello advettivo, quello delle forze normali e quello degli sforzi tangenziali.

Il termine advettivo sarebbe il primo che sta sulla destra, cioè - integrale su Sk di ρ v v • n dS, perché queste pareti sono ipotizzate di tipo impermeabile, quindi il flusso v • n sarà sempre 0 e quindi il flusso della quantità di moto sarà sempre 0.

Attraverso le pareti mobili, stessa cosa. Non possiamo immaginare che entri flusso attraverso le pareti, nonostante si muovano.

Invece nelle aperture avremo un termine che è diverso da zero. La seconda riga riguarda la pressione, quindi il primo termine degli sforzi, - integrale su Sk di p per il tensore unitario I con due sbarre sopra per n su dS. Quello avrà un certo valore diverso da zero.

Poi ci saranno sforzi normali anche sulle pareti rigide e anche su quelle mobili. Però quelli sono molto più difficili da determinare, allora se vogliamo sapere le forze complessive che vengono applicate sul nostro fluido, dovremo far riferimento alle caratteristiche della pompa della turbina, che vengono rappresentate con la ventola e quindi quello che succede molto spesso nelle applicazioni è che si dice che le forze di pressione e viscose applicate dalle pareti mobili sul nostro sistema, saranno inglobate in un termine chiamato forze che le pareti mobili applicano sul nostro sistema. E per le pareti fisse stessa idea e cioè spesso quelle sono le incognite e quindi sarà un unico termine che alla fine non conosco davvero e li posso mettere insieme e rappresentare con le forze che la parete applica sul nostro sistema. Sono le forze che dall’esterno vengono applicate al nostro sistema. Poi c’è il termine viscoso che viene rappresentato dal tensore della velocità di deformazione, nelle aperture è circa zero.


Come si può semplificare l’equazione del bilancio della quantità di moto?

Che ipotesi possiamo fare?

Che cos’è il fattore β nel caso laminare e nel caso turbolento?

Come si scrive l’equazione del bilancio della quantità di moto tutta in termini algebrici?

Se teniamo conto della tabella precedente, dove si dice che abbiamo il termine di traporto per la velocità della quantità di moto solo nelle aperture, abbiamo il termine di pressione scritto esplicitamente solo nelle aperture.

La solita equazione si può scrivere in modo più semplificato; il termine di trasporto per la presenza del campo di velocità sarà non zero solo sull’apertura, infatti la somma per k = 1 del numero d’ingressi + il numero di uscite per l’integrale di ρ v v • n dS, la stessa cosa per la pressione con l’interale di p n in dS e poi ci sono  altri  due termini. Questo non significa che la pressione agisca solo sull’apertura, significa che per adesso sembra comodo scrivere esplicitamente la pressione sull’apertura e nascondere la pressione e gli sforzi viscosi, quelle che si scambiano le pareti solide con il nostro sistema, dove F che la parete è applicata sul fluido e F dalla parete mobile è applicata sul fluido. Non significa che la pressione è sparita da questi termini; c’è e qui dentro ci sono anche i termini di tipo viscoso.

Introducendo alcune ipotesi e utilizzando quell’idea della media superficiale, possiamo scrivere queste equazioni in modo algebrico.

La prima ipotesi che potremmo fare è che le superfici di ingresso e di uscita siano piane. Questo significa che la normale è costante; non varia sulla superficie. Quindi da quegli integrali potremo prendere la normale e tirarla fuori dall’integrale, sia nell’integrale del flusso della qualità di moto, sia nell’integrale della pressione.

Proviamo con la pressione, per l’apertura k-esima, l’integrale su Sk di p n in dS con quell’ipotesi si può scrivere come integrale sulla superficie Sk di p in dS per n tirato fuori. E allora la nostra definizione di media di pressione ci serve per poter scrivere questo come pressione media sulla superficie k per Sk per la nk. Non abbiamo fatto niente di particolarmente preoccupante per la generalità della nostra equazione, abbiamo fatto solo l’ipotesi che la superficie sia piana e però abbiamo trasformato questa equazione in un’equazione algebrica, cambiando l’interpretazione del valore di p. Prima p era la pressione locale, adesso p è la media sulla superficie. Non c’è nessuna approssimazione, è tutto esatto, ammesso che valga l’ipotesi che abbiamo fatto e che io sappia calcolare la pressione media.

Sempre sull’apertura k-esima, sto cercando di rappresentare l’integrale di ρ v v • n dS.

Facciamo un’altra ipotesi, diciamo che la densità è uniforme sulle aperture. Per il nostro sistema, nelle aperture dove c’è scambio di quantità di moto, almeno la densità non varia lungo quella sezione di apertura. Questa ipotesi ci permette di scrivere questa equazione, tirando fuori la densità. Quindi da un lato possiamo tirare fuori la densità, dall’altro possiamo tirare fuori la normale, perché anche per questo termine vale che le superfici siano piane.

Sempre utilizzando la definizione di media superficiale, posso riscrivere il termine. v per v per n è sempre pari al modulo di v per modulo di v per n, sia che sia all’ingresso, sia che sia all’uscita.

Visto che la superficie è piana, posso togliere la normale dalla media, posso portarla fuori dalla media e a questo punto sono davanti al problema di prima e cioè il fatto che mi trovo con la media del prodotto che è diverso dal prodotto delle medie.

Posso accettare un errore del 2% e dire che nel caso per il flusso turbolento, questo è circa uguale a ρk media del modulo di v al quadrato per nk Sk, oppure posso definire un fattore β diverso per il laminare e per il turbolento, che sia il rapporto tra queste quantità. Nel caso del flusso turbolento β è pari circa a 1.02 e nel caso del flusso laminare è più grande e il suo effetto sull’equazione non è trascurabile, non sufficientemente vicino a 1.

Allora possiamo riscrivere tutta l’equazione in termini algebrici. Avremo la derivata della quantità del moto nel tempo, uguale e poi ci sono i termini advettivi con le somme su k che vanno da 1 al numero di ingressi + il numero dell uscite, di ρk βk velocità in modulo al quadrato k-esimo Sk nk e questo è il termine del flusso di quantità di moto, poi c’è il termine delle pressioni che fa meno somme di p media sulla superficie k per Sk nk poi c’è il termine che le pareti fisse applicano sul fluido e il termine che le pareti mobili applicano sul fluido.

Come si calcola la spinta che un propulsore a getto può applicare su un aeroplano?

Che ipotesi facciamo?

Come si chiamano le forze applicate in direzione x? E quelle in direzione y?

Cosa sono le uniche cose che dobbiamo sapere?

Se dovessimo calcolare la spinta che un propulsore a getto può applicare su un aeroplano, spesso si fa l’ipotesi che le condizioni siano stazionarie, quindi il termine a sinistra dell’uguale va via e di inglobare; abbiamo un turbo-jet con un supporto. Quali saranno le forze applicate dal supporto sull’aeroplano, che è quello che gli garantisce la spinta?

Per risolver un problema di questo tipo, dovremo introdurre un volume di controllo qui dentro (evidenziato in giallo), fare l’ipotesi che il flusso sia stazionario, inglobare queste due quantità insieme, per dire dire che stiamo calcolando tutte le forze che si scambiano il fluido e il sistema e alla fine scriveremo un’equazione di questo tipo. Prendo i termini che sono alla destra dell’uguale e li porto alla sinistra e cambierò segno, oppure posso decidere di cambiare verso di quelle frecce, quindi dico che anziché calcolare le forze che la parete applica sul fluido, se la porto a sinistra, calcolo le forze che il fluido applica sulla parere e quindi saranno le forze propulsive per l’aeroplano. Quindi scriverò forza propulsiva che il fluido applica sulla parete,  uguale, composto da due termini, uno è il bilancio della quantità di moto e poi il termine di pressione.

Adesso si introduce dentro a questa sezione di prova un profilo alare, si accende il motore del ventilatore della galleria del vento e si possono misurare le forze applicate di questo profilo alare, con degli strumenti che si chiamano bilance, che distinguono le componenti delle forze applicate in direzione x e quelle forze le chiamano resistenza e poi le distinguono dalle forze applicate in direzione y e quelle forze le chiamano portanza. Questo si può fare, ma è più comodo fare dei conti attraverso il bilancio della quantità di moto. La teoria che si può applicare per applicare quel tipo di equazioni nella misura della resistenza, è fatta cosi; prendiamo il nostro profilo alare scegliamo una sezione abbastanza monte e una abbastanza a valle. Dalla sezione a monte, individuiamo una linea di corrente e in questo modo con due linee di corrente, possiamo individuare una specie di scatola che contiene il nostro profilo alare. Applicheremo il teorema del bilancio della quantità di moto su questo sistema. Si può osservare che abbastanza a monte rispetto ad un profilo alare, avremo un profilo di velocità uniforme, mentre a valle del profilo alare osserveremo la traccia della scia lasciata dal nostro profilo. Per cui il profilo di velocità è caratterizzato da una regione di minimo in corrispondenza della scia del profilo.

Che equazione possiamo scrivere? Noi vorremmo conoscere le forze che il fluido applica sul profilo e in particolare la resistenza, cioè la componente in direzione x di questa forza. Per fare questo possiamo scegliere un volume di controllo, che sia aderente al profilo, in modo da mettere in luce le forze che si scambiano corpo solido e fluido e d’altra parte il volume di controllo sarà conveniente sceglierlo coincidente con la sezione a monte, con questa sezione a valle e confidente con la linea di corrente che avevamo individuato. Sappiamo che la linea di corrente è qualcosa di impermeabile, quindi il flusso non può entrare, quindi neanche il flusso di quantità di moto, quindi per quello si sceglie una linea di corrente.

Le forze, visto che le scriviamo nella parte sinistra dell’equazione, non sono più le forze che il corpo solido applica sul fluido, ma l’opposto, quindi forze applicate dal fluido sul corpo solido, devono essere uguali a due termini: il termine del flusso della quantità di moto, che però visto che abbiamo scelto due linee di corrente, lì saranno nulle e saranno non nulle solo in ingresso e in uscita e poi il termine di pressione. Scriveremo - e poi il flusso della quantità di moto sarà sempre diretto in direzione della normale, quindi - integrale di ρ per la velocità d’ingresso al quadrato in dS per n in ingresso e poi - integrale sulla superficie di uscita di ρ per la velocità in uscita al guardato in dS per n in uscita.

Poi ci sarebbe il termine di pressione. Si può dire che se il volume di controllo è sufficientemente ampio, la pressione è uniforme dappertutto. Se la pressione è uniforme dappertutto, ci troveremo un integrale che ha effetto dinamico nullo. Se la pressione è pari alla pressione atmosferica dappertutto, quella è una forza uniforme sempre diretta in direzione normale rispetto alla superficie e quindi non si considera. Quindi rimarremo con il compito di valutare solo quello. Valutare la resistenza su quel profilo significa prendere quell’equazione, che è un’equazione vettoriale e proiettarla in direzione x, perché la resistenza è la proiezione delle forze aerodinamiche lungo x. La normale d’ingresso sarà pari a -1 e la normale in uscita sarà pari a 1. La forza diventa la resistenza, drag, la normale in ingresso (rossa), moltiplicata per il versore lungo x fa - 1, quindi ci metto un + e poi c’è -.

A questo punto si può osservare che la ui è una costante e quindi si può portare fuori dall’integrale. All’ingresso avremo un flusso uniforme. Questa quantità rappresenta la portata in massa dentro al nostro sistema, che si può anche scrivere in termini dell’integrale in uscita, perché abbiamo deciso di contornare questo volume di controllo con delle linee di corrente. La portata in massa in questa sezione è identica alla portata in massa in questa sezione, per via del fatto che ho due linee di corrente.

Allora posso riscrivere l’equazione, ho sostituito la portata in massa all’ingresso con quella in uscita. La resistenza allora si può scrivere così.

Dovevamo calcolare le forze applicate su quel profilo. Per qualche motivo non era conveniente ad ogni profilo sottoposto a test, riapplicare il metodo della bilancia. Facendo la misura su una sezione del campo di velocità, con una misura della velocità e della densità su questa sezione e poi conoscendo anche la velocità del flusso indisturbato nella galleria del vento, attraverso questa equazione si può determinare la resistenza. E quindi attraverso un paio di trucchi si toglie la dipendenza delle quantità da qualsiasi superficie, quindi basta fare una misura nella scia di questo profilo alare e non ci sono approssimazioni. I risultati che vengono ottenuti attraverso questo metodo, ancora adesso vengono considerati più che validi. L’unica approssimazione che si fa è di immaginare che la pressione sia uniforme attorno a tutto il volume di controllo. Come faccio a sapere la forma della linea di corrente? Non c’è bisogno di saperlo, la linea di corrente l’abbiamo costruita solo per poter dimostrare il risultato finale. L’unica cosa che dobbiamo sapere è il profilo di velocità in uscita, la densità e il profilo di velocità in ingresso, che sarebbe la velocità indisturbata della galleria.

Quali sono e quante sono le forme del teorema di Bernoulli?

Che origine, applicazione e variabili hanno ciascuna di queste forme?

L’equazione di Bernoulli è un’equazione semplice che viene spesso utilizzata per fare dei conti su dei casi fluidodinamici su cui si sa poco. Il problema però è che il teorema di Bernoulli ha delle ipotesi molto limitanti che lo rendono valido. Si possono distinguere 3 diverse serie di ipotesi, tanto che il teorema di Bernoulli non va visto come un’unica equazione, ma piuttosto come 3 equazioni che si assomigliano, che hanno 3 set di serie ipotesi diverse e in uno di questi casi il teorema di Bernoulli deriva da un’equazione diversa rispetto alle altre.

Il teorema di Bernoulli ha 3 forme:

  • La forma debole

  • La forma forte

  • La forma integrale

Per continuare questa schematizzazione, possiamo anche attribuire 3 caratteristiche a queste tre forme:

  • L’origine, cioè da che equazione ha origine

  • L’applicazione, cioè in che campo vengono applicate

  • E che tipo di variabili includono

La forma debole deriva dall’equazione del bilancio della quantità di moto, che si chiamano anche equazioni di Navier-Stokes. La forma forte uguale e la forma integrale dall’equazione di bilancio dell’energia meccanica.

Dove vengono applicate? Le equazioni di Bernoulli in forma forte vengono applicate in aerodinamica, dove si vuole studiare il flusso attorno ad un aliante per esempio e si suddivide il campo in una regione molto piccola vicino al corpo, che si chiama strato limite, dove avvengono fenomeni viscosi. Al di fuori di questo strato, si può studiare il moto con una certa accuratezza, attraverso la teoria del moto potenziale, che include il teorema di Bernoulli in forma forte. Quindi l’applicazione più importante del teorema di Bernoulli nella forma forte è l’applicazione di tipo aerodinamico. Le variabili in questo caso sono di tipo locale, nel senso che l’equazione si scrive per la velocità o per la pressione in un punto o in un altro punto del nostro dominio.

Le equazioni di Bernoulli che derivano dal bilancio dell’energia meccanica, quindi in forma integrale, possono venire utilizzate in tante applicazioni, ma rispetto le altre hanno la caratteristica specifica di poter essere utilizzate anche per i flussi interni, cioè quei flussi dove esiste un’interazione tra gli strati limite che si formano tra le pareti affacciate del nostro condotto. In questo caso le variabili non sono di tipo locale. Quando si scrive il teorema di Bernoulli nella forma integrale, le variabili sono medie superficiali, soprattutto la pressione e la velocità.

La forma debole si può applicare sia per moti interni, sia per moti esterni. Delle tre, è una forma versatile e le variabili sono di tipo locale.


Per usare l’equazioni di Bernoulli bisogna essere ben consapevoli delle ipotesi che stanno alla base di queste equazioni e le ipotesi possono essere di tre tipi. Adesso per procedere dobbiamo introdurre la vorticità.

Che cos’è la vorticità?

Come si scrive?

Come possono essere i flussi?

Finora abbiamo parlato della velocità, che è un campo vettoriale, che significa che se abbiamo un dominio fluido, in ciascun punto di questo dominio, per ciascun istante di tempo, viene definito un vettore che rappresenta la velocità del fluido.

La vorticità è un campo vettoriale nello stesso identico modo; in ciascun punto del nostro dominio fluido io definisco la vorticità che dipende dalla posizione e dal tempo ed è un vettore. Quindi sia il campo di velocità, sia il campo di vorticità sono dei campi vettoriali.

Il campo di vorticità è definito attraverso un operatore differenziale che si chiama il rotore, ma viene indicato con curl v. Si utilizza un modo mnemonico per scriverlo, cioè di introdurre un determinante simbolico.

Nel caso cartesiano, prendo una matrice e metto nella prima riga i tre versori ī, j e k, le tre derivate parziali e le tre componenti della velocità. Se calcolo il determinate di questa matrice, ottengo il rotore. Per esempio, possiamo scrivere la terza componente della vorticità ωz. ω è il rotore del campo di velocità.

Avevamo scoperto che su un elemento inizialmente quadrato, si potevano definire due angoli, ϑ₁ e ϑ₂.

Avevamo detto che ϑ₁ punto è pari a ∂v/∂x e ϑ₂ punto è pari a -∂u/∂y. ωz rappresenta Il doppio della velocità di rotazione attorno all’asse z, perché sto sommando due angoli che rappresentano la stessa cosa. Φz è la componente del vettore velocità angolare in direzione z. Questa cosa è vera in 3 dimensioni. Se immaginiamo un elemento di qualsiasi forma, la vorticità è due volte il vettore velocità angolare di questo elemento in qualsiasi direzione.

In effetti, si possono distinguere in tanti modi i flussi. I flussi possono essere:

  • Rotazionali, cioè il vettore vorticità è diverso da zero. Gli elementi fluidi possono anche ruotare.

  • Irrotazionali, il vettore vorticità è uguale a zero, quindi sono caratterizzati dal fatto che gli elementi fluidi traslano sempre mantenendo paralleli i lati.


Quindi la vorticità è la velocità di rotazione degli elementi fluidi.

Che cos’è il numero di Reynols?

Quanti casi possiamo distinguere, in base alla velocità e alla lunghezza di riferimento?

Qual’è il significato fisico del numero di Reynolds?

Ne abbiamo parlato quando abbiamo introdotto il teorema di Buckingham.

E’ un numero non dimensionale che attraverso la teoria della similitudine ci permette di paragonare e di applicare i risultati ottenuti in un certo caso, su tutti i casi che sono caratterizzati dallo stesso numero di Reynolds, che è definito come il prodotto di una velocità di riferimento per una lunghezza di riferimento, diviso la viscosità. Questa è la viscosità cinematica, ma si può scrivere anche attraverso la viscosità dinamica. 

Volta per volta, le lunghezze e le velocità di riferimento sono diverse a seconda dei casi, ma ci sono delle regole generali che possiamo individuare. Possiamo distinguere tre casi:

  • Il caso del flusso interno, per esempio il flusso dentro una tubazione.

  • Il caso del flusso esterno per un corpo:

  • Aerodinamico, tipo un aeroplano o un profilo alare.

  • Oppure un corpo tozzo, tipo un edificio o una vettura.

Per il flusso interno, la velocità di riferimento è la velocità media che noi abbiamo indicato con la media superficiale della velocità. Per un flusso interno la lunghezza di riferimento è il diametro idraulico del tubo, che è definito come 4 volte la sezione del tubo (condotto), diviso il perimetro. E’ una definizione generica che per il caso del tubo cilindrico fa sì che il diametro idraulico sia esattamente pari al diametro del tubo.

Per i flussi esterni, la velocità di riferimento è sempre la velocità indisturbata. Quindi nel sistema di riferimento del corpo, è la velocità dell’aria che il pilota vede venirgli addosso. Dal punto di vista del sistema di riferimento dell’ingegnere di pista, è la velocità con cui vede sfrecciare la vettura in pista. Nel caso dell’areonautica, è la velocità dell’aereo rispetto alla Terra.

Le lunghezze di riferimento per il corpo aerodinamico si misurano sul piano parallelo al campo di velocità, questa distanza si chiama corda e per il corpo tozzo sono delle lunghezze che si misurano nel piano verticale ortogonale e questa si chiama altezza del corpo tozzo.


Il significato fisico del numero di Reynolds è questo. Abbiamo al denominatore la viscosità e il numero di Reynolds ci dice quanto sono importanti gli effetti viscosi nel flusso.

Se abbiamo un numero di Reynolds elevato, significa che gli effetti viscosi nel flusso sono di piccola importanza.

Se abbiamo un numero di Reynolds basso, allora gli effetti viscosi diventano importanti. Dobbiamo fare attenzione anche al modo di esprimersi, perché dire che la viscosità è trascurabile e magari siamo degli aerodinamici; non ha senso lavorare sempre con l’aria e dire che la viscosità è trascurabile. La viscosità è sempre quella, invece ha più senso dire che gli effetti viscosi non sono importanti, perché ci sono altri effetti che prevalgono e questo fatto di osservare che gli effetti viscosi non prevalgono, si osserva attraverso il numero di Reynolds. Quando è grande significa che gli effetti viscosi non sono molto importanti.

Quali sono le ipotesi del teorema di Bernoulli in forma debole?

Come si scrive?

Come sarà il gradiente dello scalare del trinomio di Bernoulli?

Dove è valido Bernouilli in forma debole?

Perché si chiama ‘debole’?


Le ipotesi sono che la densità deve essere costante, che il numero di Reynolds deve essere elevato (effetti viscosi trascurabili) e il caso dev’essere stazionario. In quest’ultima ipotesi, il teorema di Bernoulli assume la seguente forma. Possiamo riconoscere in questi tre termini, il trinomio di Bernoulli.

Il teorema di Bernoulli viene scritto con quel trinomio uguale ad una costante. In forma debole, l’espressione che si riesce a dimostrare, è quella di sopra. Adesso dobbiamo analizzare il significato di questa espressione.

Il gradiente è un vettore che è definito su un campo scalare e che ha direzione sempre ortogonale alle linee del campo scalare costante e ha il verso che punta verso il massimo. Se consideriamo una mappa, una cartina topografica, che in realtà descrive l’andamento di una funzione definita su una superficie, dove i valori sono crescenti, il gradiente è un vettore che è sempre ortogonale alle linee del campo scalare e che punta sempre verso il massimo. Se noi ci muoviamo in direzione ortogonale al gradiente, ci muoviamo nelle direzioni dove la quantità rimane costante.

Il prodotto scalare tra la vorticità è la velocità, è - il gradiente. Il prodotto vettoriale tra due vettori è un terzo vettore che è ortogonale sia al primo, sia al secondo. Quindi quell’equazione è un’equazione quantitativa, però dal punto di vista delle direzioni, significa che il gradiente dello scalare del trinomio di Bernoulli, è ortogonale sia al campo di velocità, sia al campo di vorticità.

Se noi vogliamo individuare degli iperspazi, cioè degli spazi di dimensione più piccola, dove il trinomio di Bernoulli rimane costante, dobbiamo muoverci o lungo il vettore velocità o lungo il vettore vorticità, quindi o lungo le linee di corrente o lungo le linee vorticose o comunque in quel piano. 

Nel caso di Bernoulli in forma debole, si dice che è valido lungo le linee di corrente o lungo le linee vorticose.

Facciamo un disegno. Stiamo considerando qualcosa che avviene nei dintorni di un punto P. Nel punto P ho la velocità che ha una certa direzione e la vorticità ne ha un’altra. ω vettor v è un terzo vettore che è ortogonale a questi due, è ortogonale al piano definito da ω e da v. Pero ω vettor v è uguale al gradiente del trinomio. Quindi so che il gradiente del trinomio di Bernoulli è grad(B).

Se voglio muovermi nei dintorni, dove il trinomio di Bernoulli è costante, devo muovermi ortogonale al gradiente e quindi sul piano ω v e quindi o seguendo il vettore velocità o seguendo il vettore vorticità. Per questo si chiama debole, perché non dice niente, nel senso che per applicare Bernoulli in questa forma, devo conoscere già le linee di corrente e le linee vorticose. Ma se le conoscessi veramente, non avrei più bisogno di calcolare Bernoulli, perché sono un livello di conoscenza maggiore rispetto a Bernoulli, che è una quantità scalare. Quindi si forma debole e ha un buon livello di generalità. Si può applicare sia nei flussi interni, sia nei flussi esterni, però ha altre restrizioni, cioè bisogna muoversi lungo le linee di corrente e le linee di vorticose e non è detto che non le sappia prima di fare i conti su Bernoulli.

Quali sono le ipotesi del teorema di Bernoulli in forma forte?

Come dev’essere il campo di velocità?

Dove può essere applicato?

Perché si chiama forma ‘forte’?

Come si scrive?


La forma forte ha bisogno di due sole ipotesi. Una che la densità sia costante e abbiamo capito che ogni volta che la densità è costante, allora la divergenza del campo di velocità è nulla, quindi il campo deve essere solenoidale e il campo deve essere irrotazionale, cioè la vorticità dentro il suo campo dev’essere zero. Questo è un evento raro, il fatto che un fluido si muova in modo irrotazionale vicino alle pareti solide. Il teorema di Bernoulli in questo caso vale, ma non può essere applicato nei flussi interni, perché nei flussi interni si è sempre vicino alle pareti solide, che generano vorticità e non può essere applicato molto vicino ai corpi solidi, anche dentro lo strato limite dei flussi esterni. Questa forma del teorema di Bernoulli può essere applicata nei flussi esterni e lontano dai corpi solidi, perché in quelle regioni il flusso è irrotazionale. Non c’è bisogno dell’ipotesi di flusso stazionario, può essere anche diverso da zero.

Il termine che trasporta, attraverso il campo di moto, la quantità di moto, cioè la quantità di moto trasportata attraverso la superficie S si scrive così. Nell’equazione del bilancio della quantità di moto, questo termine quando appare a destra, ha un - davanti. Questo fa sì che il flusso di quantità di moto, il flusso è senza segno, sia sempre diretto come la normale. Qual’è il segno del contributo del termine advettivo, alla parte destra di quella equazione? In questo caso, è sempre parallelo e in direzione opposta alla normale, ma perché c’è il - davanti.

L’equazione debole di Bernoulli si chiama così perché vale solo in delle regioni del dominio e questo richiederebbe di conoscere già la soluzione, cioè la direzione del campo delle velocità e di vorticità. Nell’esempio del profilo alare, abbiamo immaginato la forma di una linea di corrente e comunque siamo riusciti ad arrivare ad un risultato. Questa equazione dice che il gradiente del trinomio di Bernoulli, quello che deve rimanere costante, ha come gradiente un vettore che è ortogonale ad entrambi, che significa che se noi ci muoviamo localmente sul piano che è definito punto per punto dalla velocità e dalla vorticità del campo di moto in quel punto, allora quel trinomio rimane costante, perché la direzione delle variazioni è ortogonale a quella.

La forma forte è forte nel senso che posso applicare il teorema di Bernoulli ovunque, nel senso che non mi interessa se ci passano delle linee di corrente o vorticose. Nella forma stazionaria tutte derivate devono essere nulle e quindi posso scrivere che 0 = gradiente del trinomio di Bernoulli, che significa che in qualsiasi punto nel dominio di campo che noi scegliamo, avrà lo stesso valore del trinomio. Ciascuno di quei tre termini è scritto in m²/s² e per h si intende una coordinata che è sempre diretta verso l’alto, quindi una coordinata verticale e parallela all’accelerazione di gravità e in senso opposto all’accelerazione di gravità.

Cosa devo pagare per questa forma così forte del teorema di Bernoulli?

Le ipotesi sono di densità costante, il che significa che il campo è solenoidale. L’altra chiede che il flusso sia irrotazionale, cioè le particelle, i gruppi di molecole inizialmente a forma per esempio quadrata, non possono ruotare, devono solo traslare. Questo è rarissimo; nei flussi interni, quindi dentro alle tubazioni, questo non avviene mai. Nei flussi esterni, quindi i flussi di interesse aerodinamico, questo avviene, ma solo lontano dallo strato limite, quindi lontano dalle regioni del flusso che si trovano vicino alle pareti solide. Nonostante questo, questa equazione nel metodo del moto potenziale, che è un metodo che si è utilizzato per progettare gli aerei della prima guerra mondiale e poi della seconda guerra mondiale e gli aerei passeggeri fino agli anni 70-90, quando l’uso dei calcolatori ha cominciato a rendere più facile la simulazione numerica con metodi più complessi. Questo stratagemma si è utilizzato moltissimo con grande successo, perché la tecnologia aeronautica non era avanzata come adesso, ma era già molto avanzata e ci permetteva di progettare aerei a diverse velocità e con diversi scopi.

Quali sono le ipotesi del teorema di Bernoulli in forma integrale macroscopica?

Come si scrive?

Come si traduce il fatto che sono inclusi gli effetti della viscosità?

Che segno ha il termine che tiene conto di possibili macchine operatrici?

A che cosa si può applicare questo teorema?

Che tipo di equazione è questa?

Che cos’è il coefficiente ɑ?

Quanto valgono i coefficienti ɑ e β per un tubo a sezione cilindrica in regime laminare e in regime turbolento?

Come viene rappresentata la dissipazione viscosa?

Adesso siamo alla terza forma dell’equazione di Bernoulli e questa deriva dall’equazione di bilancio dell’energia meccanica macroscopica, cioè scritta su volumi di controllo.

Le ipotesi sono che il flusso sia stazionario. Tutte queste ipotesi potrebbero essere rilasciate, nel senso  che potrebbero essere abbandonate, si potrebbe andare a vedere la forma dell’equazione in termini più generali, però ci deve essere un motivo per cui si fa questo. Questo tipo di operazione è molto utile in applicazioni specifiche, però bisogna conoscere la derivazione dell’equazione. Questo si fa in corsi più avanzati.

Abbiamo un flusso che da un lato è stazionario e dall’altro è caratterizzato da una sola sezione d’ingresso e una sola sezione d’uscita. Inoltre c’è l’ipotesi di densità costante

Vale un’equazione di questo tipo, α per la velocità media all’uscita al quadrato diviso 2 + la pressione media all’uscita diviso  ρ + gh ingresso = alle stesse cose in ingresso + due termini.

La parte sinistra significa il contenuto di energia meccanica che esce dal nostro sistema, attraverso l’uscita. Se noi dovessimo scrivere un bilancio, troveremo il contenuto di energia che esce, più ricco di energia, se gli aggiungiamo energia con una macchina operatrice e meno ricco di energia meccanica se gli sottraiamo energia meccanica attraverso gli effetti di dissipazione viscosa. L’equazione ci dice che in un caso stazionario, cioè quando il sistema non accumula né perde energia, l’energia che esce è fornita in parte dall’energia che entra, in parte dall’energia meccanica delle macchine, diminuita dal termine degli effetti viscosi.


Abbiamo poche ipotesi rispetto a prima, in particolare non compare l’ipotesi del numero di Reynolds elevato, il che significa che in questa equazione sono inclusi gli effetti della viscosità. Infatti l’ultimo termine tiene conto di quella che si chiama la dissipazione viscosa. E’ un fenomeno per cui una parte dell’energia meccanica di un sistema viene trasformata in energia termica in modo irreversibile. Molto poca di quell’energia termica potrà essere recuperata e ritrasformata in energia meccanica.

Ad esempio, nelle gallerie del vento per scopi automobilistici, costruite a circuito chiuso, quindi c’è dell’aria che passa attraverso il ventilatore, poi raddrizzatore di flusso convergente, lambisce l’automobile, torna indietro, va nel ventilatore e poi rifà il giro. In questo tipo di sistema c’è bisogno di un condizionatore d’aria che ha la stessa identica potenza del ventilatore per il termine della dissipazione viscosa. Dal punto di vista del bilancio termico, in una situazione di questo tipo, in un loop chiuso, dove un fluido circola, la pompa serve per vincere le perdite di carico, che sono tutte dovute agli effetti viscosi, che attraverso la dissipazione viscosa generano calore, questo calore se si vuole mantenere la temperatura dell’aria o del fluido che va nel circuito costante, dev’essere nel sistema. Perché nelle gallerie del vento è così importante mantenere la temperatura sempre uguale? Perché le proprietà termofisiche, tipo la viscosità e la densità dipendono dalla temperatura.

Il termine di dissipazione viscosa sottrae un po’ di energia meccanica e la fornisce al mondo dell’energia termica. Questo non significa che non stiamo conservando energia, perché quando si dice che l’energia si conserva, si intende che l’energia complessiva meccanica e termica si conserva. Qui c’è semplicemente un passaggio da una parte verso l’altra.

Il penultimo termine tiene conto di possibili macchine operatrici. Significa il ventilatore della galleria del vento, oppure nel caso opposto, potremo avere anche una turbina.

Nel caso di ventilatore o una pompa o un compressore o qualsiasi cosa che attribuisca energia meccanica al nostro sistema, avrà quel termine positivo.

Al contrario, una turbina che sottrae energia meccanica al sistema, sarà caratterizzata da un termine negativo. m punto rappresenta la portata in massa, quindi kg per s che transita attraverso quell’unico condotto, perché abbiamo una sezione d’ingresso e una sezione d’uscita. Questo metodo di calcolo lo posso applicare esclusivamente ai flussi interni, vale solo per i tubi? No, in realtà si potrebbe applicare anche ai tubi di flusso, che sono costruiti da un circuito chiuso, da una linea chiusa disegnata nel nostro dominio di interesse e dalle linee di corrente che passano attraverso questa linea chiusa. Se vado a lavorare all’interno di un flusso, il termine delle macchine operatrici sarà nullo e avrò la difficoltà di identificare questo tubo di flusso dove applicare questa equazione.

Questa equazione è quella che ha maggiore interesse. Poi ci sono degli altri fattori che fanno differenziare questa equazione da tutte le altre. Questa non è un’equazione puntuale, ma vale calcolata tra due sezioni di un unico flusso di portata m punto. Quindi la velocità e la pressione non solo più locali, sono valori integrali,  valori medi, la media superficiale che abbiamo visto, per questo ci sono le parentesi.

Quando abbiamo fatto la stessa operazione con il bilancio della quantità di moto, visto che gli integrali abbracciavano un prodotto di velocità, avevamo le parentesi quadre attorno ad un prodotto di velocità e poi attraverso un coefficiente β, avevamo compensato il fatto che la media del prodotto non è il prodotto della media. Questo nuovo coefficiente α è la stessa identica cosa, solo che anziché avere a che fare con la velocità al quadrato, ha a che fare con la velocità al cubo, perché nel caso di β si traportava la quantità di moto, che è il prodotto della densità e della velocità. Qui si trasporta energia meccanica e l’energia cinetica specifica è il prodotto della densità per la velocità al quadrato, quindi α è simile a β, ma ad un livello ancora superiore.

Vediamo com’è definito α.  Al numeratore c’è il flusso di energia cinetica sulla superficie. ρ per v²/2 è l’energia cinetica specifica, è la quantità che viene trasportata e v • n dS è il solito termine che costruisce il flusso con l’integrale. Questa cosa andrebbe calcolata sulla superficie k-esima.

Nelle dispense c’è una tabella dove vengono riportati per un tubo di sezione cilindrica in regime laminare e in regime turbolento, i valori di questi coefficienti α e β. Quindi α che riguarda l’equazione di bilancio dell’energia meccanica (MEB). In condizioni laminari α è 2, mentre β è 4/3. In condizioni turbolente α fa 1.04 - 1.11 e β va da 1.01 a 1.04.

Al limite di una distribuzione uniforme di una quantità, vale che il quadrato della media è uguale alla media del quadrato. In effetti i profili turbolenti sono più piatti e hanno dei coefficienti di ragguaglio che sono molto vicini a 1, proprio per questa caratteristica di profilo di velocità quasi piatto.


Quello che manca è la capacità di scrivere i termine E punto con il termine v, perché di tutta questa equazione, se mi devo occupare di un pezzo d’impianto, conoscerò la portata grazie al misuratore di portata e quindi conosco la velocità media, la densità la leggo sui libri a seconda della temperatura del fluido. La pressione la conosco con un misuratore di pressione. Il termine della potenza meccanica della pompa riesco a ricavarlo, ma come faccio a valutare la dissipazione viscosa? Per la dissipazione viscosa esistono dei conti che sono basati su esperienze fatte in passato e questo tipo di conti con equazioni semplificate, perché il meccanismo che sta lì dentro è di una complessità non ancora totalmente compresa dai fisici, ha a che fare con gli effetti viscosi della turbolenza. Allora viene approssimata attraverso dei modelli, un’equazione semplice che dà un risultato quasi giusto, che però non rappresenta effettivamente la fisica, perché per rappresentare la vera fisica, non ci riusciremmo perché la turbolenza è un problema aperto. I modelli dicono che le perdite, cioè questo piccolo travaso di energia meccanica all’energia termica vengono rappresentate e modellate da anni con uno dei metodi che adesso vedremo.

Che cos’è e com’è definito il fattore d’attrito?

Come si ottiene Ev punto da f?

Riassumendo, che cosa compare nella terza forma dell’equazione di Bernoulli?

Per le perdite distribuite, come sarà la dissipazione viscosa?

Come si rappresenta il contributo delle perdite di tipo concentrato?

Come si rappresentano gli effetti di dissipazione viscosa complessiva?

Per rappresentare le perdite di tipo distribuito, si introduce un numero che si chiama fattore d’attrito (friction factor) che è definito per un tubo, i valori vengono forniti per tubi a sezione circolare, ma anche per tubi a diversa sezione, che ha una certa differenza di pressione alle sue estremità, che è quella che garantisce il flusso lì dentro e ha una certa lunghezza L. Δp è la differenza della pressione in ingresso e quella in uscita.

Questo fattore d’attrito è definito in questo modo, Δp/L, che moltiplica il diametro idraulico e che divide ½ ρ per la velocità media nella sezione del tubo al quadrato. Il diametro idraulico lo abbiamo già visto, è un modo generalizzato per calcolare un diametro e si calcola con 4 volte la sezione, diviso il perimetro della sezione del tubo. Δp/L è la caduta di pressione per unità di lunghezza e viene reso non dimensionale dalle quantità di riferimento, in questo caso il diametro idraulico, che è la lunghezza di riferimento del caso e l’energia cinetica del flusso medio, che ha le stesse unità di misura, cioè il Pa.

Da un lato ci daranno la possibilità di ottenere f per un caso specifico e dall’altro lato dovremo essere in grado di calcolare Ev punto, che è il termine che esprime la potenza meccanica dissipata in energia termica. Come si ottiene Ev punto da f? Ev punto è una potenza e la possiamo associare alla differenza di pressione dovuta agli effetti viscosi Δp per A e avremo una forza, per la velocità media e avremo una potenza. Quindi Ev punto la possiamo ricondurre al prodotto Δp che è la differenza di pressione media tra le due sezioni, A sarebbe l’area e poi abbiamo la velocità media.

Δp lo posso esprimere in funzione del fattore d’attrito, quindi Δp = f per L per quel gruppo che rende non dimensionale il tutto. La velocità media è scritta con la parentesi quadra, per dire che è la media superficiale. Nell’equazione compariva Ev punto diviso m punto, però i termini evidenziati, moltiplicati insieme danno la portata di massa. Quindi per scrivere il termine che mi serve, Ev punto diviso m punto, basta che io scriva il fattore d’attrito, lunghezza diviso il diametro idraulico per ½ per la velocità media al quadrato.


Riassumendo, nella terza forma dell’equazione di Bernoulli, quella che deriva dall’equazione di bilancio dell’energia meccanica, la più realistica, quella le cui ipotesi sono meno gravose, compaiono tre cose in più, cioè il coefficiente α davanti al termine dell’energia cinetica, la possibilità di introdurre il contributo positivo o negativo di energia dalle macchine operatrici e il termine che presenta gli effetti viscosi. Questo nuovo termine è complesso, viene rappresentato attraverso un modello che distingue due casi, le perdite concentrate e quelle distribuite. Per le perdite distribuite, si introduce il fattore d’attrito che si può trovare in tabelle. Questo coefficiente lo moltiplichiamo per la lunghezza, la dissipazione viscosa sarà sempre più lunga quanto è più lungo il tratto del tubo e lo moltiplichiamo ancora per l’energia cinetica specifica e dividiamo per il diametro del tubo.


Completiamo anche il contributo delle perdite concentrate. Nelle perdite concentrate, il contributo allo stesso termine si scrive come una certa costante, k per ½ la velocità media al quadrato, diviso 2. Per trovare la costante k ci sono un sacco di libri e gli effetti di dissipazione viscosa complessiva saranno la somma degli effetti di dissipazione viscosa distribuiti + quelli concentrati.

Ci manca la capacità e la comprensione fisica di determinare il fattore d’attrito. Per fare questo, introduciamo alcuni concetti generali della fluidodinamica, cioè lo strato limite, la differenza tra flusso interno e flusso esterno, la differenza fra flusso laminare e flusso turbolento e discuteremo dell’effetto della rugosità delle superfici sul flusso.

Dopo potremo dire qualcosa di come si valuta il fattore d’attrito che serve per rappresentare il termine degli effetti viscosi.

Come sarà la velocità vicino alla parete? E da una distanza sufficiente?

Che cos’è lo strato limite?

Che cos’è lo spessore dello strato limite?

Quali sono le caratteristiche dello strato limite?

Facciamo un esperimento, cioè liberiamo la cattedra e generiamo un flusso da una parte all’altra della cattedra. Questo flusso è orizzontale, quindi parallelo alla cattedra e uniforme, quindi la velocità non varia spazialmente né dal punto di vista della direzione e del verso, né dal punto di vista del modulo.

Quello che succede, quando il flusso incontra una lastra piana, è che da un lato vicino alla parete si osserva che la velocità del fluido è nulla, quindi a contatto con la parete, indipendentemente dal valore du u∞, la velocità tra particelle fluide e parete è sempre zero. E poi se andiamo a misurare la velocità ad una distanza  sufficiente da questa parete e quindi dalla lastra piana, otterremo di nuovo una velocità molto vicina alla velocità indisturbata. Quello che c’è in mezzo tra la velocità nulla a parete e la velocità indisturbata, si chiama strato limite, che è una regione dove la velocità varia in modo crescente tra velocità nulla relativa ad una parete solida e una velocità tipica del flusso indisturbato u∞.

Un parametro molto importante per la definizione dello strato limite si chiama spessore dello strato limite, definito in modo puramente convenzionale, cioè non ci sono degli esperimenti che permettono di visualizzare lo spessore dello strato limite, ma c’è una definizione che è assegnata. Lo spessore dello strato limite corrisponde all’altezza in cui la velocità che sta crescendo dal valore nullo al valore indisturbato del flusso, arriva al 99% della velocità indisturbata.

Quindi qui abbiamo il profilo di velocità, qui è 0, aumenta e quando arriva al 99% della velocità indisturbata, vedo che questo è lo spessore dello strato limite, poi se aumento dell’1% arrivo alla velocità indisturbata.


Lo strato limite ha alcune caratteristiche molto importanti e la prima di queste è la caratteristica su cui Ludwig Prandtl che era un fisico del primi anni del Novecento, tedesco, lavorava a Göttingen e aveva quasi preso il premio Nobel per un’osservazione molto semplice e per aver tratto le conclusioni da essa.

L’affermazione molto semplice dice che lo strato limite è lungo e sottile, che significa che se abbiamo un flusso d’aria a 50 m/s, una lastra di mezzo metro, dopo mezzo metro lo spessore dello strato limite in regime turbolento è di circa 3 mm, quindi la variazione di velocità dal valore nullo alla parete, fino al valore indisturbato, avviene in uno strato minuscolo. Questo spessore dello strato limite dipende dal numero di Reynolds e dal regime del flusso e in generale più è alto il numero di Reynolds e più sottile è lo strato limite. A parità di densità, di viscosità e quindi di caratteristiche del flusso, lo strato limite è più sottile quanto più è elevata la velocità indisturbata.

Un’altra caratteristica dello strato limite è che lo strato limite è caratterizzato da flusso rotazionale, quindi lì dentro non possiamo applicare il teorema di Bernoulli nella sua forma forte, perché quello richiedeva l’ipotesi di flusso irrotazionale. Quella distribuzione di velocità disegnata da questo profilo di velocità qui dentro, mi dice che a quest’altezza avrò una velocità proporzionale a questo segmento, a quest’altra avrò una velocità proporzionale ad un segmento più piccolo, e se proviamo a metterci dentro un elemento inizialmente quadrato, tende a ruotare per questa differenza di velocità. Mentre fuori nel flusso esterno, se il flusso è tutto uniforme, quel rettangolo tende a ruotare senza traslare.

Che differenza c’è tra un flusso laminare e un flusso turbolento?

Non esistono delle definizioni vere e proprie di flusso turbolento da contrapporre al flusso laminare. Tipicamente il flusso turbolento viene descritto attraverso alcune caratteristiche. Le maggiori caratteristiche del flusso turbolento rispetto a quello laminare è che è un flusso sempre tridimensionale, dove il vettore velocità ha tre componenti non nulle, anche in geometrie bidimensionali.

Il flusso su lastra piana in questa direzione sarà descrivibile attraverso quello che avviene nella direzione x, che è la direzione del flusso dove lo strato limite si ingrossa e nella direzione y, dove si sviluppa il profilo di velocità. In realtà, in regime turbolento, istante dove istante, c’è anche una dipendenza, nonostante l’omogeneità nella z trasversale, c’è anche una dipendenza dalla direzione trasversale. Quindi è un flusso che è tridimensionale anche in geometrie bidimensionali, che è sempre non stazionario anche quando le condizioni del bordo sono stazionarie. Nonostante la velocità d’ingresso indisturbata sia non stazionaria e costante nel tempo, il flusso turbolento avrà delle caratteristiche che variano nel tempo. In più, un flusso turbolento è caratterizzato da strutture, quindi da vortici che hanno dimensioni molto diverse, si possono trovare vortici piccoli e vortici molto grandi all’interno del flusso turbolento.

Il laminare è l’opposto, cioè un flusso laminare in un contesto bidimensionale, è bidimensionale. Un flusso laminare con condizioni del bordo di tipo stazionario, si comporta in modo stazionario.

Come faccio a sapere in anticipo se il flusso che sia esterno o interno, sarà laminare o turbolento?

Per quale valore di Reynolds il flusso sarà laminare per i flussi interni?

Quando sarà turbolento?

Quanto vale il numero di Reynolds critico per i flussi esterni?

Per il teorema di Buckingham il numero di Reynolds è un numero adimensionale molto importante nella fluidodinamica, che garantisce la similitudine fluidodinamica del numero di Reynolds, per cui se non abbiamo altri fenomeno associati, possiamo studiare il flusso attorno ad un cilindro e tutti i flussi attorno al cilindro con lo stesso numero di Reynolds hanno caratteristiche simili. 

Il numero di Reynolds ci dà indicazioni di caratteristiche turbolenti o laminari di un flusso.

Per esempio, per i flussi interni, il numero di Reynolds è definito come il diametro del tubo per la velocità media del tubo, diviso la viscosità. E si osserva che per Reynolds critici attorno ai 3000 o 5000, qui numeri di Reynolds distinguono le caratteristiche laminari o turbolente del flusso.

Quindi flussi di numeri di Reynolds minori di 3000 sono flussi di tipo laminare.

Flussi dentro alle tubazioni con numeri di Reynolds maggiori di 5000 sono turbolenti. Il motivo per cui non si fornisce un valore esatto è che il numero di Reynolds è un parametro di stabilità, cioè è quello che determina le caratteristiche di stabilità del flusso laminare e quindi, visto che si parla di stabilità, non è solo quel parametro a giocare un ruolo.

Ad esempio, prendiamo delle pile, nel lato positivo c’è un bottoncino e sono in grado di metterle in equilibrio dal lato del +. Non sono molto stabili, però non dipende solo dalla dimensione del bottoncino, dipende anche dalle perturbazioni che ci sono intorno. Ci sono delle perturbazioni che rendono la posizione instabile e la stessa cosa avviene tra regime laminare e turbolento.

Quindi come parametro di stabilità possiamo avere le dimensioni del bottoncino. Più è grande il bottoncino e più è stabile la posizione. Lì il parametro di stabilità è il contrario, più piccolo è il numero di Reynolds e più stabile è il regime laminare. Quando abbiamo valori grandi del numero di Reynolds è come se diminuissi le dimensioni di questo bottoncino, significa che piccolissime perturbazioni possono dare luogo alla transizione tra regime laminare e regime turbolento. Ed è per questo che non viene fissato un valore rigido del numero di Reynolds critico, perché dipende dalla perturbazione che abbiamo intorno.


Ad esempio, in Romagna vicino a Predappio c’è un famoso esprimendo di fluidodinamica che è stato costruito dentro alle gallerie che una volta servivano per costruire gli aerei durante la Seconda Guerra Mondiale e questo impianto è stato costruito dento alle gallerie per tenere piccole le perturbazioni.

Nei flussi esterni avremo una prima parte dello strato limite che si comporta in modo laminare, poi avremo un tratto di transizione, dove il flusso pian piano inizia ad avere caratteristiche turbolente e poi il flusso diventa turbolento. Si riesce ad ottenere il valore della coordinata critica, attraverso i valori tipici del Reynolds critico , che per flussi esterni è dell’ordine del milione.

Se noi calcoliamo Reynolds con pedice x, definito come la velocità indisturbata per la coordinata x, misurata dal bordo d’ingresso dello strato limite e diviso la viscosità cinematica, quando arriviamo ad un valore di Reynolds x intorno ad un milione, possiamo dire che approssimativamente lì siamo nella zona di transizione. La transizione dal regime laminare al regime turbolento è una questione di stabilità. E viene meno la stabilità del regime laminare non solo quando il parametro di stabilità è sufficientemente grande, ma devo trovare delle perturbazioni al sistema.

Per esempio, nelle simulazioni numeriche, si riesce a rappresentare il flusso nel regime laminare anche a numeri di Reynolds elevatissimi, perché lì dentro si riesce a non introdurre perturbazioni.

Da che cosa dipende la rugosità nei solidi e nei fluidi?

Che cos’è il sottostrato viscoso?

Si può discutere delle caratteristiche di rugosità o di non rugosità di una superficie.

Quando si parla di materiali solidi, la rugosità è una misura assoluta. Se volessi misurare la rugosità di una superficie, dovrei trovare lo strumento adatto e potrei disegnare il profilo della rugosità di questa superficie. Mi potrei trovare, secondo le mie misure, un certo valore.

Vista al microscopio la lastra piana su cui facevamo gli esperimenti, potrei osservare che la superficie è fatta così. Dal punto di vista dello studio dei materiali solidi, potrei dire che definisco la rugosità per esempio come la distanza tra il minimo e il massimo di questi picchi e la chiamo ε, oppure l’entità delle fluttuazioni quadrate rispetto alla media. In realtà, per la meccanica dei fluidi la cosa è completamente diversa, ovvero esistono delle superfici che possono essere considerate lisci e superfici rugose. Esse dipendono dalle caratteristiche del flusso di queste superfici.

Quando abbiamo parlato dello strato limite, lo avevamo descritto come la regione del flusso dove avviene il passaggio dalla regione a velocità nulla sulla parete solida ad una regione dove la velocità arriva quasi alla velocità indisturbata. Su questa linea avrò un profilo di velocità di questo tipo e a questa altezza arrivo al 99% della velocità. In realtà, si possono distinguere altre regioni all’interno dello strato limite e in particolare c’è una regione che si chiama sottostrato viscoso ed è fatto di forma analoga allo strato limite. Abbiamo già detto che lo spessore dello strato limite dipende dal numero di Reynolds, lo spessore del sottostrato vistoso anch’esso dipende dal numero di Reynolds.

Si osservano comportamenti completamente diversi, se le protrusioni rimangono tutte contenute nello strato viscoso o se sbucano. Dal punto di vista della fluidodinamica esistono delle pareti da considerarsi lisce.

Quanto è spesso il sottostrato viscoso in unità di parete?

Cosa succede quando il numero di Reynolds è basso? Cosa succede invece quando è elevato?

E’ una caratteristica del tubo quando viene accoppiato ad un certo fluido che scorre dentro al suo interno.

La lastra piana è caratterizzata da un flusso che proviene da sinistra ed è diretto verso destra ed è uniforme ad una distanza sufficiente dalla lastra. Possiamo osservare che la velocità sulla superficie della lastra piana è zero, mentre la velocità ad una sufficiente distanza sarà quella indisturbata, che imponiamo nella parte sinistra

del nostro dominio.

Poi c’è una regione dove i valori di velocità si raccordano, quindi c’è una regione di variazione della componente x della velocità e quella zona si chiama strato limite. All’interno di questa regione si trova una sotto-regione, il sottostrato viscoso (viscous layer), che è molto sottile, ma quando aumenta il numero di Reynolds, diventa sempre più sottile. Immaginiamo di definire un sottostrato viscoso ancora più sottile del sottostrato limite, in quella regione gli sforzi che si osservano dentro al fluido hanno origine viscosa. Questo discorso ha senso se stiamo discutendo di uno strato limite turbolento.

Tipicamente si indica come altezza del sottostrato viscoso una certa quantità che si misura con le unità di parete y ⁺ = 5, scale sullo sforzo di taglio a parete e si scopre che facendo in questo modo si può generalizzare quello che non era generalizzabile. Non si può mai dire che il sottostrato viscoso è spesso 5 centesimi di millimetro, perché questa qualità varia con il numero di Reynolds. D’altra parte è possibile dire che il sottostrato viscoso in unità di parete è spesso 5, perché queste unità hanno lunghezze di riferimento che variano con le caratteristiche del flusso in modo opportuno, per cui questa misura rimane universalmente esprimibile con dei valori.

Gli spessori per numeri elevati del numero di Reynolds possono essere confrontabili con la rugosità di una superficie di metallo o una superficie plastica. Pensiamo di fare un esperimento e di osservare con un microscopio sufficientemente potente le asperità del tubo che stiamo studiando, di qualsiasi materia esso sia composto. Avremo un diametro esterno e un diametro interno, che sarà il diametro nominale e attorno ad esso osserveremo una superficie del nostro tubo che avrà un andamento irregolare. Questi picchi si chiamano protrusioni e ci sono dei metodi per fare le misure di queste asperità. Potremo di decidere la rugosità come la media di quelle altezze o degli scostamenti dalla linea nominale della superficie interna o guardare il massimo. Definiremo una grandezza s calcolata con qualche metodo statistico. Deciso questo, si può dire che il flusso sopra questo tipo di superfici si comporta in due modi diversi, nel caso in cui l’altezza media delle protrusioni sia tutta dentro nel sottostrato viscoso, non rientri per niente.

Immaginiamo che questa regione sia una parte di un tubo dove possiamo far fluire un fluido e a bassi Reynolds osserveremo che il sottostrato viscoso è a questa altezza. Poi acceleriamo il flusso dentro al tubo e siamo con un numero di Reynolds molto elevato e in questa seconda situazione nello stesso tubo con lo stesso fluido, avremo un’altezza minore. Il comportamento in queste due situazioni è diverso: nel comportamento a basso Reynolds, quando il tubo si comporta da tubo liscio, osserviamo che gli sforzi a parete sono di pura origine viscosa. Se noi abbiamo un flusso, quando il numero di Reynolds è elevato, potremmo osservare nella faccia anteriore, una pressione elevata e nella faccia posteriore una pressione più bassa. E questo sbilanciamento genera resistenza. Questo non avviene quando il numero di Reynolds è più piccolo.  

Da che cosa dipende la rugosità di una superficie per i flussi?

Che cos’è la resistenza di forma?

Che cosa genera uno sbilanciamento di pressione?

Che caratteristiche ha il regime turbolento?

Che cosa succede per condizioni in regime laminare?

Abbiamo introdotto il termine della dissipazione viscosa, indicato con E punto per dire che non è un’energia ma una potenza e la v al pedice per dire che è una potenza per effetto viscoso, è un termine sempre positivo e infatti quando dobbiamo rappresentare quel termine come un pozzo, cioè come un punto ideale dove il sistema perde energia, ci mettiamo sempre il - davanti. Dentro a quel termine c’è una complessità fisica insita nella turbolenza che è ancora inarrivabile e viene rappresentata attraverso dei modelli, che sono delle equazioni semplici che permettono di rappresentare dei fenomeni fisici molto più complessi. A volte sono rappresentati anche da equazioni differenziali, ma di solito o modelli sono delle equazioni trattabili, che noi contiamo di poter risolvere e che rappresentano dei fenomeni fisici complessi.

Abbiamo introdotto il fattore d’attrito, che è la differenza di pressione per unità di lunghezza in un tubo, quando questa differenza di pressione viene resa non dimensionale dal diametro idraulico e dall’energia cinetica specifica e la velocità media del tubo e poi abbiamo detto che il fattore d’attrito serve per rappresentare le perdite distribuite, che idealmente dovrebbero avvenire in un flusso in completo sviluppo nelle tubazioni, cioè nei flussi interni.


Dobbiamo capire come si può determinare il fattore d’attrito. Per il fattore d’attrito, ci sono delle equazioni che si possono applicare. Il grafico del fattore d’attrito invece, che si chiama diagramma di Moody è molto più istruttivo dal punto di vista didattico.


Per i flussi, una superficie non è in assoluto liscia, molto o poco rugosa, perché la caratteristica di rugosità dipende dal numero di Reynolds ed è associata all’altezza relativa tra le protrusioni, quindi i picchi che si osservano al microscopio su una superficie metallica o di plastica e il sottostrato viscoso, che è una regione dello strato limite, meno di 1 mm, dove prevalgono gli sforzi di origine viscosa. In quella regione, il fatto che ci siano protrusioni o no, non cambia quasi niente dal punto di vista fisico. Se le protrusioni riescono ad uscire fuori da questo strato, si introduce un’ulteriore forma di resistenza, che è resistenza di forma.

Questa nel disegno è la superficie laminare, poi quella reale. Nel caso in cui il sottostrato viscoso che indichiamo con la linea arancione è più basso delle più alte protrusioni, il flusso va da sinistra verso destra. L’altezza arancio è l’altezza del sottostrato viscoso, la riga tratteggiata è l’altezza nominale della superficie. Se succede questo, si formeranno delle regioni ad alta pressione e a bassa pressione su queste creste. Quindi questa regione sarà caratterizzata da alta pressione, la parte verso il flusso. La parte con le spalle al flusso sarà caratterizzata da bassa pressione. Questo sbilanciamento di pressione genererà una resistenza ulteriore; questa cosa non avviene quando quei picchi sono più bassi. Per questo motivo, c’è questa differenza tra il concetto di rugosità nei campi fluidodinamici e il concetto di rugosità nel campo della meccanica dei corpi solidi.

Il fattore d’attrito dipende dalla velocità, però viene utilizzato per calcolare la velocità e quindi il calcolo richiede una procedura iterativa. L’idea è che se si riesce a determinare un fattore d’attrito dipendente dalla velocità, ma non in modo troppo spiccato, soprattutto nell’ambito dei numeri di Reynolds di applicazioni ingegneristiche, allora quello è più comodo. Per alti numeri di Reynolds, il fattore d’attrito non dipende più dal numero di Reynolds, quindi non dipende più dalla velocità nel tubo. Quindi quando si fanno conti ad alti numeri di Reynolds, si può quasi evitare la procedura iterativa per la determinazione del fattore d’attrito.

Per alti numeri di Reynolds, quelle che si chiamano condizioni in regime turbolento (wholly turbolent conditions), il fattore d’attrito non è una funzione del numero di Reynolds, allora per un tubo sarà costante. Il che significa che, vedendo la definizione del fattore d’attrito, che Δp, fissata la densità, fissato un diametro, fissata una lunghezza, quindi fissato il caso d’interesse, per ciascuna applicazione specifica, la differenza di pressione che fa muovere il flusso dentro al tubo, è proporzionale alla velocità media al quadrato.

Nel diagramma di Moody si osserva anche che quando il flusso è laminare, il fattore d’attrito è inversamente proporzionale al numero di Reynolds e per tubi cilindrici, quindi a sezione circolare, succede che si riesce a determinare questo risultato analitico non sperimentale. Mentre in tutta la parte relativa alla turbolenza f viene determinato attraverso esperimenti, per il regime laminare viene determinato attraverso equazioni e il fattore d’attrito è inversamente proporzionale al numero di Reynolds. Per un caso fissato, quindi ogni volta che scelgo un’applicazione, il fattore d’attrito è inversamente proporzionale alla velocità, perché al numeratore del numero di Reynolds compare la velocità media dentro al tubo. In regime laminare Δp è proporzionale alla velocità alla prima potenza e cresce in modo lineare con la velocità. Basta eguagliare queste due equazioni, esprimere Reynolds attraverso il diametro, la velocità diviso la viscosità e poi una delle due velocità sull’equazione a destra sparisce e poi si può scrivere che Δp è proporzionale a u.

Com’è fatto il diagramma di Moody?

In che scala è?

Adesso possiamo guardare questo grafico, che si riferisce a tubi a sezione circolare. In x c’è il numero di Reynolds, la V rappresenta quella che noi abbiamo definito come la velocità media superficiale, in y sulla parte sinistra c’è il fattore d’attrito, sulla parte destra c’è un fascio di linee che sono caratterizzate da un valore ε/D, che sarebbe la rugosità non dimensionale del diametro del tubo. Per esempio 1 millesimo, 0. 001, significa che la distanza tra la valle più profonda e la protrusione più alta della rugosità è pari a 1 millesimo del  diametro.

Partiamo da sinistra, ci sono valori piccoli del numero di Reynolds. La transizione tra il regime laminare e turbolento in un tubo avviene tra Reynolds 3000 fino a 5000. C’è una linea rettilinea pendente verso il basso,  dove c’è scritto 64/Re che diventa tratteggiata tra i 2000 e i 4000; quel tratteggio significa che non siamo sicuri, proprio a seconda delle perturbazioni che si osservano nel tubo, che lì si verifichi il flusso laminare o il flusso turbolento, oppure che il flusso sia misto e si chiama flusso di transizione. 

Per il flusso laminare si può vedere che il fattore d’attrito dipende dal numero di Reynolds in quel modo. Dal punto di vista grafico, quella linea dovrebbe essere un’iperbole.

In un diagramma dove Reynolds è in ascissa, dovrebbe rappresentare 1/Re, dovrebbe essere un’iperbole. Qui appare come un segmento, perché siamo nell’ambito di un diagramma scritto in scala logaritmica.

Ci sono pochissimi tubi, ad esempio i radiatori delle vetture di Formula 1 sono costruiti con dei tubi molto sottili di acciaio, che hanno diametro esterno di 1 mm o meno, con diametro interno ancora più piccolo dove passa l’acqua di raffreddamento. Fanno così per aumentare di molto la superficie di scambio termico. Lì dentro, visto il piccolo diametro, il numero di Reynolds è piccolo e può essere che lì ci sia un regime laminare del flusso, altrimenti dal punto di vista ingegneristico, non ci sono altre applicazioni dove il flusso può essere laminare.

Iniziamo a discutere di quello che avviene all’estremità destra di questo grafico. Reynolds molto alti li abbiamo chiamati wholly turbolent ed è delimitata dalla linea curva tratteggiata, che delimita la regione dove questo fascio di linee nere diventa questa linea retta, diventa orizzontale. Il fascio di linee nere si chiama arpa di Nikuradse.

A destra di quella linea tratteggiata si vede il flusso wholly turbolent, altamente turbolento. Qui le linee che ci permettono di identificare il fattore d’attrito, sono costanti. Volevamo un fattore d’attrito costante, perché questi ci permette di fare i calcoli in modo più semplice, di calcolare senza conoscere nel dettaglio il numero di Reynolds. Intende dire che se fossi sicura di avere un tubo con questo rapporto, 4 millesimi tra la rugosità e il diametro, allora per determinare il fattore d’attrito stimerei il numero di Reynolds, 4 • 10⁷ e poi andrei verso sinistra a leggere sul grafico il fattore d’attrito. Finché queste linee sono orizzontali, posso permettermi di sbagliare. Quindi nella regione completamente turbolenta, il fattore di attrito raggiunge il motivo per cui è stato definito così. Il fattore d’attrito cambia con la rugosità e aumenta con la rugosità per via di quelle componenti di resistenza di forma sulle protrusioni delle superfici rugose.

La parte più complessa è quella che sta nel regime turbolento tra la linea tratteggiata curva e quell’altra linea Smooth Pipe. In fluidodinamica essere liscio o no per un tubo non è un concetto assoluto e in effetti sulla linea curva in verde, pian piano convergono le linee di qualsiasi rugosità. Se il numero di Reynolds è sufficientemente piccolo, anche un tubo piuttosto rugoso con una regista dell’8 per 1000 diventa ad un certo punto liscio, perché a basso Reynolds, il sottostrato viscoso contiene completamente le protrusioni. In questa fascia tra la linea tratteggiata che abbiamo sottolineato in arancio e la linea verde, abbiamo il caso più generale di tutti e cioè il caso in cui il fattore d’attrito dipende sia dal numero di Reynolds, sia dalla rugosità. Quindi siamo ad un Reynolds così alto da vedere gli effetti della rugosità e in un Reynolds sufficientemente piccolo da non essere ancora arrivati al punto in cui il Δp dipende con la velocità al quadrato.

Vicino alla Smooth Pipe, c’è anche un’espressione che ci fornisce il fattore d’attrito per tubi lisci. Quando sappiamo che per certo il nostro tubo ha rugosità così piccole da essere nascoste dal sottostrato viscoso, possiamo utilizzare quell’equazione.

E dopo esistono equazioni per tutte le regioni. Negli esercizi certe volte potrà capitare che anziché la tabella, viene fornita l’equazione per il valore del fattore d’attrito. Se uno volesse essere molto schematico, potrebbe scrivere che il fattore d’attrito è una funzione esclusiva della rugosità e visto che il fattore d’attrito dipende dalla rugosità e dal numero di Reynolds e sulla riga verde, visto che è per tubi lisci, il fattore d’attrito dipende esclusivamente dal numero di Reynolds, esattamente come una legge diversa, ma con le stesse caratteristiche di dipendenza esclusiva del numero di Reynolds del flusso laminare. Nel flusso laminare, qualsiasi rugosità non incrementa la resistenza del flusso laminare.

Come si può scrivere l’equazione di Bernoulli nel caso di un circuito di raffreddamento?

Che grafico si può tracciare per questo circiuto?

Come diventerà per numeri di Reynolds bassi? E per regime laminare?

Come si rappresentano le curve caratteristiche della pompa?

Una delle applicazioni tipiche, potrebbe essere quella in un circuito di raffreddamento per un veicolo. Si hanno dei circuiti chiusi, dove si ha una pompa e i circuiti chiusi sono caratterizzati da perdite, da effetti di dissipazione viscosa.

Possiamo schematizzare questo circuito. Sulla sinistra con la freccia indichiamo la presenza di una pompa e sulla destra indichiamo uno scambiatore di calore. Dal punto di vista dell’equazione di Bernoulli, quella che deriva dal bilancio dell’energia meccanica in forma macroscopica, avremo un circuito chiuso, quindi tutti i termini di ingresso e di uscita diventano zero, perché possiamo decidere una qualsiasi sezione, scelgo quella e dico che quella è l’ingresso e l’uscita e devo calcolare la differenza che è uguale a 0.

Quell’equazione si semplifica di molto e diventa Ev punto, le perdite per effetti viscosi devono bilanciarsi perfettamente com Em punto per ottenere un caso stazionario. Nelle gallerie del vento per scopi automobilistici a circuito chiuso, quello che si fa per mantenere costante la temperatura dell’aria è di introdurre un ventilatore, Quindi Em punto è maggiore di 0, tutta l’energia verrà dissipata e se voglio mantenere la temperatura costante, dovrò estrarre una potenza termica identica. Qui il fatto di estrarre il calore, quello dovuto alla dissipazione termica non ci importa tanto, perché tanto lo dobbiamo estrarre comunque perché quello è compito del mio circuito.

Dal punto di vista meccanico, si deve stabilire una specie di equazione di equilibrio tra il Δp fornito dalla pompa e il Δp che è associato alle perdite per effetto viscoso. Almeno per i numeri di Reynolds elevati, avremo una differenza di pressione del circuito che è proporzionale al quadrato della velocità.

Quando si tiene conto di questo tipo di circuiti, si usano grafici con in ascissa la portata in massa e in ordinata la differenza di pressione per esempio ai capi della pompa. Per numeri di Reynolds sufficientemente elevati, avremo un andamento quadratico e quindi potremo rappresentare la caratteristica del circuito in quel modo. Se il numero di Reynolds è basso, l’andamento non è esattamente quadratico. Invece di avere una parabola perfetta, avremo una curva un po’ più appoggiata. In regime laminare, avremo un segmento di retta che passa per l’origine.

Ogni volta che io scelgo una velocità nel circuito, a quella velocità viene associato un Δp che si richiede alla pompa per mantenere quella velocità. Come faccio a calcolarlo? Attraverso il fattore d’attrito e il coefficiente di perdita concentrata posso farlo. Sullo stesso grafico potremmo introdurre anche le curve caratteristiche della pompa. Spesso vengono fornite in grafici che sono molto simili a questo, quindi in ascissa la portata e in ordinata la prevalenza Δh. Quindi da litri al minuto a kg al secondo e da m in Pa, potremo trovare le caratteristiche della pompa disegnate su questo stesso grafico. Le caratteristiche della pompa sono fasci di curve di questo tipo, che si differenziano per il numero di giri.

Quando noi progettiamo un circuito di questo tipo, quello che si deve progettare è un punto di funzionamento che starà nell’intersezione di una di quelle linee della caratteristica della pompa e l’intersezione della caratteristica del circuito. La portata in massa è in comune al circuito e alla pompa, il Δp è il Δp richiesto dal rifiuto e il Δp che la pompa è in grado di fornire. Per fare questo tipo di calcoli è necessaria una procedura iterativa, perché il fattore d’attrito dipende anche dalla velocità. Quindi potremmo decidere una velocità di primo tentativo, determinare il fattore d’attrito di primo tentativo, che insieme alle perdite concentrate permette di calcolare il Δp e a questo punto avremo un Δp che ci permetterà sul grafico del circuito, di ricalcolare una velocità media più accurata del passo precedente. Con interazioni andremo a convergenza su questo tipo di calcolo. Nelle dispense c’è un esercizio anche con procedura iterativa, scritta con un codice numerico.

Com’è fatto il tubo di Pitot?

Come deve essere applicato questo tubo?

Com’è costruito e in che condizioni funziona?

Che equazioni possiamo scrivere?

A che cosa corrisponde la pressione totale?

Ci sono motivi aerodinamici per cui è interessante capire la velocità locale del vento, che è influenzata da venti che possono soffiare nella regione del circuito.

Il tubo si presenta come un tubo ad L ed è un tubo co-assiale. In arancio è disegnato il condotto nella sua parte centrale e in viola il condotto più esterno, che ha la forma di un toro. Questo tubo deve essere applicato, allineato perfettamente con il flusso. Quindi si vuole che la prima parte del tubo sia esattamente allineata con il flusso. Le aperture del tubo centrale è frontale; in totale sono 4 aperture, che sono poste sui lati del tubo di Pitot. Queste 4 aperture servono per ottenere una media fisica, nel senso che la pressione che vigerà nel tubo viola sarà il risultato della media delle 4 pressioni che sono in questi 4 tubi.

Il tubo di Pitot funziona in condizioni statiche, il fluido è fermo lì dentro e quindi per esempio quelle considerazioni delle perdite per effetto viscoso non ci sono, perché il fluido è fermo.

Attraverso il tubo di Pitot si ottiene una misura della velocità locale della velocità del fluido, attraverso una misura di differenza di pressione.

Qui abbiamo una rappresentazione del tubo di Pitot in sezione e due linee di corrente. Una linea di corrente che da un lato parte a distanza sufficiente dal tubo ed entra nella presa del punto di ristagno (in arancio) e un’altra linea di corrente, che parte sufficientemente lontana dal tubo e poi va a lambire le superfici laterali del tubo, fino a lambire le 4 aperture che abbiamo identificato con la lettera S, che sta per ‘statica’.

Noi abbiamo sempre parlato di pressione. Nel gergo fluidodinamico si definisce una pressione statica, una pressione di manica e una pressione totale.

Abbiamo disegnato delle linee di corrente; se le linee di corrente sono quelle che abbiamo disegnato, potremmo applicare una delle forme del teorema di Bernoulli, cioè la forma debole, quella che aveva la parte sinistra ω vettor r, che può essere applicata solo lungo le linee di corrente. Allora potremmo scrivere due equazioni, una tra le condizioni indisturbate del punto di ristagno R e un’altra equazione tra le condizioni indisturbate del punto S, dove misureremo la pressione statica, cioè quella che per noi è la pressione.

Trascuriamo il termine gravitazionale, perché possiamo immaginare che il tutto avvenga sul piano orizzontale. Nel punto R avremo una velocità del flusso uguale a zero. Vicino alle pareti solide la velocità è fissa e il fluido dentro a quei canali rimane fermo. Non metto il termine cinetico perché la velocità è zero.

Scriviamo l’altra equazione e adesso vediamo subito come si può fare per misurare la velocità. Noi speravamo di misurare la velocità indisturbata, in realtà andremo a misurare la velocità del punto S. Per ottenere quella misura si eguagliano le due parti a sinistra di quelle equazioni e otterremo che us è una funzione della differenza di pressione tra il ramo viola e il ramo arancione che abbiamo disegnato. Con questa equazione, il nostro strumento ci permetterà di calcolare la velocità; in realtà dalle equazioni capiamo che vorremmo calcolare u∞, ma calcoliamo us perché non è tanto distante.

Prendendo l’equazione di Bernoulli e scegliendo il punto vicino alla presa S, il termine della pressione è definito pressione statica. Questo termine è definito pressione cinetica per il fatto che quando questa linea di corrente raggiunge un punto di ristagno e la velocità va a zero, quella quota del termine di Bernoulli andrebbe tutta a trasformarsi in pressione e quindi la pressione totale viene indicata come la somma delle due quantità. Prendiamo la parte anteriore del profilo alare e una linea di corrente che arriva nel punto di ristagno R. Scegliamo un punto qualsiasi e scriviamo il binomio di Bernoulli p + ½ ρ u² nel punto di ristagno.

Questa è la pressione statica per questo punto, questa è la pressione dinamica e la pressione totale coincide con la pressione di ristagno, quando quella linea di corrente ha velocità zero.


Quali sono i motivi di inaccuratezza in una misura effettuata con tubo di Pitot?

A che velocità funziona il tubo di Pitot?

Che cosa possiamo fare per risolvere queste inaccuratezze?

Possiamo subito individuare dei motivi per cui questa misura potrebbe non essere certa:

  1. Il primo motivo è che noi vorremmo misurare la velocità indisturbata, ma in realtà le equazioni ci dicono che misuriamo la velocità nel punto indicato con us. Ma us può essere in generale diversa dalla velocità indisturbata.

  2. Noi per scrivere quelle equazioni, abbiamo utilizzato il teorema di Bernoulli nella forma debole, che è valido quando il numero di Reynolds è elevato. Significa che qui stiamo trascurando gli effetti viscosi, quindi questa è un’altra sorgente di inaccuratezza. Quindi l’inaccuratezza è dovuta all’aver trascurato gli effetti viscosi, perché c’è una richiesta di Reynolds molto elevato per l’applicazione del teorema di Bernoulli nella forma debole.

  3. Un’altra sorgente di inaccuratezza è l’allineamento con il flusso. Tutto questo funziona bene se riusciamo ad allineare il tubo di Pitot con il flusso, perché se non fosse così non avremmo la pressione di ristagno nella regione frontale, avremo una pressione vicina alla pressione di ristagno, ma non esattamente quella.

  4. E poi c’è un’ulteriore sorgente di errore che deriva dall’accuratezza e dalla sensibilità del misuratore di pressione differenziale (manometro differenziale). Riscriviamo l’equazione del tubo di Pitot, elevandola al quadrato a sinistra e a destra. L’equazione è quadratica e significa che se le velocità sono basse, le variazioni di pressione associate a queste basse velocità saranno piccole.

Facciamo un esempio con una velocità in S di 5 m/s, che sarebbero 18 km/h. Li possiamo misurare con il tubo di Pitot? Nell’aria avremo 5² = 0.6, in Δp è 15 Pa. Se noi prendiamo il tubo di Pitot, lo applichiamo nel modo migliore che sappiamo per misurare un flusso di 5 m/s dovremmo avere un misuratore di pressione che è molto accurato a 15 Pa (1 Pa è 1 N/m²), cioè pochissima pressione. I misuratori di pressione che sono accurati a quel range di misura sono pochi.

Possiamo dedurre che il tubo di Pitot funziona ad alta velocità se abbiamo un misuratore di pressione normale. Se deve funzionare a velocità più basse, tipo 5 m/s è più complicato, perché dovremo pagare un misuratore di pressione che sia accurato all’ordine dei Pascal, che non è facile da avere.

A parte quest’ultima sorgente di accuratezza, per cui non si può fare niente, perché è una cosa intrinseca nello strumento, si può fare qualcosa per le altre tre. Si fa la calibrazione, cioè io prendo un tubo di Pitot, lo porto in una galleria o in una regione dove con strumenti di misura più accurati so misurare il flusso e lì compilo una tabella tra le differenze di pressione che misuro tra i due tubi del tubo di Pitot e la velocità effettiva. A quel punto, nonostante ci sia dietro una fisica che conosco, la fisica del tubo di Pitot, queste tabelle o questi grafici di calibrazione sono quelli che mi danno la misura. Dentro questi grafici di calibrazione viene incluso tutto,  non viene incluso il problema dell’allineamento, però viene incluso il fatto che abbiamo trascurato gli effetti viscosi e la differenza tra la velocità indisturbata e la velocità vicino al punto S.

Costruiamo un esempio di questa tabella, dove metteremo vari valori di Δp che misuro e in corrispondenza la vera velocità u che corrisponde a quel Δp, oppure queste procedure di calibrazione possono essere riassunte anche in grafici. Non sarà esattamente uguale alla parabola prescritta dall’equazione che abbiamo visto prima, ma ci assomiglierà e le differenze terranno conto delle sorgenti di inaccuratezza di cui abbiamo discusso.

Com’è fatto un diaframma?

Che cosa richiedono le norme UNI?

Che equazioni possiamo scrivere?

In che caso vale l’equazione che ottengo alla fine?

Che cos’è il coefficiente di efflusso, C? Da dove si ricava?

Il più semplice di tutti è il diaframma. Si prende un tubo, lo si interrompe e si inserisce una corona circolare di metallo, in modo che tutto il flusso sia costretto a passare attraverso quell’area. In questo modo si ha uno strozzamento o una contrazione in vena. Il flusso sarà costretto a seguire le linee di corrente. Questo disco forato ha una svasatura. A causa di questa contrazione di vena, la pressione che si misura dove la vena è contratta sarà più piccola rispetto alla pressione nel tubo e la misura indiretta consiste nella misurazione della pressione subito dopo o in corrispondenza della vena contratta e il confronto della pressione prima. In particolare, abbiamo delle prese di pressione.

Le norme UNI richiedono prese di pressione dove la vena non è contratta ad una distanza di un diametro a monte rispetto alla posizione del diaframma e prevedono anche delle prese di pressione a diametro mezzi a valle.

Nel grafico sotto si vede come dovrebbe andare la pressione in quelle regioni, cioè l’andamento della pressione con una piccola decrescita dovuta alle perdite distribuite e poi c’è un minimo di pressione associato al massimo di velocità.


Come prima bisogna scrivere le equazioni, da queste equazioni ottenere l’equazione che permette di calcolare la portata dentro quel tubo, poi si farà la lista di tutti i motivi per cui ci sono degli errori in questo calcolo e alla fine si farà una calibrazione.

Quello che si utilizza qui è, anziché il teorema di Bernoulli in forma debole, si usa il teorema di Bernoulli nella forma integrale, quello dove sono incluse le perdite, perché i valori di pressione e i valori di velocità, rappresentano i valori di passione e di velocità medi nelle varie sezioni e questo viene usato per misurare non la velocità locale del flusso, ma la portata del flusso.

Le equazioni da scrivere sono due, una è l’equazione di conservazione di massa tra due sezioni di misura, quindi un diametro a monte e mezzo diametro a valle rispetto al diaframma. Scriveremo che ρ nella sezione della vena non contratta d per la velocità media della vena non contratta per l’area della sezione non contratta, deve essere uguale, in condizioni stazionarie, al resto in condizioni contratte.

E poi possiamo scrivere l’equazione di Bernoulli in forma integrale, però dato che vogliamo raccogliere tutti gli errori alla fine e introdurli nella calibrazione, per scriverla possiamo fissare α = 1 e perdite per effetto viscoso Ev punto = 0. Quindi scriviamo l’equazione con l’idea che sappiamo che stiamo commettendo degli errori e questi errori verranno poi raccolti in un’unico coefficiente, che è il coefficiente di efflusso, che è il risultato della nostra procedure di calibrazione.

Per esempio, le norme UNI danno questi coefficienti di efflusso.

Contiamo il numero di equazioni e il numero di incognite. Qui non consociamo né la velocità nella sezione d, né la velocità nella sezione c e né conosciamo i due valori di pressione. Si misura la differenza di pressione attraverso il misuratore differenziale di pressione e poi ci rimangono due equazioni in due incognite. Si scrivono queste equazioni facendo sparire la velocità nella zona contratta con c = 0 e il risultato di questo sistema di equazioni è un’equazione quadratica della velocità media. La velocità nella sezione totale è pari alla alla radice quadrata di 2/ρ per la differenza di pressione, calcolata nella sezione non contratta e nella sezione contratta, diviso il rapporto tra i diametri alla quarta - 1.

Questa equazione non è un’equazione esatta, vale solo nel caso in cui il termine delle dissipazioni viscose Ev punto sia nullo e anche quei coefficienti α, di ragguaglio siano uguali a 1. Questi errori più altri eventuali errori dovuti ad altre approssimazioni, possono essere tutti raccolti in un unico coefficiente che si chiama coefficiente di efflusso, che si mette fuori dalla parentesi e si indica con C, che si ottiene da dei grafici. A seconda delle caratteristiche geometriche, cioè del rapporto tra i due diametri, il diametro contratto diviso il diametro pieno, ci fornisce il valore del coefficiente di efflusso.

Questo coefficiente di efflusso fa circa 0.6, ma ha un valore che cresce con il numero di Reynolds. Se questo coefficiente fosse 1, saremmo nelle condizioni ideali. Quando ci sono effetti viscosi, quel coefficiente fornisce dei valori minori di 1. Per avvicinarci alle condizioni ideali, dobbiamo pensare di avvicinarci a delle condizioni dove gli effetti viscosi sono meno importanti per elevati numeri di Reynolds ed ecco perché questo coefficiente è caratterizzato dall’essere più elevato per Reynolds più elevati.

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Emma T.

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